di
Alessandro Fulloni

La Procura ha aperto un fascicolo ipotizzando l’omicidio colposo. Indagato un medico. Le figlie del cronista del Corriere: «Fondato timore che la condotta negligente dei sanitari abbia determinato o il decesso di nostro padre»

Delle flebo idratanti che chissà poi se siano state fatte perché una sera «non è passato nessuno». Un’altra volta, «pur attaccata, la flebo era vuota: ma l’ossigeno era stato tolto». Poi una scena parallela: «la flebo era sul tavolo, per tre quarti piena, ma nessuno è passato ad attaccarla». E ancora, l’attesa lì in corsia con la «difficoltà ad aver informazioni da parte dei medici», peraltro «scocciati». Non manca un infermiere «confuso, non molto aggiornato sul piano terapeutico». Quanto alla sua collega, «si è rifiutata di sollevare il paziente perché era troppo pesante». 

Scene descritte dai familiari di Claudio Lazzaro, 80 anni, ex inviato del Corriere della Sera, morto il 29 luglio scorso all’ospedale di Cagliari. Una prima risposta sulle cause del decesso potrebbe arrivare oggi, dall’autopsia. A disporla, dopo la denuncia delle figlie Diana e Gaia — per loro c’è il «fondato timore che la condotta negligente dei sanitari abbia determinato o accelerato il decesso» — è stato il pm Giangiacomo Pilia.



















































Nel procedimento, aperto ipotizzando il reato di omicidio colposo, c’è anche un indagato, il medico del Day Hospital che aveva accolto il cronista al ricovero. L’avviso di garanzia è stato emesso a sua tutela, anche per permettere gli accertamenti tecnici non ripetibili sulla salma e consentire al dottore di nominare un consulente di parte.

Lazzaro, che viveva a Roma, era sofferente per un tumore alla prostata che lo tormentava da un po’. Autorizzato dal Gemelli dov’era in cura, aveva deciso di trascorrere l’estate — banalmente: «per vedere il mare» — nella sua casa a Chia, in Sardegna, sottoponendosi alle due restanti sedute di chemio al Businco di Cagliari. Senonché c’è stato un peggioramento, dettagliato nell’esposto firmato dalla famiglia Lazzaro, assistita dall’avvocata Alessia Sangiorgio. «Vomito, difficoltà a ingerire cibi», ecco perché il giornalista, la mattina del 22 luglio, decide di farsi visitare in ospedale.

Il resto sta nelle sei pagine della denuncia. Che tratteggia scene così: il giornalista, a letto, ansima, prova a chiamare aiuto, ma hanno sistemato «il telecomando troppo in alto, per cui non riesce a raggiungerlo». I dottori poi chissà dove stanno, «non ne ho mai visto uno visitare papà» scrive Diana. Le pastiglie necessarie per le cure? «Trovate nel cassetto» e vai a capire perché non gli siano state somministrate.

Sei giorni dopo il ricovero, alle 18 e 31 del 29 luglio, una telefonata dall’ospedale annuncia il decesso. C’era stato un collasso renale, chissà se da associare alla disidratazione segnalata dalle figlie del cronista. All’indomani, giunge pure una mail del medico indagato, lo stesso che al ricovero aveva detto che sarebbe stato «facilmente reperibile» ma che poi, a detta delle figlie di Lazzaro, non s’è mai visto. «Buongiorno, ho purtroppo appreso dell’evoluzione del papà — scrive—. Sono disponibile per un colloquio». L’avvocato che lo assiste, Gianluca Aste del foro di Cagliari, precisa di «non avere contezza del contenuto della denuncia», dunque «è prematura ogni valutazione sulle cause del decesso. Ma siamo certi che non possano essere attribuibili all’indagato».

Claudio era stato un giovane reporter all’Europeo, scarpinando accanto a Oriana Fallaci. Dopo, un lungo tratto di vita al Corriere della Sera, tra Cronache ed Esteri. «Film-maker, antifascista, uomo bellissimo (avrebbe potuto fare l’attore), educato, rispettoso» è il ritratto, 24 ore dopo la sua morte, pennellato dal sito Professione Reporter. Nel 2005 lasciò via Solferino per il sogno di diventare regista. «Era un giornalista puntiglioso — lo ricorda ora Diana —, se si fosse imbattuto in caso simile a quello della sua morte, sarebbe andato avanti con mille domande».

6 agosto 2025