Dopo l’accordo sui minerali che vorrebbe fermare il conflitto nel nord della Repubblica democratica del Congo, accordo mediato dagli Stati uniti che una volta finalizzato garantirà una parte del bottino anche al Paese “invasore”, l’amministrazione Trump è già passata all’incasso. Ottenendo da quello stesso Paese, il Ruanda, piena disponibilità ad accogliere 250 migranti che gli Usa intendono deportare in paesi terzi.

Si vedrà se saranno «alcuni degli esseri umani più spregevoli», secondo la definizione coniata del segretario di Stato Usa, Marco Rubio, o se l’accordo lascerà a Kigali «la possibilità di approvare ogni individuo proposto per il reinsediamento», come sostiene la portavoce del governo ruandese Yolande Makolo. Che alla Bbc ha parlato di un programma in base al quale ai deportati verranno forniti «formazione professionale, assistenza sanitaria e alloggio per iniziare al meglio la loro vita in Ruanda». Ma anche questo è tutto da vedersi.

Di sicuro c’è che quella del Ruanda che accoglie (a pagamento) i migranti indesiderati sia dai paesi in cui si trovano sia da quelli di origine è ormai una prassi, consolidata quanto spregiudicata. Apripista oltre dieci anni fa di questo tipo di accordi fu Israele, che con il governo di Paul Kagame intrattiene ottimi rapporti bilaterali basati principalmente su scambi commerciali e sistemi di sicurezza. In quell’occasione non finì benissimo per i migranti coinvolti, originari in buona parte del Corno d’Africa. Poi venne l’intesa con il Regno Unito, ma tra sentenze sfavorevoli e cambio di governo a Londra tutto è congelato. Ora è il turno di Trump, che in Africa ha già siglato intese simili con Sud Sudan e Eswatini.