Il cantautore racconta la sua verità: gli esordi dopo un passato da gommista, il successo e l’addio ai Pooh, l’amore con Patty Pravo, i dolori provocati a Viola Valentino, i reality. L’intervista
5 Agosto 2025 07:46
In ogni gruppo c’è qualcuno che se ne va. E a volte ritorna. Riccardo Fogli è stato quello che ha abbandonato i Pooh, poi una carriera di alti e bassi, la partecipazione a (quasi) tutti i reality in circolazione, sempre mantenendo la barra dritta: l’amore per la musica. Fogli al telefono è simpaticissimo, accogliente, il tipo di atteggiamento di una persona che si è rialzata tante volte con dignità, che sa cos’è il lavoro e sa cosa significa il successo che sfugge dalle mani. Resta che ha fatto moltissime cose, resta che – oltre i pezzi dei Pooh – ha interpretato canzoni del calibro di Storie di tutti i giorni. Ora, dopo un trionfale tour con la band che gli regalò la popolarità, si apre, parla del suo passato e fa il punto della situazione.
Allora, Riccardo, cominciamo dal principio. Tu eri un predestinato metalmeccanico. Tuo padre, dopo la guerra entra alla Piaggio e fa questo lavoro.
Quando io studiavo in prima media mio padre la domenica si alzava in piedi, si faceva il segno della croce e chiedeva a Dio che i figli diventassero meccanici come lui. Secondo lui la felicità stava in un posto che permettesse di portare uno stipendio in famiglia tutti i mesi.
E invece tu amavi la musica.
Sì. Anche se prima non era come ora che accendi radio e televisione e trovi i video dal mondo. La musica per me era la banda, una volta ogni tanto vedevo un’orchestra. La musica mi incantava. Quando c’era qualcosa di musicale mi sedevo e guardavo: i cantanti, le mani del chitarrista, del bassista. Ero affascinato. C’è chi guarda le stelle e sogna di diventare un’astronauta. Io volevo cantare e suonare. Il veicolo era mia mamma, che stava lì con le maglie e canticchiava i pezzi trasmessi dalla radio: Nilla Pizzi, Luciano Tajoli, Claudio Villa, Peppino di Capri, anche se lui venne molto dopo. Sono figlio di quella generazione lì.
Ho letto il tuo libro e parli di un episodio a scuola. Che successe?
Non l’ho covato dentro il cuore come un dolore per tutta la vita, ma una professoressa si avvicinava a noi ragazzi e aveva l’abitudine di annusare. Uno usciva da casa aveva con un odore di minestrone e di miseria. Anche se mia madre con il suo orgoglio, prima che uscissimo io e mio fratello, ci puliva le orecchie e, ogni tanto, ci dava un po’ di dopobarba di papà. Questa cosa me la ricordo e mi fa un po’ male: avevo sempre l’ansia che la prof arrivasse.
Come andavi a scuola?
Non sono mai stato bocciato, rimandato, non ho mai preso ripetizioni private. Superata la terza media, però, mamma mi fece un discorso considerato che mio fratello già da tre anni faceva il metalmeccanico. Mi chiese di iniziare a lavorare e io ero contento: ero sicuro mi sarei divertito. Mi piaceva l’idea di portare i soldi a casa, di aiutare i miei. Ho finito la scuola a giugno e a settembre lavoravo in una fabbrica dove recuperavano gomme di aeroplano.
Ma quand’è arrivato il momento in cui hai detto a mamma e papà che da metalmeccanico volevi diventare musicista?
Io già studiavo solfeggio, suonavo e cantavo in un complesso, i Jet. La scintilla non era ancora scoccata: se mi avessero letto la mano non ci avrebbero trovato la musica. Ero un predestinato metalmeccanico. Sognare è complicato, quando proprio non hai prospettive. Forse è più un miracolo che un sogno. Poi, proprio a Piombino, ho conosciuto gli Slenders, una band di ragazzi molto bravi. Ci iscriviamo al Festival degli sconosciuti di Ariccia di Teddy Reno che ci notò, ci scritturò e ci fece fare concerti in giro per l’Italia.
Chissà l’emozione.
Eravamo piombinesi metalmeccanici, con la faccia incazzata. La band era metalmeccanica, potevamo chiamarci i metalmeccanici invece che gli Slenders.
Ma davvero eravate tutti metalmeccanici?
Tranne il batterista Marino Alberti, che era il nostro genio: lui studiava e, ascoltando Radio Luxemburg, ci procurava canzoni nuove, ancora non uscite in Italia, eravamo molto molto beat. Tutto succede un po’ così, andammo ai Piper di Roma e Milano a suonare, per due settimane.
Prima impressione del Piper?
Quando scendemmo per la prima volta le scale, fummo travolti dal suono, da queste basse dei subwoofer, che non avevamo mai sentito in radio e nemmeno sognato. Chiunque suonasse lì era forte, era il top, c’era una selezione naturale spietata.
Come sei passato dagli Slenders ai Pooh?
I Pooh avevano un bassista molto bravo, ma non andavano d’accordo. Dopo due settimane che noi Slenders suonavamo al Piper di Milano, arrivarono i Pooh nell’altra pedana. Avevano inciso due singoli non di successo, però erano bellini, con i vestiti fighi, con strumenti fighi, predestinati musicisti di successo.
E…?
Loro mi guardavano, mi avvicinarono e mi dissero: «Senti, noi ti vorremmo a suonare con noi, tu sei quello che ci serve».
Diretti i ragazzi. Cosa hai risposto?
Io ero un cantante bassista, ero scatenato, sembravo il Mick Jagger della Maremma. Avevo i capelli lunghissimi, magro magro, e avevo le fan che mi guardavano, insomma, non vorrei fare confronti, ma ero un gran figaccio.
Ma dimmi un po’: quando hai detto a tua mamma che avresti lasciato il lavoro da gommista nel negozio di famiglia per fare il musicista, che ti ha detto?
Mi disse: «Nini, se te la senti vai, non ti preoccupare, noi siamo sempre qui. Se vuoi tornare qui, siamo una famiglia. Se vuoi tornare a fare il gommista ti metti la tuta e vai». Questo è quello che, secondo me, una mamma deve fare quando il figlio ha un sogno.
E invece gli Slenders come la presero?
Noi avevamo un problema: i ragazzi erano metalmeccanici e avevano preso sei mesi di permesso per cercare di fare successo. Ci siamo riempiti di debiti. Avevamo comprato un impianto all’altezza perché i nostri competitor erano i Nomadi, l’Equipe 84, i Dik Dik, i Camaleonti, i Rocks, i Renegades. Suonavano loro e poi suonavamo noi. E quando suonavamo noi, cazzo se suonavamo bene.
Capito, ma quindi?
Facciamo una riunione. Io dissi a Roby Facchinetti e Valerio Negrini: «Ragazzi guardate, noi torniamo a Piombino, io torno a fare il gommista, loro tornano a fare i metalmeccanici». Proviamo a parlarne. Decidemmo che i Pooh avrebbero preso me e si sarebbero accollati anche le cambiali del furgoncino e di un amplificatore, un AC 100 Beatles, un armadio di amplificatore. Parliamo di rate anche piccole, ma per tre anni ho continuato a pagare 20 mila lire al mese, capito? Ma tutto in modo semplice. Perché non è che fossi andato a suonare con una band milionaria, non avevamo una lira prima con gli Slenders e non avevamo una lira dopo con i Pooh. Era il 1966. Il primo riscontro arrivò con Piccola Katy nel 1968.
E quindi cosa avete fatto in quei due anni prima del successo?
Provavamo sempre, a Bologna, perché la band era nata lì. Io e Facchinetti, il mio fratellone, stavamo in una pensione e spendevamo 800 lire in due, in una camera con un lavandino. Una camera piccolina, pulita però, cambiavano sempre le lenzuola perché era una pensione dove andavano a far l’amore queste signore perbene che davano gioia ai pensionati: si diceva che quando riscuotevano la pensione, andavano a passare una mezz’ora con queste signore, li coccolavano un po’.
Ma torniamo al successo.
Sì, nel 68 arrivò un po’ di successo con Piccola Katy, ma fu un fuoco di paglia: l’anno successivo partecipammo al Cantagiro con Mary Ann, ma non successe niente. Però suonavamo tanto dal vivo, e ci notò quello che sarebbe diventato il primo e unico produttore dei Pooh: Giancarlo Lucariello. Un genio. Venne e parlò con me, Negrini e Facchinetti. Ci disse: «Guardate, io per voi ho un progetto perché il modo in cui arrangiate i brani come i Bee Gees e i Beatles, è molto interessante». Giancarlo Lucariello è stato un produttore con una visione: pensava a noi, all’orchestra, alle profondità, agli echi, ai cori. Lucariello entrò nella nostra vita e nel giro di pochi mesi arrivarono canzoni come Tanta voglia di lei, Pensiero, Noi due nel mondo e nell’anima.
Ma il successo ha cambiato i rapporti tra di voi?
Assolutamente no. Considera che, nonostante il successo, continuammo a rispettare i contratti che avevamo firmato per suonare a 50.000 lire nelle discoteche dove eravamo cresciuti.
Questo vi fa onore.
Perché ci siamo fatti le ossa nelle discoteche dove suonavamo. Il pomeriggio avevamo l’autorizzazione a provare. Quindi noi ci esibivamo martedì, mercoledì, giovedì, sabato e domenica. Però ogni giorno, quando i camerieri pulivano, noi stavamo lì e provavamo repertorio nuovo, Facchinetti si metteva al piano e componeva. Così siamo diventati più bravi.
E arriviamo al punto dolente: Riccardo e l’amore. Diciamocelo, l’amore è stata un po’ la tua croce, anche a livello mediatico.
Per certi versi è una verità, per altri è stato tutto un po’ travisato.
Allora, visto che non si è mai capito bene la storia di te, Viola Valentino e Patty Pravo, racconta la tua versione.
La versione è una sola, raccontata in modi diversi. Quando avevamo un gran successo, io ero sposato con Viola Valentino e poi successe il patatrac: conobbi Nicoletta (Patty Pravo, ndr). Lavorava nella stessa agenzia che seguiva i Pooh. Quando la vidi, cazzo, io la guardai, non so come dirlo, ma ci fu un’attrazione reciproca. Avevo 20 anni, successe che nacque una storia d’amore. Ci incontrammo una notte e poi, zitto zitto, quella stessa notte tornai a casa.
E Viola Valentino?
Viola se ne accorse e devo dire che provai – in mezzo alla scoperta di questa donna intrigante, irresistibile che è Nicoletta – del dolore perché probabilmente avevo fatto soffrire Viola, la donna meravigliosa che avevo sposato. Questa cosa mi fa male.
Poi?
Dopo poco ci siamo lasciati con Viola e con Nicoletta ci siamo messi insieme.
Viola Valentino dove l’avevi conosciuta?
Al Roxy di Milano: lei venne con un’amica che frequentava uno dei Pooh. La guardai, feci una battuta, la corteggiai con gentilezza. Poi ci siamo fidanzati. Il matrimonio è arrivato di lì a poco: all’epoca ci si sposava a 24 anni per essere liberi e vivere una storia d’amore senza dover più rendere conto ai suoceri, andando a convivere. Poi le cose cambiano, e quando succede, a volte si crea dolore. Questa è la vita. Io ho provato tanti dolori e credo di averne dati, dei dolori.
Vi siete più parlati con Viola di questo dolore?
Ma sì, certo. Quando ci siamo separati con Viola non si è chiuso lì. Ci sono state due fasi.
Quali furono queste fasi?
Quando andai velocemente a vivere con Nicoletta e poi quando sono tornato insieme con Viola, dopo un paio di anni.
Partiamo dalla fase con Patty Pravo.
Con Nicoletta in due anni abbiamo consumato tutto l’amore che può essere vissuto da due ventiquattrenni belli e famosi. I primi sei mesi abbiamo fatto dei danni per Roma e poi ci siamo consumati di passione. Abbiamo bruciato meravigliosamente quegli anni bellissimi.
Mai i Pooh, invece?
Nel frattempo, io avevo una band di Parma e continuavo a fare concerti in giro perché vivevo di quello. Loro sono diventati i miei più cari amici e andavamo in giro a suonare, questo era. Si chiamavano Ozymandias, il nome di un faraone. Ma tu vuoi sapere perché me ne sono andato dai Pooh?
Esatto. Ma prima facciamo ordine: eri sposato con Viola Valentino e stavi ancora coi Pooh, poi ti sei messo con Patty Pravo e, in quell’occasione, durante questi due anni di passione, hai lasciato i Pooh.
Sì, ma all’inizio di questa passione…
Possiamo dire che Patty Pravo è stata un po’ la Yoko Ono dei Pooh?
Yoko Ono era incollata a John Lennon e lo teneva per mano quando in sala di incisione cantavano e suonavano. Patty Pravo non si è mai sognata minimamente di venire in sala di incisione con i Pooh. Mettiamo i puntini sulle i. Patty Pravo era Patty Pravo, una superdiva. E non gliene fregava niente che il suo ragazzo facesse parte dei Pooh: lei era innamorata di me e io ero innamorato di lei. L’unica cosa che mi permettevo era dormire nello stesso albergo con lei, se facevamo concerti vicini. Nicoletta non ha mai interferito nella vita dei Pooh.
Quindi com’è avvenuta la rottura con la band?
Non c’è mai stata guerra fra me e i Pooh. Però sono state scritte delle inesattezze. Io non ho mai ritardato, non ho mai trascurato i Pooh per il mio amore.
E allora perché hai lasciato i Pooh?
Perché la storia, tra me e Nicoletta, era segreta. Io e Viola ci eravamo lasciati, ma un giorno su un giornale uscì una sua foto con uno scatto dei Pooh e la scritta “il cantante”, “il frontman”. Io non sono mai stato il cantante dei Pooh perché nella band hanno sempre cantato tutti. Questo lo dobbiamo precisare.
Poi cos’è accaduto?
Mi sentivo accusato di danneggiare i miei fratelli col mio fidanzamento. Sembrava che questa donna bionda e famosa interferisse nella vita della band. Ogni volta che usciva un giornale con una foto di Nicoletta, veniva fatta una riunione e venivo messo di fronte al fatto. Mi domandavano «Che cosa hai deciso?». E io rispondevo «Ma in che senso?». E dicevano che non potevano andare avanti così, che questa cosa li danneggiava, che non andava bene. Finiva la riunione, riprendevamo la tournée come soldatini, poi magari un mese dopo usciva un altro articolo e venivo ancora messo al muro. L’ennesima volta ho detto «Guardate fratelli e amici, io non dipendo da voi, le mie storie d’amore non devono assolutamente essere decise dalla maggioranza. Vivo la mia vita, vivo l’amore, la mia sessualità. Sono un bravo Pooh, sono puntuale, canto intonato. Però se non vi vado più bene, me lo dite, ne mettete un altro, e io torno a fare il gommista, cantante, bassista, felice, come ero prima».
A questo punto loro ti hanno detto di andare.
Hanno cercato il nuovo bassista. L’accordo era che, quando lo avessero individuato, avrei fatto un passo indietro. Per fortuna è arrivato Red, questo ragazzo perbene, intelligente, bello, bravo. La vita dei Pooh è continuata senza danni. E io ho cominciato una nuova pagina con non poche difficoltà.
Davvero?
Qualcuno ha pensato di farmi passare da presuntuoso, da “quello che ha lasciato i Pooh per intraprendere una carriera solista perché il gruppo gli stava stretto”.
E non era così nemmeno un po’?
No, i Pooh erano i miei migliori amici e quando me ne sono andato ho provato tra i dolori più grandi della mia vita, la solitudine di ricominciare da capo.
Ma chi aveva messo in giro le voci che eri un presuntuoso? È stato da parte dei Pooh o di altri?
Sono cose che succedono quando esci da una situazione vincente per entrare in una situazione, ovviamente, perdente. Io avrei potuto vivere la mia storia d’amore con Nicoletta e continuare a essere bassista dei Pooh. E se ogni tanto usciva una fotografia mia con lei non avrebbe infastidito nessuno. Tanto più che ho evitato di fare dichiarazioni, di farmi fotografare con lei, pressato da questo fatto. Ma credimi, eravamo molto, molto giovani, avevamo un produttore geniale con una visione un po’ “qui comando io e voi fate come dico io”.
Intendi Giancarlo Lucariello?
Sì, che io stimo, rispetto. Anche perché insieme a lui, con la sua produzione, sono nate canzoni importantissime per la mia vita. Ma probabilmente lui, quando sono stato messo alle strette dai miei fratelli Pooh, pensava di fare la cosa giusta, difendeva quello che secondo lui doveva essere il guscio. Secondo me si sbagliava.
Motivo?
Perché aveva a che fare con artisti che meritavano la loro libertà spirituale e sentimentale. Non era un tradimento il mio, mi ero semplicemente innamorato di un’altra donna e mi ero separato da Viola Valentino. Quando vivi a 200 all’ora può succedere, le cose cambiano, inevitabilmente. E ci cambiano. Ho sofferto molto, sono uscito che non avevo una lira e mi sono anche mancati i miei fratelli Facchinetti e Negrini: improvvisamente non c’erano più a proteggermi, a suonare con me. È la cosa più dolorosa, è come uscire da una famiglia.
Vi siete parlati poi?
Nel tempo ci siamo visti cento volte con i fratelli e mi hanno chiesto scusa, mi hanno detto che eravamo molto giovani e probabilmente avevano commesso un errore.
Per quanto tempo non li hai sentiti?
Considerando che incidevamo nella stessa sala di registrazione, direi dopo due, tre mesi. Io stavo cercando di costruire la mia vita e il mio futuro, ma l’affetto che c’era, che avevamo accumulato in questo generatore di emozioni che sono stati per me, non solo per me, ma per l’Italia, era rimasto.
A questo punto arriva la fase due: vi lasciate con la Pravo e ti rimetti con Viola Valentino.
Prima ho vissuto da single quasi un anno meraviglioso, cercando di leggere, scrivere, incidere, perché le canzoni che mi proponevano non erano neanche lontane parenti di quelle scritte da Facchinetti e Negrini. Ho faticato molto per trovare un gruppo di lavoro e devo ringraziare Luigi Lopez e Carla Vistarini: scrissero per me Mondo, un pezzo nel quale chiedo scusa a una donna che ho ferito. Perché io sono un uomo che ha vissuto, ha sbagliato e ha pagato, capito?
Capito. Insomma, dopo un anno torini con Viola Valentino.
Abbiamo parlato molto al telefono, ci siamo visti e poi abbiamo deciso di riprovarci.
Ma poi non è andata. Si era rotto qualcosa secondo te?
Alla luce dei fatti sì, però abbiamo vissuto anni belli. Ho protetto Viola, perché ho avuto tanto successo nel 1976 fino a che siamo rimasti insieme. Ci siamo permessi cose belle, abbiamo comprato una casa importante a Milano. Abbiamo costruito un affetto e anche se eravamo in due, lei tollerava molto.
Vale a dire?
Nel pacchetto di una coppia che si è lasciata e poi si è recuperata ci siano tante cose da mettere in conto. Poi considera che lei è diventata una cantante famosa e viveva un suo mondo mentre io vivevo il mio. Le cose sono andate bene finché non sono finite.
Il successo, quello grande, torna con Storie di tutti i giorni e la vittoria al festival di Sanremo.
Storie di tutti i giorni fu preceduta da una grandissima hit: Malinconia. L’anno che andai a Sanremo mi davano per vincente perché in quel momento le cose “giravano” molto bene. Ricordo benissimo che passavamo un mese in sala di registrazione, Maurizio Fabrizio scriveva delle melodie, io e Guido Morra buttavamo giù i testi, usciva il disco, andava in classifica. Quindi sono stati anni in cui ero presente nelle hit parade: terzo, quarto, quinto, primo.
Quando è cambiato il vento? Quando nelle classifiche non ci sei più stato?
Credo che dall’84-85 il gusto musicale italiano abbia avuto un cambiamento. Si è creato un grosso divario tra la musica italiana che io rappresentavo e un altro tipo di musica che non potevo rappresentare. Le radio passavano musica straniera, bellissima, ma gli interpreti italiani vennero fatti fuori, si vendevano meno dischi, c’era meno visibilità, è stato un cambiamento epico.
Il tuo più grande flop?
Credo di averne collezionati parecchi. Ma immagino sia stato quando la musica che rappresentavo ha cominciato a scricchiolare: da bello e famoso diventai un ex belloccio, non tanto famoso.
Hai sempre lavorato?
Mi sono sempre guadagnato da vivere facendo musica da vivo. Anche quando vendevo cinquemila copie di dischi e non figuravo nelle classifiche: ero molto richiesto, sono molto richiesto. Premetto: io vado dove mi chiamano, nelle piazze.
Arriviamo alla televisione. Facendo un salto temporale, c’è un reality show che ti rimette sotto la luce dei riflettori: Music Farm, che hai pure vinto, tra un massaggio e l’altro al Centro Mességué.
Quello è stato il primo reality musicale, ed era una figata pazzesca: stavamo in un albergo, con le nostre meravigliose singolarità. E poi veniva fuori la necessità di essere bravi interpreti. Un’esperienza bellissima.
Se parliamo di reality c’è anche L’Isola dei Famosi, dove forse l’esperienza, seppur bella, è stata un po’ macchiata dal gossip.
Il gossip è dietro l’angolo, è come il diavolo che sta nelle pieghe. Ho vissuto un’Isola bellissima, ma complicatissima: avevo già 72 anni, ho combattuto, mi sono difeso, ho nuotato in queste acque meravigliose, ho fatto i giochi. Il mio compito era proteggere il fuoco quando pioveva e quando il mare cresceva. Poi nei reality può succedere qualunque cosa.
Quando sono uscite le dichiarazioni sul presunto tradimento di tua moglie, ha mai pensato di lasciare il gioco?
Quando sei dentro un reality non hai la percezione di cosa succede, nessuno ti dice niente.
A te lo dissero.
In diretta mi hanno fatto vedere in un televisorino piccolo, con poco suono, senza occhiali, che stavano passando fotografie dove sembrava ci fosse mia moglie. Ho semplicemente sottolineato che avevo fiducia in lei. Però dissi pure: «Chiunque sta facendo questo gioco sporco e farà del male alla mia famiglia, quando uscirò, lo sfiderò a duello, perché io sono maremmano».
Quindi dopo quell’esperienza che dici, tirando le somme?
Che non devo perdonare nessuno, però è evidente che temevo tutto ciò avrebbe fatto male alla salute della mia famiglia. Ho fatto quello che mi diceva il cuore, io mi fido della mia famiglia.
Qual è la persona, nell’ambito dello spettacolo, che puoi definire amico?
Il mio fratellone Roby Facchinetti.
Invece, una persona che ti ha deluso nel momento dello spettacolo?
A volte mi sono deluso da solo.
Questa, Riccardo, è una risposta paracula dopo tutta questa schiettezza. Fuori i nomi.
Ma chi devo dire? Sono fortunato: non ho sofferto di delusioni di questo genere. Nessuno mi ha promesso una cosa e non l’ha mantenuta. Il meccanismo della discografia, a un certo punto, mi ha abbandonato perché non seguiva più quelli che cantano le cose che scrivo io.
D’accordo. E quando ti hanno chiamato i Pooh per la reunion dei 50 anni, cosa hai pensato?
Si stava realizzando quello che ci chiedevano da tanto i fan. Sono stato un Pooh per tanti anni. Anche quando non ero più nella band ai miei concerti cantavo i pezzi suonati e interpretati con loro. Ero un Pooh in esilio.
Oggi chi è Riccardo Fogli?
Tengo duro, non mollo. Mi piacciono le avventure, mi piacciono le sfide, qualunque esse siano, purché possa essere me stesso.
Ecco allora parliamo dell’ultima avventura che hai fatto, quella di Ora o mai più. Com’è andata?
Un programma istruttivo: ti assegnano un artista e devi organizzarti insieme a lui per fare un viaggio. Io seguivo Anonimo italiano, questo signore di una sessantina d’anni, che ha avuto successo 25-30 anni fa, “imitando” Baglioni. Dopo qualche anno, è sparito, però canta bene, è intonato, e sono stato felice: mi ha arricchito molto questa conoscenza.
Lo senti ancora?
Mi ha mandato il video di Lupo abbandonato un brano che ha composto, mi piace molto l’energia che ha: è pieno di entusiasmo, mi ha raccontato il testo, ho sentito la storia di questo cane abbandonato, una metafora della vita, interessante.
Ora, non è che voglio rivangare eh, ma durante il programma hai rivisto Patty Pravo. Viola Valentino ha dichiarato sui social che parli sempre della Pravo, ma mai di lei. E ti da dell’«ometto» e del «quaquaraqua». Cosa rispondi?
Non rispondo.
Dai, Riccardo…
Sono troppo legato a lei, ho troppo affetto per risponderle. La capisco bene e non le rispondo. Viola sa che c’è una grande stima, non parlerei mai di lei, neanche sotto tortura, né per soldi né per minaccia. Abbiamo vissuto anni belli, poi la cosa è finita, però rimane una donna che stimo, che adoro. Non credo di averle fatto del male non parlando di lei: sono stato due mesi in trasmissione con Nicoletta, è evidente che se mi chiedono di Patty Pravo rispondo, così se mi avessero domandato di Viola Valentino direi che è un bellissimo ricordo. E vorrei vedere più spesso in televisione.
Come mai, secondo te, ha scritto un post simile nei tuoi confronti a distanza di anni?
L’ho lasciata, l’ho fatta soffrire. Lei ha il diritto di odiarmi, anzi avrebbe il diritto di farlo ancora di più. Invece lancia affermazioni che sopporto bene, verso le quali non mi difendo e non rispondo in malo modo.
Viene da una mega rimpatriata con i Pooh.
Quando sono con loro il mondo cambia, cambiano le mie percezioni, la mia vita, con loro è una vacanza: cantiamo nei posti più belli d’Italia, tra le più belle che siano mai state scritte, abbiamo un pubblico grandioso, i Pooh sono belli ed è favoloso quello che facciamo insieme.
Ti aspettavi di essere richiamato dopo la reunion dei 50 anni?
Sarei presuntuoso a dirti sì. I Pooh degli ultimi 50 anni sono loro, io sono andato via nel ‘73, anche se, come dicono i fan carini, in quei sette anni abbiamo portato alla ribalta 15 canzoni di grande successo. Loro potevano non chiamarmi, non c’è alcun diritto: chi va via lascia il posto, buonanotte. Resta che siamo amici, ci divertiamo, loro mi coinvolgono, provo molta gratitudine e cerco di guadagnarmi la loro fiducia, tutto qua.
Tra l’altro la loro chiamata è arrivata dopo l’espulsione al Grande Fratello per la presunta bestemmia.
Ma quale bestemmia? Ho le prove, ho le registrazioni. Non ho mai bestemmiato nella vita. Guarda, su questa cosa ci sono due teorie.
Prego.
Un amico che fece L’isola dei famosi, ma di cui non ti dirò il nome, quando ha saputo che avrei partecipato al GF mi disse di non farlo perché lì mi aspettavano al varco considerato che Piersilvio Berlusconi, dopo quello che successe in Honduras, disse che fu una caduta di stile e mandò in panchina degli autori. Potrebbero avermi fatto uno scherzetto da prete…
La seconda teoria?
Che può esserci stato un errore. Quando mi hanno detto, in confessionale, della presunta blasfemia, pensavo di essere su Scherzi a parte. Per me era impossibile, sono stato chierichetto, vivo in chiesa. Mi hanno fatto sentire la registrazione e c’era un rumore poco comprensibile, non era chiaro. Signorini sottolineò quanto mi conoscesse bene: ci avrebbe messo due mani sul fuoco sulla mia innocenza. Sa che sono una persona corretta.
Tu come l’hai presa?
L’ho presa così, ho provato a scrivere, ho fatto un po’ di corrispondenza con loro, ma avevo firmato un contratto in cui c’era scritto che in qualunque momento il Grande Fratello può decidere di mandarti a casa, quindi punto.
Torniamo alla musica. Come ti è sembrato questo Sanremo, piaciuto?
Moltissimo, Sanremo è casa. Mi è piaciuta Giorgia al primo posto, poi Achille Lauro… Sanremo mi piace sempre, c’è dietro un lavoro di ricerca di brani interessanti.
Torneresti a Sanremo in gara?
Mai dire mai, magari tra vent’anni mi portano con la carrozzina all’Ariston, mi fanno entrare di lato e io canto una canzone romantica, parlerò d’amore e una parte dirà «Meno male qualcuno ancora parla d’amore» e altri diranno «L’amore, l’amore, che cos’è l’amore?».
Ma tu sei attento alle nuove generazioni di cantanti?
Io ascolto i ragazzi, vedo Nuova scena il talent show di Netflix. Impazzisco per Fabri Fibra, Geolier e Rose Villain. Amo la loro lucidità, non dicono mai cazzate, hanno le idee chiare. Ci sono dei ragazzacci incazzati e un po’ violentati dalla vita in giro per l’Italia che hanno bisogno di questo programma per fare rap, così non vanno a rubare o se l’hanno fatto sono lì e te lo raccontano, sciorinano le loro esperienze, il loro dolore. Hanno tutti un passato un po’ rotto e lo tirano fuori. Mi ci rivedo: a 14 anni ho preso un coltellaccio per minacciare chi voleva bullizzarmi. Non sapevo neanche cosa stessi facendo e dicendo. Se fosse già esistito il talent avrei rappato.
Con chi vorresti duettare?
Con i Gemelli Di Versi. Fecero una cover di Dammi solo un minuto, un giorno ho pensato di chiedere loro una nuova versione di Storie di tutti i giorni. Sarebbe pazzesco.
Nel 2026 cadono i 60 anni dei Pooh…
Be’ 60 anni sono tanta roba. In questi anni i Pooh sono cresciuti scrivendo: Dodi è diventato una dei chitarristi più grandi del mondo, Facchinetti ha creato l’opera pop Parsifal che ascolto come sento i Pink Floyd. E poi c’è Canzian, che fa cose da vero artista. Hanno la capacità di rinnovarsi.
Nel 2026 per il tour dei Pooh, che mi dici?
Ci sarò.
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