Paolo Totò l’avevamo lasciato nel 2021, a chiusura di una carriera da pro’ neanche tanto lunga e con belle soddisfazioni, ad esempio la piazza d’onore al Trofeo Laigueglia 2018 dietro Moreno Moser, seppur non fosse mai uscito dall’universo delle continental, senza riuscire ad avere una chance per un livello superiore. Quando appese la bici al classico chiodo sembrava che la sua vita ciclistica fosse conclusa, non poteva sapere che, come dice il proverbio, chiusa una porta si sarebbe aperto un portone che lo avrebbe portato addirittura a vestire la maglia azzurra.


Paolo infatti è ora una colonna portante della nazionale paralimpica, ma per capire com’è nata questa sua seconda vita ciclistica bisogna tornare indietro nel tempo, alle sue scelte di 4 anni fa.
«Avevo già lasciato il il ciclismo ed ero pronto a dedicare la mia passione al mondo amatoriale, mi ero già tesserato con il Team Go Fast. In quello stesso anno ho avuto la proposta di Pierpaolo Addesi di provare l’esperienza paralimpica. Non ho avuto dubbi nell’accettare subito, ho pensato che poteva essere davvero una bellissima esperienza, una cosa nuova per me. Mi ha dato subito una motivazione giusta per riprendere. E sono contentissimo di aver preso questa decisione».


Facciamo un salto indietro, quando tu hai chiuso con il professionismo, cosa hai fatto dal punto di vista professionale?
Ho iniziato a lavorare in un ristorante-pub. La sera ho frequentato la scuola per massaggi diplomandomi e e ho iniziato a fare i massaggi a casa, aprendo una mia attività. Collaboravo con una palestra, poi dopo ho chiuso l’attività e la mia partita IVA perché comunque la nazionale mi portava via moltissimo tempo e non riuscivo a gestire la mia attività di massaggi. L’anno scorso si è aperta la possibilità di andare a fare le Paralimpiadi, è stato un motivo in più per concentrarmi su quello.
Che ambiente hai trovato nel mondo paralimpico?
Un ambiente tutto nuovo per me, ma sicuramente molto più bello di quando correvo fra i professionisti. Più rilassante, un mondo particolare, con tante storie e tanti racconti che mi hanno portato a essere sempre più coinvolto a 360°.


Tu quest’anno hai cambiato, diventando la guida di Bernard, prendendo il posto di Plebani sul tandem medagliato paralimpico…
Ogni anno c’è stato un cambiamento per me, perché sono passato da avere Fabio Colombo il primo anno, poi l’anno scorso con Federico Andreoli le Paralimpiadi e adesso quest’anno sono con Lorenzo ed è arrivata subito la prima vittoria in Coppa del Mondo a Ostenda. A Magnago siamo stati sfortunati, abbiamo avuto un problema meccanico al secondo giro e non siamo potuti ripartire, ma stiamo molto bene insieme.
Quanto cambia per una guida la sostituzione del compagno di tandem?
Cambia moltissimo, sia caratterialmente che fisicamente. Lorenzo ha una marcia in più perché ha un passato da atleta, è stato medagliato anche nel canottaggio, era già un atleta ben strutturato rispetto agli altri ragazzi. Poi è quello dei tre che comunque assomiglia di più alle mie caratteristiche.


Si dice sempre che nel ciclismo paralimpico di oggi si stia raggiungendo un livello professionale enorme. All’estero, praticamente sono veri e propri professionisti. Trovi più differenza adesso rispetto a questi o quando correvi in team Continental contro quelli del World Tour?
Beh, diciamo che quando correvo fra i professionisti mi sono scontrato con gente di calibro molto importante. La differenza lì si notava perché comunque essendo in una squadra Continental erano davvero due mondi diversi, con possibilità economiche neanche comparabili. Qui tra l’altro ho trovato tanti che correvano con me, che hanno fatto la mia stessa scelta, ma sono rimasti professionisti, lo fanno per lavoro in squadre professionistiche. Sia le guide che gli atleti. Negli ultimi due anni il livello qualitativo si è alzato enormemente. Volete sapere una cosa? Mi alleno anche più di quando correvo fino a 4 anni fa…
Vedi nel livello del paraciclismo italiano un gap da colmare rispetto agli altri?
Tecnicamente sì, soprattutto su pista. Siamo in linea con i tempi, ma è a livello di materiali che in questi tre anni si deve lavorare per colmare il divario. E noi possiamo migliorare anche la nostra capacità atletica. Su strada diciamo che noi possiamo dire la nostra. Possiamo competere con i migliori, soprattutto nelle prove in linea perché a cronometro torna in ballo il discorso materiali. Ma io sono ottimista, mancano tre anni all’appuntamento principe, abbiamo il tempo necessario.


Prossimi appuntamenti?
Siamo in ritiro con la nazionale a Campo Felice fino al 13 agosto e poi partiremo il 24 agosto per i mondiali strada e cronometro a Ronsse in Belgio. Che cerco di prendere senza assilli. Lo scorso anno ho pensato continuamente alle Paralimpiadi e poi è andata com’è andata. Questo è un anno più di transizione perché non portano punti per le qualificazioni olimpiche, quindi diciamo che sono molto più tranquillo. E chissà che non sia meglio così…