“Sono un progettista stimato. Non sono un faccendiere”: così Alessandro Scandurra (nella foto) davanti al gip Mattia Fiorentini, lo scorso 23 luglio, sintetizza la propria posizione rispetto alle accuse di corruzione e false dichiarazioni. Alla Procura di Milano, che gli addebita in sostanza di aver favorito quale membro della Commissione paesaggio del Comune i progetti delle società per cui lavorava come progettista, l’architetto risponde senza esitare: “Resto imparziale, anche nei confronti di chi mi paga 400mila euro”. Dopo l’interrogatorio preventivo, in cui l’hanno assistito gli avvocati Giacomo Lunghini e Luciano Paris, il giudice ha disposto gli arresti domiciliari (i pm chiedevano il carcere).
Domanda del gip al professionista: “Io mi chiedo: lei riesce a ritenersi imparziale di fronte all’approvazione di un progetto che proviene da un soggetto che mi ha appena dato 400mila euro?”. II riferimento è a un edificio di Kryalos sgr, da cui Scandurra nei quattro mesi precedenti alla seduta in questione aveva percepito “397mila euro” e quasi 800mila euro in sei mesi. Risposta: “Sì, sì, sono assolutamente imparziale, perché il mio codice etico mi fa dire di non mescolare le funzioni”. Ancora: “Non avevo interesse alcuno, perché il mio rapporto con Kryalos è nato da un progetto che è andato molto bene e i miei rapporti professionali sono sempre basati sulla qualità del mio lavoro. Se mescolassi veramente le cose, sarei chiamato per delle assurdità, sarei chiamato per fare qualsiasi cosa, ma invece faccio sempre progetti che io ritengo esemplari, potrei un’altra volta dire immodesti”.
Poi Scandurra entra nel merito del proprio ruolo nella Commissione, di cui faceva parte dal 2018. Sulle contestazioni di conflitto di interessi non dichiarato ha premesso di avere sempre seguito “il regolamento del Comune”. Argomenta il professionista: “Mi avessero detto che io non dovevo partecipare (alle sedute che riguardavano suoi committenti, ndr), che dovevo astenermi, mi sarei astenuto. Se mi avessero detto di non poter ricevere incarichi da soggetti che presentavano in ogni modo alla Commissione un progetto, non avrei fatto parte della Commissione del paesaggio. Io prestavo le mie capacità, la mia sensibilità, la mia conoscenza alla Commissione del paesaggio, alla pubblica amministrazione per ottenere il meglio”. Le pressioni fatte su terzi per velocizzare le pratiche? “No, no. È difficilissimo fare pressioni su terzi nella situazione del Comune di Milano”, replica. Poi sottolinea: “Eravamo in 11 ed era una commissione che dialogava ogni volta, progetto per progetto, ed è difficile, le assicuro, convincere altre dieci persone se non sono in grado di comprendere una cosa o l’altra. Soprattutto nelle piccole cose che sono capitate a me in quelle occasioni in cui non mi sono astenuto, sempre seguendo il regolamento del Comune”.
L’architetto infine spiega così i contatti telefonici e in chat con costruttori e progettisti, con cui discuteva dei pareri della Commissione: “Io in maniera molto trasparente ho sempre solo descritto dei progetti, senza che nessuno si sia mai permesso di avvicinarsi a me in modo, non so come dire, compromettente, perché sennò io avrei dovuto decidere di cambiare mestiere, di fare il faccendiere, in realtà sono un progettista stimato (…). Mi chiedevano una traduzione perché ero nella Commissione”.