Francesca Sangalli – ph Laila Pozzo

 

Superare i quarant’anni, oggi, è un po’ come ritrovarsi in una sitcom filosofica: ci sono le candeline sulla torta, certo, e magari anche qualche acciacco che bussa alla porta. Ma il vero colpo di scena arriva quando ti rendi conto che, più che un compleanno, ti aspetta una rivoluzione interiore.

E qui entra in scena Francesca Sangalli, autrice, drammaturga, sceneggiatrice milanese. Ed esploratrice dell’anima con il suo nuovo romanzo A Londra non serve l’ombrello. Volevo solo cambiare vita! (Giunti, 2025, pp. 352, euro 16,90). Un titolo che è già una dichiarazione di intenti e una strizzata d’occhio a chi ha sempre pensato che a Londra piova pure sul curriculum.

Quello di Sangalli non è il solito “libro di svolta”, tutto posture da coach e frasi da stampare sul frigo. È piuttosto un diario di bordo tragicomico, una guida spirituale travestita da sit-com, un romanzo che parte con l’idea di scappare da Milano e finisce per farci fare i conti con ciò che davvero conta.

La trama? Semplice, sulla carta. Una famiglia post-pandemica – madre, padre, figlio e una gatta che guarda tutti dall’alto in basso – decide di mollare tutto e trasferirsi a Londra. In macchina. Una fuga senza effetti speciali, ma con molti effetti collaterali: dalla burocrazia che sembra una corsa a ostacoli, ai bagni pubblici introvabili, ai topi d’appartamento che non sono metafore. Londra, qui, è tanto caotica quanto terapeutica. Una giungla digitale e multietnica dove, se non hai una bussola interiore (o almeno Google Maps), rischi di perdere l’orientamento… e anche la pazienza.

Eppure, proprio in questo caos, Sangalli trova poesia, ritmo e autoironia. La sua scrittura è teatrale, brillante, con qualche fuori pista lirico. Ogni capitolo sembra una scena da recitare, con frasi brevi, battute taglienti e riflessioni che arrivano dritte al punto (e anche un po’ al cuore). Il suo alter ego narrante – mai nominato ma subito familiare – ci accompagna in questo viaggio tra spaesamenti linguistici, epifanie al supermercato e incontri che sembrano usciti da un casting inappuntabile.

E non mancano i grandi temi, nascosti tra una risata e una citazione colta: la crisi di senso, la maternità, la memoria, la morte della Regina Elisabetta (!), il Carnevale di Notting Hill e, in sottofondo, le voci di Woolf, Joyce, Svevo e Zanzotto, che fanno capolino senza mai risultare ingombranti. C’è cultura, ma senza pedanteria. C’è profondità, ma senza zavorre.

Il cuore della storia, però, è la famiglia. Questa micro-comunità sgangherata ma affiatata che, tra piccioni, gatti e incomprensioni, riscopre la complicità dei piccoli gesti. Non c’è la rivoluzione, c’è l’evoluzione. Non c’è il salto nel vuoto, ma una danza goffa e tenera sull’orlo del cambiamento.

Sangalli non pretende di insegnarci nulla. Non c’è moralismo né manuale di sopravvivenza. C’è semmai un grande invito alla leggerezza consapevole, quella che ti permette di ridere delle tue insicurezze e di abbracciare l’imperfezione. Il tutto con humour che non consola, ma libera.

A Londra non serve l’ombrello è insomma molto più di un romanzo di viaggio. È un piccolo breviario esistenziale con l’accento british e il cuore milanese. È una chiamata alle armi dolce e ironica per chi ha voglia di rimettersi in gioco senza rifarsi il guardaroba (ma magari aggiornando la SIM). È un invito a perdere il controllo… con grazia.

E alla fine, tra un fish and chips e un verso di slam poetry, scopriamo che forse, davvero, non serve un ombrello per affrontare la vita. Serve solo lo sguardo giusto. E magari una gatta. Che ti osserva come se avesse capito tutto da sempre.

VINCENZO SARDELLI