Una gran gag, il disco più stupido di sempre, avanguardia vera, la rappresentazione plastica del concetto di “trollata” in anticipo di svariati decenni, il vaffanculo definitivo alla major rapace e amorale che spreme l’artista come un limone prima di disfarsene (e allora meglio giocare d’anticipo), l’anticipatore del noise – elettrico, elettronico, è lo stesso – un caposaldo fondamentale tanto quanto il primo dei Black Sabbath per quel che ci riguarda, una roba involontariamente comica frutto di uno schiacciante complesso di inferiorità verso il socio John Cale (dei due quello che aveva studiato, quello con le collaborazioni serie e gli amici importanti); comunque sia andata, Metal Machine Music resta un mistero a 50 anni di distanza, lo resterà per altri 50 e in generale fino a quando esisteranno persone capaci di collocare Lou Reed e i dischi che ha fatto nel contesto spaziotemporale in cui sono usciti. O anche senza il contesto, lo fai partire e vedi come ti prende: 64 minuti di chitarre elettriche in feedback suddivisi in quattro frazioni da 15/16 l’una per i limiti strutturali dell’epoca, potenzialmente moltiplicabili all’infinito nell’ultima traccia – il lato D termina con un solco chiuso, praticamente il disco finisce quando rimuovi fisicamente la puntina dal giradischi (la divisione in quattro tracce invece è rimasta tale nelle successive edizioni in CD, nei rip illegali ed è ancora così nelle piattaforme di streaming legale). Non c’è nient’altro, il disco è tutto così: in pratica il suono che senti dentro la scatola cranica dopo che sei tornato a casa da un concerto o una serata in discoteca o un rave di svariati giorni, in tutti i casi a volumi particolarmente impegnativi. Quegli arricciamenti dove sembra che il cervello si stia lentamente accartocciando mentre il tempo si dilata; possono farti volare come portarti alla pazzia (con o senza droghe in corpo, non è questa la discriminante), e dal momento in cui ci sei dentro puoi solo assecondare il flusso o sperare che passi in fretta.
Quanto al perché Lou Reed l’abbia fatto, le ipotesi sono diverse, tutte ugualmente valide: il disco prima è Sally Can’t Dance, il suo più grande successo commerciale, la RCA ne voleva un altro e contrattualmente entrambi avevano le mani legate (lui non poteva andarsene, loro dovevano pubblicare qualunque cosa avesse presentato); John Cale già dai tempi dei Velvet Underground usciva anche con la sua cricca di amici istruiti – Tony Conrad, La Monte Young e corrieri psichici similari – per live fluviali e abusi di varie sostanze psichedeliche che potevano andare avanti per settimane, mentre la sua balotta consisteva in tossici, travestiti e marchettari senza alcun talento né velleità in campo artistico: nella sua mente, Metal Machine Music poteva essere la sua rivalsa a partire dal burlesco sottotitolo, proseguendo nel delirante spiegone che occupa parte della copertina e tutto l’inserto centrale, fino alla lista (fasulla) di apparecchiature e tecniche utilizzate per la registrazione, meticolosamente annotate nel retro copertina con delirio sgrammaticato di informazioni battute a macchina o scritte a mano e psichedeliche equazioni da mandare in paranoia un fonico E un matematico contemporaneamente. Lou Reed non si è mai espresso pubblicamente sulla natura, l’intento, le origini di Metal Machine Music ai tempi. Nel 2002 l’ha proposto per la prima e unica volta dal vivo a Berlino in una versione ‘sinfonica’ riarrangiata dal compositore tedesco Ulrich Krieger ed eseguita dall’ensemble Zeitkratzer (non nuovo a riletture orchestrali del repertorio di colossi per musicologi, topi da conservatorio e/o matti totali come John Cage, Alvin Lucier, Karlheinz Stockhausen, Iannis Xenakis etc); non sono andato a vederlo e se abbia rilasciato dichiarazioni in quell’occasione non ne ho memoria. Di certo, senza Metal Machine Music la musica amplificata farebbe molto meno rumore, dischi come Loveless dei My Bloody Valentine o i primi quattro degli Earth non sarebbero mai usciti, e una lista interminabile di musicisti non avrebbe una carriera – da Merzbow agli HELMET, da Steve Albini agli Anal Cunt. In questo senso, Metal Machine Music è la cosa più importante successa alla musica elettrica dopo l’invenzione dell’amplificatore. (Matteo Cortesi)