Si fa presto a dire Mission: Impossible. L’ultimo (ultimo?) capitolo della saga di Ethan Hunt, presentato a Cannes, non ha avuto il successo che si sperava, così come era successo al precedente, insomma i due Reckoning non hanno brillato. Ma se ci concentriamo sulla saga, pensando al primo capitolo di Brian De Palma o l’adrenalinico sequel diretto da John Woo, ebbene il film più bello, appassionante, meglio scritto, diretto e più raffinato è stato Mission: Impossible – Rogue Nation. Fu il primo diretto da Christopher McQuarrie ed anche quello in cui la saga di Hunt si è maggiormente collegata alla spy story classica, vintage potremmo dire. Assieme però, ha saputo anche essere incredibilmente innovativo, a tratti spiazzante, mostrarci un’evoluzione di Ethan Hunt reale, palpabile, rinnovare il suo universo ed i suoi protagonisti. Soprattutto, ha tolto parte del peso dalle spalle di Tom Cruise senza intaccarne la presenza e centralità, con un personaggio femminile da sturbo come Ilsa Faust, una graffiante e sensualissima Rebecca Ferguson. Qualcuno malignamente potrebbe dire che forse è lei alla fine la vera protagonista, il che è una provocazione eccessiva, ma di certo è la prima, vera, co-protagonista della saga, in un film che va a razzo ma sa prendersi anche i suoi tempi, che introduce il mitico “Sindacato”, sorta di copia-carbone della Spectre bondiana, e un villain raggelante e magnifico come il Solomon Lane di Sean Harris.

Un Mission: Impossible diverso da tutti gli altrimission impossible rogue nationpinterest

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Mission: Impossible – Rogue Nation è l’apice del “cruisismo” già nella scena iniziale, girata naturalmente senza stuntman, anzi con un solo stuntman: Tom Cruise, appeso ad un c-130 in volo, con del gas nervino da riportare a casa. Poi ecco che ci si sposta a Londra, dove Solomon Lane si palesa, con esso il Sindacato e mette nei guai Ethan e l’IMF, già sotto pressione da parte di del Direttore della CIA Alan Hunley (Alec Baldwin) che la vorrebbe chiudere. Mission: Impossible – Rogue Nation è il più europeo della saga, ad eccezion fatta del primo naturalmente, ma non semplicemente per le location, quanto per lo stile, l’atmosfera dove spesso si ha come l’impressione di essere tornati ai tempi delle spy story della Golden Age. Il film ha la capacità di sposare anche per tono e umorismo lui, James Bond, l’alter ego di Ethan Hunt. Questo è anche però il più “bondiano” dei film della saga, lo è per la fantasia, per questo Sindacato che è un vero e proprio esercito ombra, in quanto tale ha i suoi codici, le sue divise, la sua gerarchia e lui, Solomon Lane. Sean Harris lo rende un incrocio tra il Dottor No e Blofeld. Rabbioso, determinato, motivato da un odio insaziabile, è però anche un terrorista radicale che mira a distruggere l’ordine mondiale, a cambiare il mondo. Mirabile gioco di specchi e di illusioni, il film illude sempre su una verità ultima, che poi sfugge, sul più bello, un po’ come fa lei, Ilsa Faust, una vera e propria boccata d’aria fresca per la saga, anzi per il genere in sé, per il concetto di eroina femminile.

Una grande co-protagonista femminile

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Rebecca Ferguson pareva sempre sul procinto di esplodere, ma le mancava sempre quel qualcosa, la parte giusta. Questa è stata quella parte, a conti fatti se sia in questo film che nel capitolo successivo, la saga ha raggiunto il suo apice assoluto di perfezione, è stato soprattutto grazie a lei. Rispetto agli altri personaggi femminili visti nel mondo di Hunt, porta qualcosa di incredibilmente diverso, più sfaccettato, più misterioso e anche oggettivamente molto più seducente. Qualcuno la definirà una bond girl potenziata, ma la realtà è che Ilsa Faust è un’altra Ethan Hunt, è molto più di una bond girl, definizione adatta spesso a personaggi che, almeno fino al ciclo di Daniel Craig, erano poco più di corpi al servizio del maschio alpha per eccellenza. Lei invece, agente dei servizi segreti britannici sotto copertura, alla ricerca di una lista, un file, che appare e scompare continuamente, dietro cui c’è la reale origine del Sindacato come operazione ombra dal governo britannico, come Ethan Hunt è costretta ad improvvisare. Si muove per tutto il film sulla lama di un rasoio che diventa sempre più sottile. Ma intanto, eccola presentarsi con un metro di gamba da schianto nella straordinaria sequenza dell’attentato al cancelliere austriaco all’opera di Vienna. Momento cinematograficamente altissimo, uno dei tanti con cui il film omaggia Alfred Hitchcock, con un ritmo, un montaggio e una serie di colpi di scena semplicemente straordinari. Lei è lì, letale, ma sempre in fuga.

Un film che si muove tra modernità e classicismo

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Tom Cruise beneficia della presenza della Ferguson, il suo Ethan Hunt è reso ancora più umano, più vulnerabile perché fin dall’inizio, subisce il fascino e la personalità di questa strana alleata occasionale, a cui non riesce a stare minimamente dietro, di cui non sa mai a comprendere completamente le intenzioni pur fidandosi istintivamente.

Mission: Impossible – Rogue Nation vede il solito cast di contorno con Simon Pegg, Ving Rhames, Jeremy Renner, come new entry Simon McBurney, Tom Hollander, che aiutano l’insieme a strizzare l’occhio alla spy story britannica di John le Carré, Frederick Forsyth. C’è un’altra sequenza che è diventata tra le più spettacolari della saga, quella dell’hard drive nella turbina idroelettrica. Lì appare chiaro che Ethan Hunt non è invincibile, che anche lui ha dei limiti. Non fosse per Ilsa morirebbe, Ilsa che fa il doppio, triplo, quadruplo gioco, ma che la Ferguson riesce sempre a far apparire dominata da una paura e da una tensione estreme. Mission: Impossible – Rogue Nation è anche l’inizio di una grande storia d’amore inespressa, perché è un dato di fatto che i due siano fortemente attratti l’uno dall’altra. Allo stesso tempo sono costretti a stare distanti, per vocazione e dovere, hanno un fiore in una mano e una pistola nell’altra. Eppure, fateci caso, nella vita di Ethan Hunt nessun’altra donna conterà di più, nessun’altra lo porterà così vicino al punto di rottura. Potremmo in effetti dire che l’uno per l’altra rappresentano la tentazione di mollare tutto.

Un film capace di non calare mai di ritmo

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Mission: Impossible – Rogue Nation è però anche un magnifico carosello di inseguimenti in moto a Casablanca, di sparatorie, salti da palazzi, è quel giubbetto bomba addosso a Benji, la fuga per la Londra, Solomon Lane, predatore che infine diventa preda, in un finale rocambolesco e che avrebbe strappato sicuramente un sorriso sia da Arthur Conan Doyle che ad Ian Fleming. Sì perché c’è anche qualcosa di loro in questo film, in Lane che strizza l’occhio a Moriarty, come lui è un pianificatore gelido e professionale, una mente criminale geniale, ma come lui proprio il fatto di saperlo risulterà infine il suo tallone d’Achille. Maschere? Anche quelle non mancano, così come battute, segreti svelati, Mission: Impossible – Rogue Nation diventa alla fin fine bene o male anche una sorta di buddy movie collettivo. Ci dona l’immagine di un mondo in cui i paesi sono privi di moralità e trasparenza, ma in cui il gioco è rimasto lo stesso dai tempi della Guerra Fredda. Il film avrà un grande successo di pubblico e critica, che diventeranno ancora più massicce quattro anni dopo, quando uscirà Mission: Impossible – Fallout, un altro gioiello del genere. A 10 anni di distanza, dopo la catastrofica morte di Ilsa nel penultimo episodio, dopo questo finale un po’ mesto anche se coerente, Mission: Impossible – Rogue Nation rimane l’apice di un certo modo di intendere il cinema, in particolare il blockbuster spy action, a cui abbiamo dovuto dire addio.

Headshot of Giulio Zoppello

Sono nato a Padova nel 1985, da sempre grande appassionato di sport, cinema e arte, dopo dodici anni come allenatore e scoutman professionista nel mondo della pallavolo, ho deciso di intraprendere la carriera di giornalista.
Dal 2016 ho cominciato a collaborare con diverse riviste cartacee e on-line, in qualità di critico ed inviato presso Festival come quello di Venezia, di Roma e quello di Fantascienza di Trieste.
Ho pubblicato con Viola Editrice “Il cinema al tempo del terrore”, analisi sul cinema post-11 settembre. Per Esquire mi occupo di cinema, televisione e di sport, sono in particolare grande appassionato di calcio, boxe, pallavolo e tennis.
In virtù di tale passione curo anche su Facebook una pagina di approfondimento personale, intitolata L’Attimo Vincente.
Credo nel peso delle parole, nell’ironia, nell’essere sempre fedeli alla propria opinione quando si scrive e nel non pensare mai di essere infallibili.