E’ stata pronunciata poco fa in aula la sentenza di primo grado sull’omicidio di Alice Neri. Ed è stata una sentenza di condanna. Mohamed Gaaloul, unico imputato a processo per il barbaro assassinio della giovane mamma di Ravarino, è stato condannato a 30 anni di carcere. La Corte d’Assise di Modena, presieduta dalla giudice Ester Russo, ha ritenuto il 31enne tunisino colpevole dei reati di omicidio volontario e di distruzione di cadavere.

Sono quindi state accolte a pieno le richieste della pubblica accusa, sostenuta dai pm Claudia Natalini e Giuseppe Amara, dopo le indagini condotte dall’Arma dei Carabinieri che erano riusciti a individuare il nordafricano come presunto autore del delitto, avvenuto come si ricorderà nel novembre 2022 nelle campagne di Concordia.

Il Tribunale ha poi stabilito anche 5 anni di libertà vigilata al termine della reclusione e i risarcimenti destinati alla figlia piccola di Alice (1 milione di euro), della famiglia e delle parti civili

Reazioni in aula

La sentenza è arrivata al termine di tre lunghi anni di indagini e fasi processuali, per nulla semplici. Si è trattato di procedimento complesso, di natura indiziaria, con un duro confronto tra le parti in causa e un’eco mediatica importante.

La lettura della sentenza è stata accolta da un applauso del folto pubblico presente nell’aula della Corte d’Assise, con la Presidente Russo che ha invitato i presenti al silenzio e al rispetto.

Una volta concluso l’intervento della Presidente, lo stesso Mohamed Gaaloul è intervenuto ad alta voce dal proprio banco, mentre veniva preso in consegna e accompagnato fuori dagli agenti della Polizia Penitenziaria. Ribadendo l’innocenza che ha professato in questi anni, il giovane ha più volte indicato e baciato il cielo, sostenendo: “Non sono colpevole, lo giuro su Dio”. Ciò ha provocato mormorii e insulti da parte di alcune persone del pubblico, spenti poi in pochi istanti.

La lettura della sentenza-2

La difesa guarda già all’Appello

“Il prossimo passo sarà l’appello”, ha commentato a caldo l’avv. Roberto Ghini, legale di Gaaloul. Ghini ha detto di aver comunque trovato il suo assistito abbastanza sereno, di voler andare avanti e di essere fiducioso in un ribaltamento nei prossimi gradi di giudizio.

“Se ci sono sentenze che sovente vengono ribaltate, sono proprio quelle delle corti d’assise, dove pesa molto la “pancia”, cioè l’istinto, non la razionalità – ha dichiarato Ghini – Dal punto di vista razionale questa sentenza non può stare in piedi. Sono fiero del lavoro che abbiamo fatto con il mio studio, ma ovviamente non soddisfatto del risultato. Avevo invitato la corte ad essere coraggiosa, laica, lucida e razionale: non lo è stata, perchè le prove non ci sono per arrivare a una sentenza di condanna. Quindi confido serenamente nell’appello”.

Soddisfazione per la famiglia

Visibilmente soddisfatti i magistrati inquirenti, seppur la Procura non abbia voluto rilasciare alcun commento sull’esito del processo. Abbracci e pacche sulle spalle si sono susseguite al termine dell’udienza, con i legali della famiglia che si sono stretti intorno alla madre e al fratello di Alice.

“Alice non tornerà più e comunque la condanna di un essere umano non può essere mai un piacere – ha commentato l’avv. Cosimo Zaccaria, legale della famiglia di origine – Ma da un punto di vista professionale e morale oggi esprimo massima soddisfazione”. “Abbiamo messo un ‘puntino sulle i’ soprattutto su una serie di circostanze non veritiere che per tre quarti del processo hanno invaso l’opinione pubblica screditando la figura di Alice Neri”.

Ha poi aggiunto l’avv. Marco pellegrini: “La sentenza senza dubbio ci soddisfa. È stato uno sforzo prima di tutto investigativo, per cui va reso merito ai Carabinieri che a volte sono stati spesso tacciati di superficialità. In realtà credo che abbiano fatto un lavoro incredibile, sia umano che professionale. La procura della Repubblica ha compiuto uno sforzo eccezionale. Il dibattimento in Corte d’assise è stato incredibilmente ricco, che credo abbia fornito tutte le garanzie alla difesa e abbia permesso di esplorare tutti i temi, anche quelli forse più lontani inizialmente dalle nostre idee. Una sentenza di condanna è quello che noi abbiamo sempre creduto dall’inizio – ha concluso Pellegrini – e su cui abbiamo combattuto: oggi, dopo un lungo percorso, possiamo finalmente dare ai nostri assistiti le risposte che cercavano”.