Donald Trump ha ordinato alla Nasa di spegnere i satelliti più avanzati al mondo nel monitoraggio dell’anidride carbonica, ha licenziato la direttrice del Bureau of Labor Statistics Erika L. McEntarfer accusandola di aver falsificato i dati sul mercato del lavoro, ha tagliato – con l’aiuto del Segretario della Salute e dei Servizi umani Robert F. Kennedy Jr. – contratti per quasi cinquecento milioni di dollari destinati alla ricerca sui vaccini a mRna. E questa è una cronaca solo dell’ultima settimana.

La deriva antiscientifica dell’amministrazione repubblicana è al contempo folle e chirurgica; si fonda su una strategia ramificata, basata sulla cancellazione dei dati e la diffusione di fake news che investono la medicina, il lavoro, il clima, l’alimentazione e molto altro. È trascorso meno di un anno dall’insediamento di Trump, ma l’immagine dell’America come faro globale della scienza libera è già profondamente compromessa.

Attacchi alle rinnovabili e deregulation
Dopo aver ridotto i finanziamenti alla National Oceanic and Atmospheric Administration (Noaa) e a tutte le agenzie federali che si occupano di ricerca sul clima, Donald Trump – rispettando le promesse del suo discorso di insediamento – si sta concentrando sullo smantellamento definitivo dell’Inflation Reduction Act (Ira), approvato nel 2022 dall’amministrazione di Joe Biden. Si tratta di un piano da trecentosessantanove miliardi di dollari per stimolare la transizione energetica anche attraverso consistenti aiuti economici per la cittadinanza. Di fatto, è il più grande investimento sul clima non solo della storia americana, ma globale. 

Per recuperare i fondi stanziati dalla precedente amministrazione, Trump vuole revocare i sette miliardi di dollari di incentivi fiscali pensati per le famiglie a basso e medio reddito che vogliono installare pannelli solari (consapevoli dei benefici in bolletta). 

Quei sette miliardi fanno parte del programma Solar for All, uno degli elementi cardine dell’Ira di Biden. Negli ultimi due anni circa, i bandi dell’Agenzia federale per la Protezione Ambientale (Epa) hanno selezionato i sessanta enti – in gran parte organizzazioni no-profit e governi locali – incaricati di gestire e allocare gli incentivi per finanziare progetti solari: dalle comunità energetiche al fotovoltaico residenziale, passando dai corsi di formazione per chi punta a lavorare nel settore delle rinnovabili. «Oltre novecentomila famiglie a basso reddito e svantaggiate potranno beneficiare dell’energia solare prodotta», si legge sul sito ufficiale dell’Epa. 

Secondo il New York Times, però, la stessa Epa sta già preparando le lettere con cui comunicherà ai sessanta enti l’annullamento del programma e la revoca dei fondi, già stanziati per intero (ma non è noto quanti siano stati effettivamente spesi). Se approvata, questa decisione verrà molto probabilmente impugnata dai beneficiari degli incentivi, che hanno programmato l’avvio di progetti a energia solare in tutto il Paese, soprattutto – paradossalmente – negli Stati a guida repubblicana come il Texas. 

Le indiscrezioni in merito al programma Solar for All sono emerse a pochi giorni di distanza da quella che Lee Zeldin, amministratore dell’Epa, ha definito senza vergogna «la più grande azione di deregolamentazione nella storia degli Stati Uniti». Il 29 luglio, l’Agenzia federale per la Protezione Ambientale ha presentato una proposta legislativa per abrogare l’Endangerment Finding, un provvedimento approvato nel 2009 dall’amministrazione di Barack Obama sulla base di una sentenza emanata nel 2007 dalla Corte Suprema degli Stati Uniti. 

Il verdetto della Corte fu rivoluzionario per due ragioni: giudicò i gas serra dannosi anche per la salute pubblica e sottolineò il consistente impatto climatico-ambientale delle automobili, che negli Stati Uniti – dove non esiste un sistema ferroviario ad alta velocità – restano la prima, ma anche la seconda e la terza, opzione a livello di mobilità familiare: ci sono circa settecento vetture ogni mille abitanti. La sentenza e la legge successivamente approvata trasferirono all’Epa il potere di emanare norme anti-inquinamento e di stabilire nuovi target sul taglio delle emissioni di gas serra (anidride carbonica, metano e così via), biossidi di azoto e particolato fine. 

Se la riforma dovesse passare – l’iter legislativo è piuttosto contorto e nulla è scontato –, l’Epa verrebbe privata di qualsiasi autorità e l’ambizione climatica degli Stati Uniti calerà ulteriormente. Tra le oltre trenta norme “verdi” a rischio di revoca c’è quella sull’obbligo di imporre limiti alle emissioni allo scarico, nella speranza di stimolare la produzione di veicoli elettrici da parte delle case automobilistiche. 

Secondo Zealan Hoover, ex consigliere di punta dell’Epa, «l’amministrazione Trump sta sostenendo una posizione estrema secondo cui le emissioni non danneggerebbero né la salute né l’economia americana. È una visione che va contro decenni di ricerca scientifica e che ignora le persone che stanno già affrontando le conseguenze dell’innalzamento del livello del mare, del caldo estremo, degli incendi e delle inondazioni». 

Addio ai dati sul clima
Anche sulla transizione ecologica, Donald Trump ci tiene a vincere la gara di chi la spara più grossa: l’esempio forse più eclatante riguarda la sua ossessione per le pale eoliche, ritenute – senza basi scientifiche – dannose per la fauna marina e la salute degli esseri umani (pensa che facciano venire il cancro). Queste dichiarazioni vengono usate come armi di distrazione di massa per nascondere il reale obiettivo dello “smantellamento climatico” della sua amministrazione: cancellare i dati, che rappresentano il punto di partenza per qualsiasi legge, riforma o campagna di comunicazione. Senza i numeri, non vai da nessuna parte.

Trump sta cercando non solo di ignorare la realtà, ma di rimodellarla per ingannare una cittadinanza sempre più colpita dalle conseguenze del riscaldamento globale di origine antropica. Dal 1980 al 2024, gli Stati Uniti hanno vissuto 403 eventi meteorologici estremi che hanno causato più di un miliardo di danni ciascuno: parliamo di una cifra totale pari a 2.918 miliardi di dollari di perdite economiche. Questi dati sono (erano) contenuti all’interno di un database – il Billion-Dollar Weather and Climate Disasters della Noaa – che l’amministrazione Trump ha già eliminato. Dai siti delle agenzie federali è poi scomparso ogni riferimento esplicito al cambiamento climatico, che il presidente statunitense ha spesso definito una «bufala». 

A luglio, Trump ha deciso – a partire dal 2026 – di tagliare i fondi destinati all’osservatorio di Mauna Loa per la ricerca sul riscaldamento globale. Situata su un vulcano delle Hawaii a più di tremila metri sopra il livello del mare, la struttura è essenziale per raccogliere dati sui mutamenti del clima, sulla concentrazione di anidride carbonica nell’atmosfera e sulla previsione di eventi meteorologici estremi.

La previsione dei disastri naturali è un tasto dolente a causa della recente alluvione in Texas, dove sono morte più di centoventi persone. La stessa Kristi Noem, segretaria alla Sicurezza interna degli Stati Uniti, ha ammesso che qualcosa non ha funzionato: «Il sistema (meteorologico, ndr) si è bloccato quando ha raggiunto la zona». Gli allarmi sono arrivati in ritardo e molti cittadini sono stati travolti dall’esondazione del Guadalupe mentre dormivano. Quella appena descritta è una situazione precaria che non può che peggiorare a causa della negligenza dell’amministrazione repubblicana.

Dopo l’alluvione in Texas (AP Photo/LaPresse, ph. Ashley Landis)

I tagli di Trump hanno messo in ginocchio il National Weather Service (Nws), l’agenzia federale che si occupa delle previsioni del tempo. A maggio, oltre il quaranta per cento degli uffici territoriali aveva tassi di personale vacante superiori al venti per cento; a giugno, i licenziamenti totali hanno toccato quota seicento, e almeno otto stazioni hanno smesso di essere attive ventiquattr’ore su ventiquattro. La stazione di Austin/San Antonio, responsabile delle aree colpite dall’alluvione, ha drammatici buchi al vertice che – secondo molti esperti – stanno già abbassando la qualità delle previsioni meteorologiche. 

Come se non bastasse, il bilancio della Casa Bianca per il 2026 ha escluso tutti i fondi destinati agli Orbiting Carbon Observatories della Nasa, ossia i due satelliti che monitorano con precisione i punti di emissione e assorbimento dell’anidride carbonica. Una delle piattaforme è situata a bordo della Stazione Spaziale Internazionale, mentre l’altra è un satellite autonomo lanciato undici anni fa. 

In una nota rilasciata mercoledì 6 agosto, la Nasa ha scritto che le due missioni sono state cancellate per «rispettare l’agenda e le priorità di bilancio del presidente». Stiamo parlando dei satelliti più sensibili e precisi al mondo nella raccolta di dati riguardanti la CO2. Grazie a loro, per rendere l’idea, gli scienziati hanno scoperto che la foresta pluviale amazzonica emette più anidride carbonica di quanta ne assorba. 

Ricerca scientifica e finanziamenti
La ricerca scientifica è un pilastro strategico della leadership economica e tecnologica degli Stati Uniti. Il merito è di una struttura fondata su un sistema di finanziamenti federali che alimenta una rete fittissima di università, laboratori e agenzie come il National Institutes of Health (Nih), la National Science Foundation (Nsf), la Nasa, il Centers for Disease Control and Prevention (Cdc). In questo ecosistema, ogni dollaro investito restituisce, secondo varie stime, fino a cinque dollari in termini di crescita economica. Ma con il ritorno alla Casa Bianca di Donald Trump questo meccanismo si è inceppato.

Già lo scorso aprile, le prime bozze del bilancio federale avevano rivelato tagli senza precedenti: fino al cinquanta per cento in meno per la Nsf e al quaranta per il Nih, giusto per fare due esempi. L’impatto è stato immediato. La presidente della National Science Foundation, Sethuraman Panchanathan, si è dimessa dopo che Trump ha revocato più di quattrocento finanziamenti per la ricerca attiva. E nella prima metà dell’anno il National Institutes of Health ha assegnato il cinquantaquattro per cento in meno di nuovi finanziamenti rispetto alla media del decennio precedente, con quasi tremila sovvenzioni cancellate – quasi tutte quelle legate a temi di diversità, giustizia ambientale, persone transgender, comunità Lbgtq+, o vaccini.

L’amministrazione Trump non incide solo sui numeri e sui fondi, sta provando a stravolgere l’intero impianto che regge la ricerca scientifica in America. A maggio, il presidente ha firmato l’ordine esecutivo “Restoring Gold Standard Science” che, dietro una retorica apparentemente neutra, nasconde l’intenzione di lasciare in mano all’esecutivo il potere di stabilire cosa costituisca “buona” o “cattiva” scienza. Siamo all’ingegneria ideologica. Per la comunità accademica è stato un segnale d’allarme: come riporta Valigia Blu, il decreto attribuisce alle nomine politiche di Trump un ruolo di sorveglianza e supervisione dei lavori delle agenzie federali, per sanzionare presunte deviazioni metodologiche, aprendo la strada alla censura o alla distorsione sistemica dell’evidenza scientifica.

Licenziamenti di massa
Decine di migliaia di ricercatori si sono trovati senza sostegno economico o, nel peggiore dei casi, senza lavoro. Nature ha documentato il taglio di migliaia di posti solo nei primi tre mesi dell’amministrazione, con circa diecimila licenziamenti solo nel Dipartimento della Salute e dei Servizi Umani. Questi tagli non hanno solo indebolito la capacità interna di produrre conoscenza: stanno anche compromettendo il soft power scientifico americano, cioè la capacità degli Stati Uniti di attrarre menti brillanti da tutto il mondo.

Storicamente, le università americane sono state terreno fertile per studiosi europei e asiatici, offrendo grandi risorse e un ambiente stimolante. Ora, il trend si è invertito: sono i centri di ricerca americani a parlare di fuga di cervelli, con accademici che rifiutano posizioni di lavoro per trasferirsi nel Regno Unito, in Canada o in Europa. Secondo Alec Ross della Bologna Business School, sentito da Agenda Digitale, si tratta di uno degli errori strategici più gravi dell’amministrazione Trump: non solo si impoverisce il capitale umano, ma si compromette l’immagine globale dell’America come faro della scienza libera.

AP/Lapresse

Delirio antivaccinista (Kennedy Unchained)
Prima dell’insediamento di Trump, una delle principali preoccupazioni dell’opinione pubblica riguardava il personale che avrebbe composto la nuova amministrazione: a differenza del primo mandato, non ci sarebbero stati Repubblicani più razionali e moderati, perché negli ultimi anni il trumpismo ha infettato il partito fino alle radici. Uno dei settori in cui questa condizione si è abbattuta con maggior forza è quello della salute pubblica.

La nomina di Robert F. Kennedy Jr. a capo del Dipartimento della Salute e dei Servizi Umani (Hhs) ha stravolto consuetudini e buone pratiche costruite in decenni di lavoro rigoroso, con il metodo scientifico come stella polare. Kennedy è un antivaccinista noto per le sue posizioni complottiste e antiscientifiche, il fatto che sia responsabile delle principali agenzie federali in materia di salute è un pericolo per i cittadini americani e di tutto il mondo.

Kennedy ha sfruttato la sua posizione per portare nel dibattito pubblico scetticismo verso la medicina ufficiale, delegittimazione degli enti regolatori e una retorica “naturalista” che cela una profonda ostilità verso la scienza medica contemporanea. In questo modo ha dato respiro a una retorica pseudoscientifica un tempo marginale.

Appena insediato, pronti-via ha smantellato il comitato consultivo sui vaccini dei Centers for Disease Control, sostituendo i suoi membri con figure apertamente contrarie ai vaccini. Per non farsi mancare niente, questa settimana ha cancellato quasi cinquecento milioni di dollari in contratti pubblici per lo sviluppo di vaccini a mRNA, giustificando il taglio in nome della trasparenza e della sicurezza. L’unico risultato possibile per questo approccio è un Paese più fragile, con una fiducia deteriorata nei confronti dell’approccio scientifico, quindi più vulnerabile a epidemie e pandemie.

Kennedy contro Big Food
Kennedy ha diffuso teorie prive di fondamento anche su altri fronti, come la fantomatica superiorità del latte crudo rispetto a quello pastorizzato. Quella che un tempo era una moda di nicchia, oggi è diventata una bandiera del conservatorismo anti-establishment americano: bere latte crudo è diventato un gesto di sfida contro gli enti regolatori, soprattutto la Food and Drug Administration (Fda). E questo nonostante sia associato a gravi rischi sanitari documentati – dal contagio da Salmonella, Listeria ed E. coli, fino alla presenza del virus H5N1 dell’influenza aviaria. L’idea che il latte crudo sia «più naturale e più salutare» di quello pastorizzato è ampiamente smentita dalla letteratura scientifica. Eppure Kennedy è riuscito a renderlo di moda.

La battaglia contro il latte pastorizzato rientra in una guerra più ampia dell’amministrazione Trump contro le conoscenze ormai sedimentate in materia di alimentazione pubblica, nutrizione e sicurezza alimentare. Una lotta iniziata fin dall’inizio del mandato e culminata nella pubblicazione del rapporto Make Our Children Healthy Again (poi ribattezzato, con una piccola forzatura, in Maha) pubblicato lo scorso 22 maggio. Anche qui, immancabilmente, Kennedy reclama un ruolo da protagonista sul palco.

Il documento di settantotto pagine è un concentrato di teorie antiscientifiche, definizioni prive di fondamento empirico e posizioni ideologiche. La diagnosi di partenza per tutto ciò che riguarda l’attuale alimentazione della popolazione americana può essere considerata legittima – si parla ad esempio di abuso di zuccheri raffinati o scarsa qualità della dieta scolastica – ma i provvedimenti che suggerisce sono fuori dal mondo.

AP Photo/LaPresse, ph. Nam Y. Huh

Nel quadro delle politiche Maha, Kennedy ha messo al centro di tutto la lotta agli alimenti ultra-processati, definendoli «veleno» e principali responsabili della diffusione di diabete, obesità e disturbi cronici negli americani. Ma dopo aver individuato la causa del problema, l’amministrazione Trump ha iniziato a correre nella direzione opposta. A marzo 2025, ad esempio, il Dipartimento dell’Agricoltura ha tagliato programmi chiave come il Farm to School Grant e Local Food for Schools and Childcare, che favorivano l’accesso a cibi freschi per i bambini nelle scuole pubbliche e sostenevano l’economia agricola locale. Una scelta «autolesionista» secondo molti nutrizionisti.

In questi mesi c’è stato un progressivo smantellamento delle strutture tecniche di ricerca e consulenza sulla sicurezza alimentare. A marzo, ad esempio, l’amministrazione Trump ha eliminato due agenzie cruciali: il National Advisory Committee on Microbiological Criteria for Foods (Nacmcf) e il National Advisory Committee on Meat and Poultry Inspection (Nacmpi), fondamentali nel fornire consulenza strategica e nel definire le contromisure contro alcune malattie, come la listeriosi che nel 2024 ha provocato un’epidemia mortale legata a salumi contaminati. È il nonsense di un approccio contraddittorio e populista: si denunciano i pericoli di un’industria alimentare fuori controllo, ma si smantellano le strutture che potrebbero trovare rimedi e soluzioni.

Manipolazione dei dati
La comunicazione politica spesso si industria in lavori di taglia e cuci per nascondere i numeri scomodi, ritoccare i dati sconvenienti, evidenziare ogni piccolo successo statistico. La settimana scorsa Trump ha elevato tutto a potenza, arrivando a metodi da regime sovietico. Venerdì 1 agosto, il presidente ha licenziato la direttrice del Bureau of Labor Statistics Erika L. McEntarfer, perché non gli sono piaciuti i dati preoccupanti sull’occupazione a luglio.

Secondo lui erano «rigged», cioè truccati. Come se il governo italiano licenziasse il capo dell’Istat dicendo che manomette i dati per metterlo in difficoltà. Nella sua newsletter Forzalavoro, Lidia Baratta questa settimana scrive: «I giochi di prestigio statistici sono comuni, così come l’occultamento dei numeri scomodi. Ma le “epurazioni statistiche” di Trump rischiano di essere più radicali, denunciando che molte pagine online delle agenzie governative statistiche ora danno “errore 404”. Scomparse, in pratica».