Se siete di quelli che non fanno gli schizzinosi con le cover band 2.0 dovreste godervi gli anglo-jugoslavi POWER SURGE, a proposito dei quali nominare gli Armored Saint come una semplice influenza non sarebbe serio. Il cantante Roko Nicolić imita alla perfezione lo stile di John Bush, nominato “miglior cantante al mondo” con un plebiscito di redazione al quale non è possibile appellarsi (siete avvisati). Anche musicalmente, Shadows Earning è un deja-vù di quel modo lì di intendere il Metallo, ruggente, melodico, malinconico ma battagliero. Epica americana, in tutto e per tutto, lancia in resta e motore che romba. Quindi, ecco, per un nostalgico (che noi qui non giudicheremo) l’album dei Power Surge può sicuramente offrire spensieratezza, freschezza, divertimento leggero, il refrigerio di un mojito al chiosco dopo la spiaggia. Tanto altro non resta, opinione mia. Canzoni o riff o linee vocali che restino in memoria non ne ho trovate. Ma è un piacevole sottofondo e, appena l’alcool entra in circolo, potreste quasi convincervi che a suonare sia qualcun altro.
Più che priestiani, a giudicare dai primi brani di Nightsteel, viene da definirli painkilleriani, questi NIGHTSTEEL. Ovvio, mica è un male, anzi, nessuno si lamenta, anche perché l’esordio di una nuova compagine greca dedita ad heavy epico/power tradizionale da queste parti desta sempre un supplemento di attenzione. Ora, non ne trovo traccia nell’Enciclopedia del Metallo e, salvo che non ci sia lo zampino dell’intelligenza artificiale, dovrebbe trattarsi, più che di una vera e propria band, del progetto del bassista e compositore (tale Bill Sam) che attrae alla bisogna diversi cantanti e solisti. Metallo classico e ottantiano con una bella energia novantiana, quindi. Ripeto, sulle prime il disco pare instradato su binari piuttosto chiari, quelli di uno dei capolavori di Halford e soci. Poi si fanno strada progressivamente melodie più ariose, ballate, mid-tempo, e così l’album assume connotati più da classifica, le classifiche di un tempo, quelle in cui spuntavano fuori cantanti truccati e coi capelli fonati che si lamentavano dell’infedeltà di qualche amata pulzella. Se chiedete a me, quindi, si perde anche l’attenzione, con l’ascolto dei brani della seconda metà del disco, dopo un avvio sì gagliardo. Si tiene comunque botta, dai, fino alla fine, con qualche colpo di coda più heavy e più epico che comunque tiene abbastanza viva l’attenzione.
Alex Sciortino, dalla Florida, è relativamente giovane, o almeno credo. E i suoi HELMS DEEP sono solo al secondo album. Ma al basso e cori hanno John Gallagher dei Raven. Mica pizza e fichi, non è mica tanto “new” ‘sta New Wave del Metallo Tradizionale. E quindi niente, gli Helms Deep suonano un power americano scorbutico ed epico il giusto, ma anche piuttosto energico e con contatti con quella NWOBHM là, quella con più ottani. Di melodia ce n’è, però, con brani fantasy come Chasing the Dragon (che dà pure il titolo al disco), Frozen Solid e Red Planet. Oltre al fantasy c’è qualcosa di sci-fi, oltre al power qualcosa di speed/pre-thrash. Il tono comunque sempre asciutto, da registrazione secca, poche sovraincisioni, poche cazzate. Sciortino va spesso su con le strilla, mentre la strumentale va dritta come un treno, i solismi son buoni e divagano. Gallagher basseggia con il fretless che a volte, ma solo a volte, pare sconfinare nel prog/jazz. Ah, il prog: la conclusiva Shiva’s Wrath effettivamente va nella direzione di una maggiore complessità, per di più con spezie e profumi orientali. Ma non era un disco quasi rock’n’roll? Già, così credevo. Meglio così, comunque, che gli Helms Deep pare abbiano idee da sviluppare anche la prossima volta.
Chi dell’immediatezza del rock’n’roll non se ne fa nulla sono gli inglesi SEVEN SISTERS, discreta “celebrità” ormai in campo epic/NWOTHM, che son garbati pure al Belardi, pensate voi. A me, ehm, il fatto che di fatto suonino power alla europea non è di quelle cose che mi inviti a nozze. Il titolo dell’album, Shadow of Fallen Star, pt.2, indica che siamo chiaramente di fronte alla prosecuzione del capitolo precedente, anche in termini musicali. Sono sincero, però: pur non essendo la mia tazza di tè, il metallo gentile, educato e mediamente sbrilluccicante dei londinesi funziona, sia sul singolo pezzo, sia sulla durata dell’album. Certo, mi manca un po’ di dinamica vera nel corso dell’album, un indurimento, una ballata, un’accelerazione forsennata, un cambio d’atmosfera. Ma la musica c’è, i pezzi ci sono. Chitarre NWOBHM che dialogano alla grande, ritmica precisa, tastiere presenti e non invadenti, produzione moderna E non plasticosa. Il problema mio, del tutto personale, ce l’ho con la voce. Non è il massimo, se chiedete a me, in termini di campionario ed espressività. La musica sotto è davvero buona, quattro lunghi brani che sanno di prog. Chissà, con un altra voce, chissà che epica. (Lorenzo Centini)