di Matteo Persivale
Cresciuta in una famiglia molto povera, ha cominciato a ballare tardi (a 13 anni) ed è diventata la prima étoile afroamericana dell’American Ballet Theatre. Ora, a 42 anni, lascia la danza
«Ho sempre ballato. Per tutta la vita, non ho fatto altro che ballare. Non ho mai seguito corsi, da bambina non avevo mai visto spettacoli di danza, ma ho sempre avuto qualcosa dentro di me. Mi piaceva coreografare, e ballare. La danza è sempre stata parte del mio stato naturale fin da bambina».
La danza come stato naturale. Il rifiuto di considerare impossibili le cose che, fino a quel momento, non erano mai state fatte da nessuno. La vita di Misty Copeland è stata vissuta danzando sul filo dell’impossibile, ballerina e acrobata: una vita che si riassume in tre atti: l’ingresso nell’American Ballet Theatre (ABT) nel 2001, la nomina a prima ballerina (nessuna afroamericana c’era mai riuscita nei 75 anni di storia dell’ABT) e la pubblicazione delle sue memorie, Life in Motion: An Unlikely Ballerina.
Ora sono passati dieci anni da quella nomina, dieci anni dal giorno in cui Copeland sedeva davanti a giornalisti, fotografi, telecamere in una conferenza stampa organizzata in fretta e furia, trattenendo a stento le lacrime (d’orgoglio) per il suo nuovo ruolo di prima ballerina dell’American Ballet Theatre di New York e disse semplicemente «Ci siamo: è il mio sogno da quando avevo 13 anni», e il giorno dopo i titoli erano tutti per lei, prima prima ballerina nera nella storia della compagnia, pochi giorni dopo che il suo debutto a New York come protagonista nel Lago dei Cigni aveva portato un pubblico nuovo al Met.
Ora, molti successi più tardi, Copeland si ritira dalla compagnia in cui entrò da adolescente e dalla quale esce da 42enne. Senza lacrime, neanche stavolta, e con serenità: «Si chiude un capitolo, ne comincia un altro. Sono passati venticinque anni. Penso che sia giunto il momento. È ora per me di passare alla prossima scena, al prossimo palcoscenico». È stata brava anche stavolta, lei che ai pezzi di bravura è abituata fin da bambina, lei che ha ridefinito il panorama del balletto classico infrangendo barriere razziali e culturali, incarnando fisicamente l’arrivo di un’era multietnica anche nel balletto.
È stato un viaggio straordinario, da timida preadolescente che scopre il balletto in un Boys & Girls Club a icona globale: più che un trionfo personale una rivoluzione, con effetti che continueremo a vedere molti anni dopo il suo ritiro. Ma non è un semplice percorso di ricerca di quello che gli americani chiamano “rappresentazione”: e un percorso incessante, metodico, di ricerca dell’eccellenza assoluta.
Il miracolo
L’ascesa di Copeland è iniziata in modo improbabile a 13 anni, un inizio tardivo per una disciplina che in genere impone di inziare da piccolissime. «In un certo senso non ho trovato il balletto, ma lui ha trovato me. Ho sempre ballato. Non avevo mai seguito un percorso di formazione, non ho mai visto un balletto di persona, ma ho sempre avuto qualcosa dentro di me». Cosa? Una passione innata, unita a un talento prodigioso. E quando, finalmente, ha preso delle lezioni formali, ha cominciato in poche settimane a ballare sulle punte, un’impresa che descrive come la scoperta di «questo pezzo mancante di me stessa».
La sua storia è una sfida alle avversità: è cresciuta in povertà a San Pedro, in California, dormendo spesso in camere di motel con i suoi cinque fratelli. Come entra la danza in un mondo così lontano dal palcoscenico? L’ha spiegato così: «La danza è il linguaggio nascosto dell’anima». Una lingua, una modalità espressiva, una fede. La fede nel potere del balletto di trascendere le parole e connettersi profondamente con la comune esperienza dell’essere umani.
Generalmente ogni discussione di un’artista del suo livello parte dalla tecnica: ma il suo impatto va oltre la padronanza tecnica. Copeland è diventata un punto di riferimento per le ballerine di colore in un campo storicamente dominato dalle bianche: «Sento di rappresentare ogni giovane ballerina, e anche chi non balla ma che non si sentiva accettato dal mondo del balletto. Mi piacerebbe pensare che possano riconoscersi in me».
Il coreografo Jorma Elo del Boston Ballet ha ammesso che «se dovessi fondare una mia compagnia, lei sarebbe la prima che chiamerei». Perché? Perché, come ha osservato Dance Magazine, «Misty Copeland, che è diventata testimonial di Under Armour (il marchio di articoli sportivi, ndr), ha mostrato al mondo ciò che i ballerini già sapevano: il balletto è estremamente atletico».
La sua enorme visibilità mediatica ha sfidato gli stereotipi, sottolineando come l’eleganza del balletto richieda forza e disciplina: «Sapevo che non mi sarei arresa, anche se a volte mi sentivo una sciocca a continuare a crederci, a continuare a pensare che ce l’avrei fatta» anche dopo una frattura vertebrale, un infortunio alla tibia e i pregiudizi più o meno manifesti del mondo del balletto.
La sfida
Più di un critico, quando vide quella struttura atletica, muscolosa, la considerò improponibile per ruoli come quelli del Lago dei Cigni, eppure lei rispose con aria di sfida: «Il mio corpo è molto diverso dalla maggior parte delle colleghe con cui ballo… Ma non ho permesso che questo mi fermasse. Le ragazze nere sono fantastiche e possono essere delle ballerine».
La sua promozione a prima ballerina? La definì «un enorme passo avanti per la comunità afroamericana», rifacendosi alla famosa frase di Neil Armstrong durante lo sbarco sulla luna. Il razzismo? Ne parla da sempre senza timore di provocare: «È difficile cambiare le idee di qualcuno quando potrebbe non essere nemmeno consapevole di essere razzista, o di avere idee razziste, solo perché il balletto è stato così per centinaia di anni. È qualcosa che il mondo del balletto è riuscito a fare, e a farla franca, molto facilmente. Per decenni. È una forma d’arte europea e il fatto che ancora oggi eseguiamo quei balletti creati in quel periodo in Europa, la dice lunga sulla posizione del mondo del balletto in termini di razzismo».
Così l’impegno di Copeland, attraverso tutta la carriera, amplifica la sua influenza. Segue e aiuta giovani ballerine, sostiene organizzazioni come il Boys & Girls Club e usa la sua fama per affrontare senza perifrasi temi non sempre popolari come le disuguaglianze, senza timore di farsi dei nemici. Un esempio? Le sue parole – «Siate forti, siate coraggiose, siate belle. E credete fermamente che tutto è possibile, quando avete le persone giuste al vostro fianco» – rivolte alle aspiranti ballerine.
Come ha dichiarato a Time, considera sua missione garantire che «le storie delle ballerine nere venute prima di me» continuino a esistere, per fare in modo che il ricordo del loro lavoro non svanisca a poco a poco. Ora che comincia una nuova fase della sua carriera e della sua vita, è giusto sottolineare come Misty Copeland si sia vista, dall’inizio, come mentore delle ballerine che verranno. Per plasmare un futuro diverso per la danza.
La sua filosofia è profondamente personale, nata dal suo percorso: «Non ho avuto un mentore, nel balletto», avendo cominciato tardi, nera in un ambiente prevalentemente bianco. «Ora voglio essere la persona di cui avrei avuto bisogno da giovane». Il ricordo degli ostacoli che ha trovato – povertà, pregiudizi razziali e mancanza di una possibilità di studiare danza fin da piccolissima, come le altre – sono la sua motivazione.
Ha dichiarato al New York Times: «Sono qui per dimostrare alle ballerine di colore che appartengono a questo spazio, che le loro storie contano. La cosa bella del balletto è che la tecnica ha guidato questa forma d’arte per centinaia di anni. E la tecnica non ha colore della pelle. La tecnica non richiede l’uso del blackface. Non richiede una certa estetica sul palco. Non mi ha sorpreso che nessuno mi sia stato vicino quando ho chiamato in causa il Bolshoi per l’uso del blackface nella loro La Bayadère. Non c’erano abbastanza persone che capissero o si preoccupassero di quanto una simile produzione potesse essere dolorosa per i neri. Eppure lo era. Vedere quell’immagine è così devastante. Non solo per me, ma anche per i ragazzi che mi assomigliano, che sognano di diventare “me”, un giorno. Un anno fa, a nessuno importava. Questa è la pura verità. Ma le cose stanno cambiando».
Un impatto reso tangibile attraverso iniziative come il Progetto Plié, un programma dell’ABT che ha contribuito a far crescere per fornire borse di studio, formazione e mentoring a giovani ballerine provenienti da comunità sottorappresentate. Copeland prepara masterclass e si mette a disposizione del futuro.
I critici definirono la sua fisionomia non adatta al Lago dei cigni, lei rispose: «Sono diversa, sì, e voi non mi fermerete»
Una giovane ballerina nera del Project Plié, una “mentee”, ha detto a Dance Magazine: «Misty mi ha detto che la mia forza è la mia unicità. Mi ha fatto credere di potercela fare». L’approccio di Copeland è pragmatico – insegnare, consigliare, condividere le proprie vulnerabilità – e ha crea una reazione a catena. Come ha detto lei stessa, «voglio che le ragazze sappiano che va bene cadere, va bene avere dubbi, ma che bisogna andare avanti».
Susan Jaffe, direttrice artistica dell’ABT, ha elogiato il ruolo di mentore di Copeland, osservando: «Non insegna solo passi; insegna coraggio e identità». Il suo lavoro con organizzazioni come il Boys & Girls Club, dove ha scoperto il balletto per la prima volta, amplia ulteriormente la sua portata. Organizza workshop e raccoglie fondi per garantire l’accesso alla formazione ai giovani a basso reddito, incarnando la sua convinzione che «il talento è universale, ma l’opportunità no». I dati del rapporto annuale 2024 dell’ABT evidenziano la crescita del Progetto Plié sotto la sua guida, con oltre 1.500 ballerine e ballerini supportati finora, il 60% dei quali provenienti da minoranze.
Il mentoring di Copeland è un atto radicale di inclusione, che rimodella il futuro del balletto. «Sto piantando semi affinché la prossima generazione non debba lottare duramente come ho fatto io».
La svolta
Un incontro decisivo, per lei, è stato quello nel 2011 con Raven Wilkinson (1935-2018), la prima nera a ballare con il Ballet Russe de Monte Carlo. Ha scritto nel suo libro The Wind at My Back: «Raven mi ha aiutato a colmare il divario tra Misty la persona e Misty la ballerina. Come ballerina mi sono sempre sentita a mio agio sul palco. Provo un senso di sicurezza nell’avere il controllo completo sulle mie scelte e una libertà che provo durante un’esibizione, che non sempre provavo quando scendevo dal palco. Crescendo insicura e con la vergogna di vivere in un motel e di ricevere buoni pasto dallo Stato, spesso mi è stato difficile entrare in contatto con le persone, soprattutto con quelle che sentivo giudicanti, o che mi facevano sentire diversa. Ma Raven era quel tassello mancante: mi ha aiutato. Lo faceva nel modo più bello e chiaro che, per me, che apprendo visivamente, aveva perfettamente senso. Guidava con l’esempio. Era libera da giudizi, paziente e calorosa. La maestria di Raven risiedeva nella sua capacità di donarsi attraverso azioni e parole affettuose. Era come se Raven fosse determinata a riversare tutta l’energia che non poteva più dedicare alla sua carriera di artista per aiutarmi nella mia».
CHI E’
La vita
Misty Danielle Copeland nasce il 10 settembre 1982 a Kansas City (Missouri) ma cresce a Los Angeles. La più giovane di quattro figli dal secondo matrimonio della madre Sylvia DelaCerna con Doug Copeland. Inizia a studiare danza tardi, all’età di 13 anni ma con eccellenti risultati tanto da essere considerata un prodigio. Dopo concorsi e workshop nel 2000 entra nella Studio Company dell’American Ballet Theatre (ABT), nel 2001 nel suo corpo di ballo di cui diventa è solista dal 2007. Il 30 giugno 2015 è nominata étoile, la prima afroamericana, dell’ABT.
La carriera
Già quando è nel Corpo di Ballo dell’ABT è elogiata per le sue doti. Da solista alterna ruoli classici come Il lago dei cigni e La bella addormentata a coreografie contemporanee. Nel 2015 Nelson George gira un docufilm sulla sua storia: A Ballerina’s Tale (sopra) presentato con successo al Tribeca Film Festival.
8 agosto 2025 ( modifica il 8 agosto 2025 | 11:29)
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