Le squadre di F1 hanno factory che sono in continua evoluzione. I team cercano idee, soluzioni tecnologiche e partener che possono fare crescere le prestazioni delle monoposto. La ricerca più spinta non si applica solo alle monoposto, ma anche agli strumenti di indagine che si sviluppano in sede grazie ai quali è possibile migliorare la conoscenza sul come migliorare i risultati in pista. 

La ventola di una gellaria del vento di F1

La ventola di una gellaria del vento di F1

Si parla di CFD, Computational Fluid Dynamics, una tecnica di simulazione che utilizza modelli matematici e algoritmi utili ad analizzare il comportamento dei fluidi e le loro interazione con le superfici solide. In parole semplici si studia il flusso d’aria che agisce intorno alla monoposto.  

Visualizzazione della CFD di una mononoposto di F1

Visualizzazione della CFD di una mononoposto di F1

Foto di: Sauber Petronas

La CFD permette di valutare grazie a software sempre più sofisticati e computer con potenze di calcolo che definiscono forme complesse e l’applicazione delle forze in pochi secondi. Insomma è possibile visualizzare una monoposto senza che sia stato prodotto un solo bullone. Per validare il lavoro di simulazione pura è necessario passare alla galleria del vento, dove si realizza un modello in scala 60% rispetto alla monoposto reale che viene investito da un flusso d’aria generato da un ventilatore che arriva per regolamento a 180 km/h. 

Leclerc con il trofeo della pole position che è una

Leclerc con il trofeo della pole position che è una “gommina” Pirelli per la galleria del vento

Foto di: Beata Zawrzel / NurPhoto via Getty Images

Il modello oggi dispone di speciale gomme realizzate dalla Pirelli che riproducono il disegno, l’impronta e le deformazioni in scala di quelle reali. Le avrete certamente viste perché sono il premio che va al pilota che firma la pole position. La ricerca sta diventando così estrema che conta anche la pressione di gonfiaggio dei “gommini”. 

Un tempo le gallerie di F1 usavano un tappeto mobile a matrice metallica che simulava il movimento del modello sulla pista: la valocità era sincronizzata con quella del vento per controllare lo “strato limite”, vale a dire la zona al cui interno la velocità differisce per più dell’1% dalla velocità della porzione esterna di fluido. 

Il tappeto mobile nella galleria del vento Mercedes di Brackley

Il tappeto mobile nella galleria del vento Mercedes di Brackley

Foto di: Mercedes AMG

Più recentemente si utilizzano tappeti coperti da materiali gommosi o plastici che hanno sostituito la matrice metallica, migliorando il controllo dello “strato limite”. Con le monoposto a effetto suolo il fondo della vettura deve essere il più radente possibile per scandagliare le perdite di carico al crescere delle altezze da terra.  

Nel tempo i tappeti si sono evoluti non solo nei materiali, ma anche nella loro estensione. In passato il modello veniva investito dal flusso d’aria solo longitudinalmente controllando beccheggio e rollio, mentre ora si indaga la vettura anche in imbardata e sterzata, misurando quindi la forza laterale oltre alla downforce e al drag (la resistenza all’avanzamento).   

Ecco il modello Cadillac nella galleria del vento dellaToyota a Colonia

Ecco il modello Cadillac nella galleria del vento dellaToyota a Colonia

Foto di: Andretti Autosport

È chiaro come la ricerca sia in continua evoluzione: se prima c’erano solo quattro bilance come le quali si misurava il carico sulle ruote, ora è possibile strumentare il modello con una serie di sensori che moltiplicano le possibilità di ricavare dei dati. 

A quanto pare tutto questo non è più sufficiente: da qualche anno, infatti, i wind tunnel si stanno dotando di Particle Image Velocimetry, il cui acronimo è PIV. Di che si tratta? Strumenti che permettono di analizzare il campo di moto. E siamo a un’ulteriore sofisticazione dell’indagine. Per dirla in soldoni: c’è un lettore laser che viene montato sulle pareti laterali della galleria e si usano due camere ad altissima definizione che scattano foto che sono in grado di visualizzare i flussi d’aria, tanto che è possibile indagare anche come si comportano i vortici nel campo di moto. Siamo a un importante salto di qualità. Si può scoprire se un flusso segue l’andamento che il progettista ha pensato o se un vortice agisce per come è stato ideato. 

Ecco lo strumento della Particle Image Velocimetry in galleria del vento

Ecco lo strumento della Particle Image Velocimetry in galleria del vento

Il PIV può essere spostato per studiare il campo di moto di diverse parti della monoposto.  Nelle prove libere, specie a inizio stagione, vediamo le monoposto scendere in pista con i vistosi rastrelli pieni di sensori. Di solito le squadre sistemano queste strumentazioni nello stesso punto della vettura dove si è studiato il campo di moto in galleria con il PIV. 

Ma qual è il problema? Che gli attuali wind tunnel non hanno le dimensioni necessarie per ospitare più PIV che sono in grado di funzionare in contemporanea con la raccolta di tutti gli altri dati durante una prova. 
Il raggio laser utilizzato è potentissimo e può creare problemi di vista agli operatori che sono alla consolle del wind tunnel. Non a caso si è arrivati a schermare le pareti della camera, mentre storicamente le postazioni erano a vista sul modello. Pare che le ultime gallerie non abbiano più le vetrate, ma muri, utilizzando telecamere per controllare l’attività durante i test. 

È lecito pensare che la McLaren oggi e l’Aston Martin domani, possano disporre di strumenti più avanzati degli altri perché hanno strutture nuove, nuovissime pensate anche per questi dispositivi, mentre altri impianti, per quanto funzionali ed efficienti, cominciato a mostrare i limiti degli anni… 

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