Mi hanno chiesto di presentare un libro di Ilide Carmignani e Elena Battista (appena uscito per Rizzoli con le illustrazioni di Anna Godeassi) nel quale sono raccontate e illustrate 35 parole che esistono solo in una lingua. Per l’italiano c’è “meriggiare”, che significa, ho scoperto, «Riposare all’aperto e in luogo ombroso, nelle ore calde del primo pomeriggio».
Io, meriggiare, come tutti quelli che sono andati a scuola quando ci andavo io, l’ho sentito nella poesia di Eugenio Montale i cui primi due versi, che sanno a memoria tutti quelli che sono andati a scuola quando ci sono andato io, sono «Meriggiare pallido e assorto / presso un rovente muro d’orto».
Da ragazzo, per qualche estate, sono andato al mare a Cavi di Lavagna, e mi succedeva che, al pomeriggio, andavo a piedi fino a Lavagna, costeggiando un muro che, certi pomeriggi, mi sembrava rovente, e mi sembrava, allora, in quelle camminate, di meriggiare.
C’era la Liguria, c’era il pomeriggio, c’era un muro che sembrava rovente, al di là del quale poteva esserci benissimo un orto.
«Ecco vedi», mi dicevo, «sto proprio meriggiando», invece mi sbagliavo, ho scoperto preparando la presentazione del libro di Ilide e Elena che si intitola Saltare nelle pozzanghere. Piccoli piaceri intraducibili dal mondo.
Una delle trentacinque parole è Hoppipolla, islandese, e significa proprio “saltare nelle pozzanghere per divertimento”.
L’intraducibile
Anche nei nostri dialetti, mi è venuto da pensare, ci sono delle parole intraducibili; in parmigiano, in particolare, c’è una parola, Pìstapòci, che significa, letteralmente, uno che pesta le pozzanghere, e si dice di uno che fa tanta confusione ma non combina niente; qualche giocatore del Parma è stato etichettato come Pìstapòci, in passato, e non ho dubbi che altri lo saranno in futuro.
Dall’introduzione del libro, e dall’esempio di Pìstapòci, ho scoperto che il parmigiano è una lingua agglutinante, come il giapponese, il tedesco e lo svedese, anche; in svedese, infatti, esiste la parola Smultronställe, che è composta da smultron, “fragolina selvatica” e ställe, “posto”, e significa “il posto delle fragole”, cioè «un angolo speciale e un po’ segreto dove rifugiarsi».Che io pensavo fosse un’invenzione di Bergman invece no. Non avevo capito neanche quello.
Ricordi
Queste parole selezionate da Ilide Carmignani ed Elena Battista (che sono due significanti che mi sembra stiano molto bene insieme) hanno avuto, su di me, il potere di farmi ricordare alcuni momenti della mia lunga e faticosa esistenza.
La parola Begadang, per esempio, “Stare svegli fino a tardi a chiacchierare” (indonesiano), mi ha riportato alla caserma Cittadella di Piacenza nel 1984, quando la sera non sarei mai andato a letto e al mattino non mi sarei mai alzato.
La sensazione descritta dalla parola scozzese Curglaff, (la sferzata di energia che si prova tuffandosi nell’acqua fredda), la provo tutte le volte che vado in una sauna russa (che non è esattamente una sauna, è un posto, banja, in russo, dove c’è una stanza del vapore, all’interno della quale ci si percuote con dei rametti di betulla e, quando non si resiste più, si esce di corsa e ci si tuffa in una vasca ghiacciata, in mancanza della neve che usavano i russi in passato, mi han detto).
La Feierabend tedesca, «la sensazione di sollievo e allegria alla fine di una giornata di lavoro» io l’ho provata quando, sedicenne, d’estate, lavoravo in un prosciuttificio; era forse però qualcosa di più forte, perché quei momenti lì, nell’estate del 1979, nel piazzale del prosciuttificio San Giacomo di San Vitale Baganza, al venerdì sera, poco dopo le diciotto, sono, nel mio ricordo, tra i momenti più luminosi della mia giovinezza. (che non è stata, evidentemente, una gran giovinezza).
Il norvegese Gjesunsynsglede, «la gioia di rivedere qualcuno dopo molto tempo», è un sentimento che provo spesso, l’ultima volta pochi giorni fa, a Martina Franca, con Amedeo, un ragazzo pugliese che ha fatto l’università con me e che ho rivisto dopo vent’anni e era uguale identico, e come siamo stati bene, in casa di Amedeo, e sentivamo sempre gruppo rock svizzero che si chiamano Element of crime e che a me mi sembrava che c’eravamo solo noi, nell’universo, a sentirli.
La parola tamil Mannavasanai, «il profumo della terra bagnata dalla pioggia», mi sembra di conoscerla bene, e la colloco in via Caduti di Montelungo, a Parma, solo che sostituirei la parola terra con la parola asfalto: il profumo dell’asfalto bagnato dalla pioggia, che mi piace quasi come il profumo della benzina e come il freddo da neve che ti viene su per il naso in certi giorni, in Emilia, e ti dice che sei vivo.
La parola di una lingua che non sapevo esistesse, lo yaghan Mamihlapinatapai significa «lo sguardo d’invito fra due persone timide che si piacciono» e è spiegato così bene che non c’è bisogno di dire altro.
Così come è chiarissima, mi sembra, la parola norvegese Tyvsmake, «il piacere di assaggiare un cibo quando nessuno guarda, magari dalla pentola, ancora sui fornelli, prima di andare a tavola», e mi sorprende che non ci sia una parola emiliana per dire la stessa cosa.
La gioia degli altri
Ma forse la parola che mi piaciuta di più, in questo libro di Ilide e Elena, è la parola yiddish Fargin, «la gioia che si prova per il successo di un’altra persona».
Io, devo confessare, sono un appassionato di talent, quegli spettacoli televisivi dove uno, o una, cantanti, di solito, ha tre minuti per provare a convincere tre o quattro giudici che lei, o lui, è bravissima, a cantare, e che sarebbe giusto, in un mondo dove le cose vanno come si deve, che lo facesse di mestiere.
Mi piace tutto, dei talent e, devo dire, più degli italiani mi piacciono quelli francesi e russi, che ho visto, stagioni intere, su YouTube, e ogni tanto riguardo quando mi voglio commuovere; perché è commovente, quando uno riesce, in tre minuti, con la sua voce, a costruire il silenzio ammirato di migliaia di ascoltatori, e commovente, a volte, è anche il caso contrario, quando tutto va male, ma questa è un’altra parola che nel libro non c’è.
Nel primo caso, quando le cose van bene, la cosa che mi tocca di più sono i parenti e gli amici, vedere qualcuno che piange e ride perché un altro è bravo è una cosa che mi spezza il cuore, se così si può dire.
Quando ho letto la definizione di Fargin, però, «la gioia che si prova per il successo di un’altra persona», non ho pensato ai talent, ho pensato a una volta che sono andato a parlare con le insegnanti di mia figlia che faceva le medie, e alla fine la professoressa di matematica mi ha fermato, mi ha guardato negli occhi e mi ha detto «Siamo così contenti».
«Anche noi», le ho detto io.
E era vero perché io, quando sono uscito da quella scuola lì ero così contento che mi rideva anche il buco del culo, che è un modo di dire parmigiano che non so come si traduce, forse Fargin, ma non sono sicuro.
Sabato 9 agosto, ore 18.00
Ilide Carmignani in dialogo con Paolo Nori
Saltare nelle pozzanghere. Parole intraducibili per raccontare la felicità (Rizzoli) nell’ambito di Little Lucy 2025, V edizione del festival letterario ‘piccolo così’ a Lucignana.
Tra l’8 giugno e il 13 settembre nel giardino con cottage pieno di libri che la poetessa Alba Donati ha creato a Lucignana, un paesino di 180 abitanti a 30 chilometri da Lucca, torna Little Lucy. Un festival letterario piccolo così, arrivato alla sua quinta edizione.
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