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Sono finiti i tempi di “Despacito”. Non solo per il tramonto inesorabile della musica latina nelle estati italiane (Alvaro Soler ancora aspetta una spiegazione), ma perché già da qualche anno manca quella canzone capace di conquistare l’ascolto di massa, monopolizzando radio, tv, social, diventando la colonna sonora delle vacanze di un’intera popolazione.

L’ultimo – duole dirlo – è stato Fedez con “Mille” nel 2021, perché già “La dolce vita” l’anno dopo iniziava ad adagiarsi sulla lunga scia di hit pronte a farsi dimenticare nel giro di un paio di giochi aperitivo, per poi arrivare alla stanca “Disco Paradise”, feat Annalisa e Articolo 31, provando il colpo di coda l’estate scorsa con “Sexy Shop”, che però giocava più col gossip che con i beat. La scena italiana, che negli ultimi dieci anni ha preso il sopravvento su Luis Fonsi & Co, con i vari Boomdabash, Takagi & Ketra, Rocco Hunt, Rovazzi, The Kolors e tutti i protagonisti pop e rap pronti a lanciare il pezzo con la fine della primavera – da Elodie a Tony Effe – sembra essersi persa nel mare magnum della sua stessa offerta.

Ci sono troppe hit – o forse ormai sarebbe meglio dire aspiranti tali – e si disperdono fra radio, Spotify e sottofondi per Instagram e TikTok. Ognuno ascolta ciò che vuole e difficilmente converge sugli stessi pezzi. È difficile anche fare una classifica generale, perché ogni mezzo ha la sua. Se dunque si volesse incoronare il reuccio o la reginetta musicale di questa estate – oppure i reali, visto il proliferare di featuring – sarebbe quasi consigliabile e più naturale mettersi a ballare i Watussi o la Macarena.

La fine di una moda (o meglio di un’era)

L’abbondanza di brani, però, insieme al guazzabuglio artistico che ne viene fuori, non è l’unico motivo per cui fatica a emergere il tormentone. L’altra grande verità è che siamo distratti. I continui stimoli a cui siamo sottoposti, la vasta possibilità di scelta che abbiamo davanti – non solo quella musicale – ci mette in una condizione di perenne frenesia, per cui fermarci anche solo una manciata di minuti ad ascoltare una canzone diventa impegnativo, figuriamoci scegliere quella che possa farci da colonna sonora per un paio di mesi.

I pezzi – come tante altre cose – ci scivolano addosso velocemente, spesso neanche si ascoltano davvero, restano a fare da sfondo e nessuno finisce in copertina (non necessariamente per suoi demeriti). Il bombardamento di contenuti ci ha fatto perdere il gusto per l’emozione da fotografare in un testo o una melodia. La verità, in fondo, è che il tormentone nella società del ‘fast sentiment’ non va più di moda. Ed è un peccato.