di
Marco Galluzzo e Gian Guido Vecchi

Colloquio del presidente Usa con la premier. Vance propone ufficialmente l’Italia ma la Russia dice no. Il caso del mandato di cattura per il leader russo che dice: «Potremmo andare negli emirati»

C’è stata un’ipotesi di far svolgere a Roma il vertice Trump Putin per la guerra in Ucraina, ma al momento è tramontata per l’opposizione della Russia. Rimane in piedi la possibilità che il presidente degli Stati Uniti e quello russo si incontrino in Vaticano, anche se a questo punto appare difficile. Giovedì 7 Trump ha chiamato la presidente Meloni e le ha proposto di ospitare lunedì il vertice a Roma. La premier si è detta subito disponibile e qualche ora dopo Rubio ha proposto ufficialmente Roma anche nella riunione degli NSA che si è svolta tra Italia, Francia, Stati Uniti, Germania, Gran Bretagna, Ucraina e Finlandia. 

Zelensky ha manifestato subito la propria approvazione, si è detto «molto favorevole». Immediata è stata però la contrarietà della Russia che, questo trapela, «considera l’Italia una nazione troppo schierata con l’Ucraina». Non è l’unico ostacolo. Putin è infatti ufficialmente ricercato per un mandato di cattura internazionale emesso dalla Corte Penale Internazionale e anche questo sembra aver pesato sulla scelta del luogo dell’incontro. Non a caso Putin ha dichiarato: «Abbiamo molti amici disposti ad aiutarci a organizzare questo tipo di eventi. Uno di loro è il presidente degli Emirati Arabi Uniti, Mohammed bin Zayed, che è in visita in Russia. Penso che decideremo, ma sarebbe uno dei luoghi più adatti».




















































L’ipotesi Vaticano non è stata smentita anche se al momento non sembra la più probabile. «La disponibilità c’è e resta. Dopodiché staremo a vedere…». Ai piani alti della Santa Sede si guarda con attenzione all’incontro possibile tra Trump e Putin. La situazione è più che mai delicata, le difficoltà innumerevoli, naturale prevalga la prudenza. «Non ci risulta nulla, però…». Però non è un mistero che il Vaticano si sia detto disponibile, da tempo, a facilitare una soluzione diplomatica dei conflitti, non solo in Ucraina. Lo diceva già Francesco e lo ha ripetuto con chiarezza Leone XIV, il 14 maggio, sei giorni dopo l’elezione: «La Santa Sede è a disposizione perché i nemici si incontrino e si guardino negli occhi… I popoli vogliono la pace e io, col cuore in mano, dico ai responsabili dei popoli: incontriamoci, dialoghiamo, negoziamo! La guerra non è mai inevitabile, le armi possono e devono tacere». 

Il Segretario di Stato Pietro Parolin è sempre al lavoro e Prevost ha confermato il cardinale Matteo Zuppi come inviato di pace. I contatti, spiegano Olteretevere, «non sono mai stati interrotti». La mediazione della Santa Sede ha permesso il ritorno a casa di alcuni bambini ucraini e scambi di prigionieri. Il Papa americano ha parlato al telefono con Putin il 4 giugno, chiedendogli «un gesto che favorisca la pace», un passo in avanti notevole perché il predecessore non era più riuscito a parlare al presidente russo dopo l’invasione dell’Ucraina. Prevost ha confermato la disponibilità ad ospitare in Vaticano dei «negoziati» di pace. In questi casi non trapela nulla: il 17 dicembre 2014 il presidente Usa Barack Obama e quello cubano Raúl Castro annunciarono il superamento dell’embargo. Saltò fuori che in autunno le delegazioni si erano viste in Vaticano. Adesso è difficile, nel caso non sarà mai la Santa Sede ad annunciarlo. Resta il fatto che le porte sono e restano aperte.


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8 agosto 2025 ( modifica il 8 agosto 2025 | 15:09)