Una settimana dopo aver licenziato la direttrice del Bureau of Labor Statistics Erika L. McEntarfer, accusandola di aver falsificato i dati al ribasso sul mercato del lavoro, il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha convocato a sorpresa una conferenza stampa nello studio ovale. Il motivo: ha trovato i dati sul lavoro che gli piacciono. Dati «veri» che, al contrario di quelli «falsi» e «truccati» pubblicati una settimana prima, mostrerebbero come in realtà l’economia con lui alla Casa Bianca vada meglio rispetto ai tempi dell’amministrazione Biden. E per avallare la sua tesi, ha tirato fuori dal cilindro un economista che lo ha affiancato nella presentazione: Stephen Moore, ricercatore del think tank conservatore “Heritage Foundation”, che nel 2018 ha scritto il libro “Trumponomics” insieme a Arthur B. Laffer.

«Tutti numeri nuovi», ha detto Trump rivolgendosi ai giornalisti e sollevando un cartellone con dei grafici. La scena ha ricordato un po’ quella della presentazione delle percentuali dei dazi durante il Liberation Day, con tanto di cavalletto e tabelle, basate su una formula matematica strampalata partorita dall’economista Peter Navarro, uno che per giustificare il suo odio contro la Cina ha pensato bene di citare nei suoi libri un esperto inesistente, il signor Ron Vara, creato semplicemente con l’anagramma del suo cognome.

Dopo il licenziamento di Erika McEntarfer, Trump si sarebbe messo alla ricerca di altre cifre più vicine ai suoi gusti. Ed ecco entrare in scena Moore. Trump lo aveva nominato come governatore della Federal Reserve durante il suo primo mandato. Ma l’economista poi ritirò la sua candidatura a causa delle opposizioni in Senato.

Ora, il grande ritorno. Anche questa volta Trump ha armeggiato con cartelloni, grafici, tabelle e istogrammi che – secondo Moore – ridimensionerebbero i risultati economici dell’ex presidente Joe Biden. Trump spostava i cartelloni dalla scrivania e interveniva di tanto in tanto approvando i commenti dell’economista. Che ha raccontato di aver chiamato lui stesso il presidente, dopo aver elaborato dei dati che dimostrerebbero che aveva fatto bene a licenziare Erika McEntarfer.

Per coincidenza, guarda un po’, l’economista della Heritage Foundation stava già analizzando alcuni dati del censimento e aveva iniziato a trasformare le cifre in grafici che sapeva avrebbero fatto piacere al presidente. Secondo Moore, infatti, i rapporti del Bureau avevano sovrastimato di 1,5 milioni il numero di posti di lavoro creati negli ultimi due anni durante l’amministrazione di Biden. Da qui la revisione al ribasso. «Penso che lo abbiano fatto di proposito», ha detto Trump. Il riferimento è alle revisioni statistiche sul numero dei posti di lavoro che sono una componente normale nella raccolta dei dati, non solo negli Stati Uniti. E tendono a essere più ampie nei periodi di turbolenza economica.

Nella tempesta dei dazi che sta agitando cancellerie e mercati di tutto il mondo, il rischio che i dati economici americani diventino carta straccia preoccupa gli economisti. Secondo le cifre del Bureau of Labor Statistics, che è un’agenzia indipendente, nei primi sette mesi di quest’anno, i datori di lavoro negli Stati Uniti hanno aggiunto 597mila posti di lavoro, circa il 44 per cento in meno rispetto allo stesso periodo del 2024. Il rapporto sull’occupazione di luglio ha mostrato che lo scorso mese sono stati aggiunti solo 73mila posti di lavoro, mentre i totali di maggio e giugno sono stati rivisti al ribasso di 258mila unità. Sebbene anche Biden abbia affrontato revisioni al ribasso nei suoi dati sull’occupazione, nel 2024 l’economia ha aggiunto 2 milioni di posti di lavoro e nel 2023 ne ha creati 2,6 milioni.

«Gli ho mostrato circa cinque o sei di questi grafici, e lui si è entusiasmato per le buone notizie», ha raccontato Moore. «Così ha detto: facciamo una conferenza stampa improvvisata». Ma le sue elaborazioni, come lo stesso Moore ha ammesso, si basano in realtà su dati non pubblicati del Census Bureau. Il che significa che sono difficili da verificare in modo indipendente.

Arrivato alla Casa Bianca, Trump aveva promesso di poter innescare un boom economico facendo scendere l’inflazione e soprattutto riequilibrando la bilancia commerciale attraverso i dazi. Ma quando i dati indipendenti hanno indicato uno scenario più incerto, ha provato a costruire una nuova narrazione. E ha trovato un sostenitore in Moore, che gli ha confezionato dei dati su misura.

Moore ha detto che, nei primi cinque mesi del secondo mandato di Trump, «il reddito medio familiare, corretto per l’inflazione per la famiglia media americana, è già aumentato di 1.174 dollari». «È il mio grafico preferito», ha detto Trump. «È un numero incredibile. Se lo avessi detto io, nessuno ci avrebbe creduto».

Alla fine della conferenza, prima di lasciare lo Studio Ovale per un evento con i veterani militari, Trump ha frugato un’ultima volta tra i cartelloni impilati sulla sua scrivania. Ha preso il suo cartellone «preferito», quello che mostrava l’aumento dei redditi, se lo è messo davanti al petto e si è girato verso i fotografi. «Questo grafico è davvero incredibile», ha ripetuto. «Tutti numeri nuovi». Come se stesse vendendo un nuovo appartamento di Manhattan. Ma per convincere i mercati, ci vorrà ben più di un cartellone con un istogramma arancione.

«Now economists know how scientists felt when he said “inject bleach”» (Ora gli economisti capiscono come si erano sentiti gli scienziati quando disse “iniettatevi della candeggina”), ha scritto qualche mese fa il professore di Harvard Joseph Allen.