Fin dal suo film d’esordio Eduardo Casanova è riuscito a lasciare un’impronta indelebile grazie alla sua peculiare visione artistica. Il suo primo lungometraggio, Pelle (Pieles), aveva diviso il pubblico con i suoi toni tanto grotteschi quanto toccanti, imponendo inoltre uno stile visivo unico e riconoscibile, così esagerato da poter essere considerato quasi un unicum rispetto a qualsiasi altro titolo in circolazione.

Con La Pietà, sua seconda opera che ha visto la luce nel 2022, Casanova è riuscito a confermare questa inconfondibile cifra estetica arrivando inoltre a mostrare una maturità narrativa che va oltre l’effetto shock. Il film si presenta infatti come un’evoluzione naturale del suo percorso artistico, dove il surrealismo si fa più intenso e la storia più stratificata, senza perdere quel tocco di lucida follia che contraddistingue il suo cinema.

Al centro del film c’è il rapporto tossico tra Libertad (Ángela Molina), una madre maniacale e ossessiva, e suo figlio Mateo (Manel Llunell), un giovane fragile soffocato dalla sua invadente  presenza. Quando a quest’ultimo viene diagnosticato un tumore al cervello, il mondo di Libertad sembra crollare, ma lei si dimostrerà disposta a tutto pur di proteggerlo, anche se questo significa perpetrare abusi e manipolazioni

In un’allegoria tanto originale quanto potente, il focus del film viene poi spostato sulle vicende non meno inquietanti di una famiglia nordcoreana che tenta di fuggire dal regime totalitario. Tale approccio narrativo riesce a tessere man mano un suggestivo parallelismo tra il rapporto di controllo totale esercitato da Libertad sul figlio e il regime totalitario che opprime la popolazione coreana. Una scelta – quella di mescolare una vicenda personale e psicologica con una metafora politica non convenzionale –  che rende La Pietà un’esperienza filmica non solo impegnativa, ma anche unica nel suo genere.

Un altro grande punto di forza del film è da trovarsi inoltre nel suo stile visivo, diventato il vero e proprio marchio di fabbrica di Casanova. Il regista spagnolo non esita infatti a portare sullo schermo una fortissima palette rosa che contrasta con le crudeltà e la natura malsana del legame tra Libertad e Mateo. I colori accesi e pastellati ostentano un’estetica volutamente kitsch, rappresentando quindi una felicità apparente che altro non è che una mera e “dolce” patina sotto la quale si animano le tensioni di un controllo quanto mai ossessivo e manipolatorio.

Questo equilibrismo visivo si riflette anche nel tono del film, che oscilla tra dark humor e momenti surreali, i quali vedono Mateo muoversi in un limbo tra sfida e sottomissione, mentre Libertad non perde mai il suo desiderio insaziabile di risultare indispensabile. Ma c’è di più. La Pietà non esita infatti a fare leva su un’estetica “body horror” che riesce a regalare dei momenti memorabili tanto scioccanti quanto seducenti.

In un epoca storica in cui il cinema indipendente predilige sempre più la provocazione come strumento imprescindibile, Casanova si fa sempre più esponente e portavoce di questo principio con fermezza. La Pietà si rivela infatti una telenovela grottesca, un campionario di volgarità e bellezza, un racconto che esplora le dinamiche più oscure della dipendenza emotiva e della manipolazione. Tutti elementi che hanno colpito al cuore e allo stomaco i cinefili che hanno potuto posare gli occhi sul film.

Gli utenti di Letterboxd non hanno potuto fare a meno di sottolineare l’effetto scioccante del film di Casanova con commenti come “Sarò onesto, questo non è destinato al grande pubblico. È il cinema provocatorio al suo meglio, un’assurdità all’ennesima potenza.” e “Il vostro livello di disagio sarà estremo in questa infernale commedia nera.”, mentre altri si sono lasciati andare a parallelismi naturalistici: “Mi è sembrato di guardare un documentario in cui vediamo il pitone scardinare le mascelle per ingoiare la preda intera. Solo che il pitone in questo caso è la mamma interpretata da Àngela Molina!“

La Pietà non è certo un film per tutti, ma è indubbiamente un’opera che lascia il segno: è infatti evidente come Casanova narri a 360 gradi la natura tossica di certi legami familiari e la pervasività del potere, e che questo si manifesti in forma domestica o politica, poco cambia. Nel suo rosa acceso e disturbante, il giovane regista spagnolo ha regalato un’opera che non si limita a scioccare, ma che impone una riflessione profonda sul controllo, sulla libertà e sulle prigioni invisibili in cui spesso ci rinchiudiamo, volenti o nolenti.

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Foto: Pokeepsie Films

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