La notizia, che non sarebbe una notizia neppure nel giorno in cui non fosse successo veramente niente di niente, è che un’attrice piuttosto gnocca si dichiara repubblicana. Non nel senso di La Malfa, nel senso di Trump.

Accade infatti che negli Stati Uniti d’America si ritenga prepotenza e fascismo chiederti un documento d’identità quando vai a votare, ma si reputi del tutto normale che, per votare, non ti basti essere vivo e cittadino americano: devi essere iscritto alle liste elettorali. Alle quali t’iscrivi dichiarando un’appartenenza: repubblicano, democratico, indipendente.

Giorni fa – nel pieno dello scandalo eugenetico di cui qui si è già scritto e in seguito al quale persino al New York Times si sono resi conto che le community non sono la realtà, che l’internet non è la realtà – è venuto fuori che Sydney Sweeney, attrice assai bella che potreste aver visto in “Euphoria” o in “White Lotus”, sarebbe schedata (è volontaria ma è pur sempre una schedatura) come elettrice repubblicana.

Una non vorrebbe dar ragione a Donald Trump che, quando i giornalisti gli chiedono cosa ne pensi, risponde «vi sorprenderebbe sapere quanta gente è repubblicana», ma: ha ragione. Metà degli Stati Uniti d’America è repubblicana: perché costituisce stupefacente notizia che lo sia una pagata per far le facce?

In Italia analoga incredulità circonda Giulio Base, sul quale ho letto un dibattito social (tra giornalisti, non tra Vongole75 – ammesso che ormai ci sia una differenza) in cui si trasecolava perché alla prima d’un suo film c’erano politici di destra coi quali lui si faceva lietamente fotografare (invece di inseguirli con la croce e l’aglio).

Ora, io non voglio mettermi a ribadire l’ovvio (conosco parecchi registi italiani, non ne conosco neanche uno che non abbia foto con Veltroni – intendo: quando Veltroni non era ancora un collega dei registi), però vorrei capire dove sia il problema.

Perché diamo in escandescenze quando Pino Insegno è amico della Meloni e non quando Claudio Baglioni organizza una cena per Elly Schlein? Sì, la conosco la risposta: eh, ma questi sono fascisti, mica è la stessa cosa. A parte che ogni volta che dite «fascisti» sembrate Berlusconi quando diceva «comunisti», temo sia proprio la stessa cosa: sono metà del paese, vi sembra plausibile che non ci sia un personaggio dello spettacolo che la pensi come loro?

E poi, superati i quindici anni, mi spiegate cosa ve ne frega di come votano cosa pensano e di chi sono amici gli attori, i cantanti, i presentatori, e tutto il cucuzzaro di esibizionisti da seppellire in terra sconsacrata? Sì, conosco anche quest’obiezione.

Pensate che davvero la gente famosa abbia il potere di plasmare le idee del pubblico, nonostante la storia degli ultimi trent’anni, dal primo governo Berlusconi al secondo mandato Trump, vi abbia dimostrato che quando le celebrità stanno tutte da una parte l’elettorato implacabilmente bilancia spostandosi dall’altra. Temo lo pensiate perché fate confusione sui ruoli.

«Nessuno è come la gente di spettacolo: sorridono quando sono giù», dice la canzone, e tutti quelli di cui stiamo parlando sono gente di spettacolo. Artisti. Perché li trattiamo come fossero intellettuali il cui compito precipuo è spiegarci il mondo e indicarci la via?

Gli artisti non sono intellettuali. Sono due mansioni molto diverse, e pochissimi sono quelli che hanno sia una sensibilità artistica per inventare nuovi mondi che le capacità intellettuali per capire quello in cui si trovano. E avrei anche da dire su quei pochi: uno di quei pochi è sicuramente Martin Scorsese, che però l’anno scorso firmava petizioni perché i giardinetti di Elizabeth Street non venissero eliminati per costruire delle case popolari: certo, è importante che i poveri abbiano da dormire, ma più importante è che le colf dei ricchi sappiano dove pisciare il cane. Però Scorsese è intelligente, adorabile, spiritoso, nessuno (o comunque non io) ha voglia di parlarne male, e poi è ufficialmente di sinistra. Se fosse iscritto a votare in qualità di repubblicano, quello sì sarebbe un guaio.

Quando gli hanno detto di Sydney Sweeney, Trump ha paraculamente risposto che allora, se è repubblicana, lo spot di American Eagle gli piace moltissimo. Perché «vi sorprenderebbe sapere quanta gente è repubblicana» era una risposta troppo perfetta, e lui deve sempre rovinare tutto. E anche perché è un signore che da quasi tutta la vita è ricco e famoso: sa che se fa battute anche mosce la gente ride, perché è così che succede ai ricchi e famosi, che infatti sono pagati per fare le facce e non per capire il mondo.

Tutti quelli che conosco, me compresa, aspettano tantissimo “Jay Kelly”, il film (girato in Italia, chissà quante interviste a baristi che hanno servito un caffè al cast, avremo un inverno di pagine di giornali pienissime) in cui George Clooney fa George Clooney. Cioè, fa appunto Jay Kelly, ma è talmente George Clooney che a un certo punto del trailer c’è Giovanni, la guardia del corpo di Clooney, che gli porta un tè freddo (ma nel trailer Jay Kelly lo chiama Silvano). È un attore famosissimo, è uno che sorride quando è giù.

Nell’ultima scena del trailer si vede Clooney su un treno, che guarda quelli nell’altro scompartimento e si domanda «come posso interpretare la gente se non vedo la gente, se non tocco la gente». È il dubbio che dovremmo farci venire quando ci viene voglia di prendere sul serio le istanze politiche d’un attore o d’un cantante: è gente che sta sul palcoscenico, non sa cosa sia uno scambio alla pari, ritiene normale che sotto quel palco ci sia una folla in adorazione; certo che faranno il post dolente sulla fame o le guerre o i mali del mondo, ma preferiranno sempre i giardinetti alle case popolari.

Il trailer di “Jay Kelly” si chiude con Laura Dern, che mi par di capire interpreti una tizia dello staff dell’attore famoso, che alla domanda filosofica di Clooney risponde di, per carità, non toccare la gente (l’evidente sottotesto è: mica sarai impazzito). Molto è stato scritto di Donald Trump germofobico cui fa schifo stringere le mani di quella plebaglia di elettori. Come se agli altri ricchi e famosi, quelli con la giusta iscrizione alle liste elettorali, invece piacesse stringere le vostre mani zozze, farvi autografi sul braccio che annunciate che poi vi farete tatuare qualificandovi come casi psichiatrici, farsi passare al telefono le vostre nonne che dal letto di morte ambiscono come ultima cosa a parlare con un famoso. Probabilmente per chiedergli cosa vota.