di
Francesco Battistini
Nessuna reazione neppure dai firmatari degli Accordi di Abramo con Israele. Solo Egitto e Qatar dietro le quinte spingerebbero per l’esclusione di Hamas
È il 27 giugno 2024. In una base militare segreta fuori Manama, i generali d’Egitto, Arabia Saudita, Emirati arabi, Giordania e Bahrein s’incontrano coi vertici militari israeliani. Oggetto: una forza interaraba che possa prendere il controllo di Gaza. È la proposta del ministro della Difesa di Tel Aviv, Yoav Gallant, e anche l’amministrazione Usa di Joe Biden è d’accordo: mandare gli arabi nella Striscia, disarmare Hamas, spingere gl’israeliani al ritiro. I sondaggi dicono che il 92% delle opinioni pubbliche arabe considera la questione palestinese «una questione araba». E insomma, si potrebbe fare. Finché qualcuno non fa notare che c’è un ostacolo: Bibi Netanyahu. Contrario a Gallant, come all’idea di fermarsi.
Operazione Piombo Fuso
Aiutatevi a casa vostra. È un vecchio refrain, quando si discute della Striscia. Tornato ora, al quinto punto del piano d’occupazione israeliano: una forza araba di garanzia e di gestione del dopoguerra, che eviti «minacce a Israele» e offra «una vita civile» ai gazawi. La proposta è un piccolo cambio d’opinione, nella visione di Netanyahu. O forse solo il retropensiero di chi sa già che nessuna forza interaraba è possibile, al momento. Se ne parlò anche nel 2009, nel pieno dell’operazione Piombo Fuso, e l’idea era venuta al presidente egiziano Hosni Mubarak che ospitava al Cairo gl’incontri tra Fatah e Hamas: tempo qualche giorno, e fu subito tramonto. Anche l’anno scorso, prima la Lega araba e poi l’emiro «Mbz» dal suo palazzo di Abu Dhabi — lo stesso che vorrebbe ospitare il summit Trump-Putin —, pure allora la buttarono lì. Senza successo.
Chi preme dietro le quinte
È anche così che si spiegano le reazioni poco entusiastiche dei Paesi arabi. Soltanto Egitto e Qatar, al lavoro sul rilascio degli ostaggi, dietro le quinte oggi vorrebbero «congelare» le armerie di Hamas, senza disarmarle, e insieme spingere perché il movimento filoiraniano molli il potere a un Comitato arabo-palestinese (formato da chi, non è chiaro), per rimettere in piedi la Striscia e dare a Gaza una polizia «addestrata da due Paesi arabi che piacciano a Israele» (parole d’uno sherpa a Doha). Un vero e proprio governatorato arabo della Striscia imposto da Bibi, per il resto, riscuote solo dei no (dallo stesso Egitto, dai sauditi, dai giordani) o degli imbarazzati silenzi dai firmatari degli Accordi di Abramo: Marocco, Sudan, Emirati, Bahrein non hanno ancora fiatato, ma fonti diplomatiche escludono che ci sia una vera disponibilità. Tutti escludono che sia l’Anp di Abu Mazen, la prescelta. Ma ugualmente s’adeguano alla linea: «Il popolo palestinese non accetterà di farsi imporre alcuna soluzione con la forza. E riafferma il suo diritto all’autodeterminazione a Gaza, in Cisgiordania e a Gerusalemme Est».
9 agosto 2025
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