Maschera bianca, parrucca rossa e una tela grande come il mondo. Questa è Laika, artista romanə che ha deciso di rendere i muri delle strade il manifesto della propria postura politica e sociale. Ormai da anni ha iniziato un percorso artistico che dagli Usa all’Italia evidenzia cosa non le piace del mondo, urlandolo a gran voce e agendo sempre al limite tra legalità e illegalità. Definitə “Banksy d’Italia”, Laika agisce come molti supereroi dei fumetti, indossando una maschera e portando la bandiera della propria giustizia artistica e ideologica. Tra gli svariati soggetti finiti al centro delle sue opere si contano Giulio Regeni, Michela Murgia, Paola Egonu e, tra gli ultimi, anche Papa Francesco. Numerose sono state anche le manifestazioni artistiche per la liberazione, poi avvenuta, di Patrick Zaky: proprio con l’attivista egiziano la scorsa domenica sera ha inaugurato il suo ultimo murale a Riace, Humanity has no borders, come segno di vicinanza al sindaco Domenico “Mimmo” Lucano, al centro di molte polemiche.
In questo articolo sarà presente lo schwa, indicato con questo simbolo “ə”, per declinare il soggetto in un genere neutro, su richiesta dell’artista.
Humanity has no borders, il murale di Riace, non è la prima opera di solidarietà per Mimmo Lucano. Come si sta evolvendo il vostro rapporto?
«La prima opera che ho dedicato a Mimmo Lucano e al suo coraggio risale al 2021, quando arriva la condanna a 13 anni e 2 mesi, una condanna politica: il suo modello di integrazione e accoglienza faceva paura. Mimmo aveva mostrato al mondo che un’alternativa alle politiche xenofobe dei governi europei esiste. Spesso mi succede che le mie opere su carta, affisse con tanta colla sui muri giusti, generino delle reazioni da parte dell’opinione pubblica: queste reazioni hanno il potere di connettermi con le persone che ritraggo. È successo con Patrick Zaki, per il quale mi sono espostə tantissimo a favore della sua liberazione: ora siamo amici. E anche questo cerchio con Mimmo si chiude (per ora): un viaggio iniziato nel 2021 che mi ha portatə nel luogo simbolo dell’accoglienza. Lasciare una traccia è stato un onore. Conoscere Mimmo Lucano e la sua comunità un’immensa gioia. Cosa accadrà in futuro non lo so: si è creata una connessione che sicuramente ha rafforzato i nostri percorsi di lotta».
Quali passi sono necessari secondo lei perché l’accoglienza e l’abbattimento di confini politici e morali possano diventare davvero delle priorità per chi decide?
«È necessario un cambio di mentalità da parte degli italiani, la cui mente è annebbiata da una propaganda xenofoba utile solamente a dividerci tra esseri umani di serie a e serie b. Il sistema ha bisogno di farci credere che il nemico sia “lo straniero”, “il diverso” così i potenti possono continuare ad arricchirsi sulla nostra pelle senza risultare colpevoli”. E sicuramente un cambio di governo (viviamo nel momento più buio per democrazia e diritti dal dopo guerra) e un cambio delle politiche europee, oggi basate sulla “protezione” dei confini e sulla criminalizzazione dei migranti. La gente che muore in mare scappa da Paesi devastati dal colonialismo occidentale»
Che ruolo deve avere l’arte nella società? Le sta bene essere una persona “scomoda”?
«Non sono io a dover dire che ruolo debba avere l’arte tutta: sono convintə però che l’artista debba schierarsi, debba mettere al servizio dei diritti umani il proprio lavoro. L’artista deve schierarsi, soprattutto in un periodo come questo. Io, come Gramsci, odio gli indifferenti. Il fatto che risulti scomodə significa che sto facendo bene il mio lavoro. Il mio progetto non nasce per piacere a tutti. Con le mie opere genero dibattito, a volte sveglio le coscienze: dialogo con il mainstream affinché il mainstream prenda coscienza, si mobiliti e cambi le cose. Cambiare le cose, lottare per un mondo migliore in termini di diritti umani e sociali è fottutamente scomodo. Vado fierə di questa definizione. L’arte è liberazione. È una forma di resistenza».
Il murale di Riace è stato realizzato insieme a Patrick Zaki e all’associazione Spostiamo mari e monti: ci sono altre realtà che conosce capaci di fare la differenza?
«Fortunatamente di realtà che nascono e che portano avanti la lotta a difesa dei diritti umani ce ne sono molte. È fondamentale organizzarsi in un momento così buio: la lotta senza organizzazione non è efficace. Spesso la mia arte supporta il lavoro di Ong e associazioni. Unire la potenza delle immagini al lavoro di cooperanti e attivisti è per me fondamentale nel mio percorso artistico: è un modo per dare concretezza al mio lavoro artistico e al mio essere attivista. Ho collaborato e collaboro con diverse Ong e associazioni tra cui Amnesty International, MSF, Sea Watch (a settembre vedrete a Milano cosa ho preparato per i suoi 10 anni). A Riace ho conosciuto “Spostiamo Mari e Monti” un’associazione di anime belle che lotta per un mondo migliore».
Qual è il suo rapporto con la censura?
«Sono in uno stato di guerra permanente con la censura. La censura è un cancro per la democrazia. La censura ha senso contro ciò che minaccia la democrazia stessa: neonazismo, fascismo, razzismo ecc. Bucare il muro della censura è la mia occupazione principale: spesso social e stampa non accolgono ciò che comunico attraverso le mie opere. Su Instagram lo shadow ban è pane quotidiano. Ogni volta che vengo censuratə mi carico e cerco di fare ancora più rumore. Non so quanto convenga».
Un commento sugli ultimi sviluppi del caso Almasri?
«Almasri è un criminale internazionale, un torturatore, ma anche un faccendiere del governo italiano: fa il lavoro sporco. Solo un governo xenofobo, colpevole di lasciare affogare la gente in mare ostacolando il lavoro delle ong, che rinchiude i migranti in dei lager chiamati Cpr, poteva lasciare libero un essere immondo come Almasri».
Com’è nata la decisione di fare street-art? Qual è stato il primo murale?
«È nato tutto per gioco all’inizio: ho iniziato insieme ad alcuni amici facendo stickers e poster ironici (sempre a tema politico). Il primo poster in assoluto era un collage di Greta Thunberg con il volto di Bettino Craxi e la famosa citazione “hanno creato un clima infame”. Ma è solo con l’Abbraccio tra Zaki e Regeni ho capito il potere dei poster in strada».
Dove sta puntando la maschera in questo periodo? Dove pensa che ci possa essere bisogno di una sua opera per “scuotere” le persone?
«Non anticipo mai i miei blitz. Spesso sono illegali e preferisco muovermi in totale sicurezza e anonimato. Purtroppo i posti dove servono opere per scuotere la gente sono sempre di più. Sarà un duro lavoro ma io voglio pensare che un giorno riusciremo a vivere in un mondo in cui l’umanità non abbia confini».
Lavorare nell’anonimato comporta appunto dei rischi. Mi racconta, se c’è stata, una volta in cui ha temuto di vedersela brutta?
«Lavorare in anonimato mi garantisce una vita quotidiana normale. Mi garantisce inoltre di non avere filtri quando realizzo un’opera: le mie critiche sono sempre dirette. Senza anonimato non ci sarebbe Laika. Non riesco ad immaginare questo progetto senza questa forma di protezione: mi arrivano sempre tante minacce. Grazie all’anonimato sono riuscitə ad andare in pieno Covid in Bosina, sulla Rotta Balcanica. I rischi arrivano quando l’anonimato viene meno. L’ultimo blitz all’estero, in Ungheria, è stato uno dei più stressanti di sempre. Non ho dormito diverse notti».
Vede un futuro senza maschera?
«Senza la maschera? No. Al massimo con occhiali da sole e passamontagna».