L’intervista

L’intervista all’ex capitano biancorosso che ha da poco ottenuto l’idoneità sportiva e può nuovamente essere tesserato da un club italiano




Vladimir Golemic tornerà a giocare in Italia dopo aver ottenuto l’idoneità sportiva


Vladimir Golemic tornerà a giocare in Italia dopo aver ottenuto l’idoneità sportiva




Vladimir Golemic tornerà a giocare in Italia dopo aver ottenuto l’idoneità sportiva


Vladimir Golemic tornerà a giocare in Italia dopo aver ottenuto l’idoneità sportiva

Lottare da soli, lontano da una campo da calcio, distanti da tutto ciò che sei stato. Perché “essere” calciatore è diverso dal “fare” il calciatore. Vladimir Golemic, 34 anni, un anno fa è caduto nel buio profondo per un’aritmia che non gli consentiva di giocare a pallone e quindi di esistere. Ha capito con il tempo che il calcio è solo una parte della sua vita, ha lavorato su se stesso, ha conosciuto il suo corpo, ha resistito quando tutti gli dicevano: «Vladimir non puoi più giocare a calcio».

Come si fa a reagire quando ti crolla la terra sotto i piedi? 

Quando c’è un problema, c’è un modo per risolverlo. Io ho sempre ragionato così ma serve determinazione. Quando a fine luglio 2024 mi hanno detto che non ero idoneo a giocare ho iniziato a telefonare, informarmi, affrontare la commissione medica. Andare avanti insomma. E quando ho capito che potevo giocare all’estero, mi sono detto “ok si va via dall’Italia“ ed è arrivata l’opportunità del campionato serbo. Poi ancora visite, finché a fine luglio mi hanno detto che sono idoneo anche per l’Italia. E sono felicissimo.

Ci ha sempre creduto, vero?

Sì, perché conosco il mio corpo. Sono sempre stato bene, mai un affaticamento, ho sempre vissuto allo stesso modo. Dalla mancata idoneità ad oggi non è cambiato niente.

E adesso?

Si torna in campo, sono a Roma per allenarmi e per arrivare pronto per la prossima squadra, non voglio aspettare oltre agosto. Ho avuto richieste dalla Polonia, Svizzera, Europa dell’Est, ma voglio restare in Italia. Ho quattro offerte e una squadra di C che vuole giocarsi la promozione. Vediamo, sceglierò chi ha un progetto importante.

Non si è lasciato bene con il Vicenza

È una ferita ancora aperta e non dimenticherò mai come sono stato trattato. La società poteva fare di tutto per aiutarmi, anche solo come supporto psicologico, ma non ha fatto nulla. No, non è acqua passata e io non dimentico. Restano gli amici, prima di tutto Sara e Fabrizio e poi i miei compagni di squadra, ci sentiamo sempre. Per me era una seconda famiglia.

Una stagione maledetta persa a Carrara, l’espulsione in semifinale e poi la delusione dell’anno scorso. Che differenza ha visto tra le due squadre?

Ho ancora il rammarico di non aver giocato il ritorno di Carrara, avremmo vinto la finale. È stato un periodo difficile quello: vedere sfumare la serie B e un mese dopo la mancata idoneità… un luglio terribile. La passata stagione? Mancava un leader vero, leader si nasce non si diventa, è qualcosa che ti senti addosso. Se sprechi le partite che contano, vuol dire che non c’era un leader.

Come a Verona con la Virtus…

Sì, anche quella. In sfide così importanti devi far sentire all’avversario tutta la tua cattiveria prima di entrare in campo. Fargli sapere che se solo tira una volta “gli spezzi le gambe”, è solo una metafora per carità, ma in quel campo ci dovevi andare con il bazooka. Invece il linguaggio del corpo, lo stare in campo dei giocatori mi dimostrava che non avevano l’atteggiamento giusto.

In quest’anno di calvario conoscere Roby Baggio è stato importante?

Sì, mi ha invitato a casa sua tramite l’amico Fabrizio. Abbiamo bevuto un caffè con grande semplicità. Baggio è una persona profonda capace di toccare le corde giuste: non sapevo ancora se potevo giocare ma mi disse: “Vladimir, giocare a calcio è bellissimo ma alla fine contano le persone che stanno con te tutto il giorno. Gli affetti valgono di più”. Capii che prima di tutto contava la mia famiglia ed è grazie a mia moglie e ai figli se adesso sono pronto per tornare a giocare. In Italia.