È una domanda più che legittima: la Sardegna può essere colpita da uno tsunami? Una risposta positiva potrebbe spiazzare tutti perché, oltre alle mega onde teoriche che avrebbero “affondato” la civiltà nuragica ce ne sono altre, molto meno teoriche e per fortuna anche molto meno distruttive, che hanno già colpito l’isola. Ed è successo almeno due volte, anche in tempi recenti. La prima è stata registrata e Cagliari e a Carloforte il 21 maggio del 2003. La fortuna ha voluto che il terremoto di magnitudo 6.8 è avvenuto nel mar Mediterraneo Occidentale, al largo delle coste dell’Algeria, e che i danni si sono verificati tra le città algerine di Zemmouri e Boumerdès e nelle Isole Baleari, in particolare sulle coste sud-orientali di Maiorca e Minorca. Gli effetti sulla Sardegna sono stati rilevati solo dai mareografi, gli strumenti che misurano la variazione del livello del mare, che hanno registrati un leggero innalzamento delle acqua. Poca roba, appena qualche centimetro. Poi, il 18 marzo del 2021, è stato “colpito” il porto di Teulada, nel Sud Sardegna dove sono state osservate piccole anomalie dopo che il Centro allerta tsunami dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (Cat-Ingv) aveva emanato un’allerta tsunami di livello arancione per le coste dell’Algeria e un messaggio informativo per le altre aree del mar Mediterraneo. Due esempi che spiegano per quale motivo sia un errore considerare il Mar Mediterraneo come un luogo sicuro e al riparo dagli tsunami che, secondo alcuni scienziati, potrebbero manifestarsi nel giro di pochi anni in una forma decisamente preoccupante. Per fortuna, anche in questo caso, l’isola non dovrebbe registrare danni.
Diverso il discorso per le coste dell’Andalusia e del Marocco, che verrebbero colpite dagli effetti di un terremoto scatenato dalla Faglia di Averroè, una zona sismicamente attiva del Mar di Alboran. Qualche tempo fa il quotidiano spagnolo La Razon, aveva ipotizzato che se in quella zona si verificasse un sisma di un’intensità piuttosto alta si potrebbero generare onde alte fino a sei metri che si abbatterebbero sulle coste spagnole in appena 21 minuti. Un’ipotesi smentita dagli specialisti del Cenalt (Centre d’alerte tsunami) francese che ipotizza onde di due metri e una capacità distruttiva molto inferiore. Ipotesi a parte, su un aspetto della previsione c’è una sostanziale unanimità di pensiero: uno tsunami molto violento colpirà nuovamente il Mediterraneo.
Chi si sbilancia pensa che lo farà entro i prossimi 30 anni, chi non si sbilancia non allega date alle previsioni. Difficile, se non impossibile, costruire una previsione precisa. L’unica risposta attendibile è quella che arriva dalle attività di monitoraggio del Cat-Ingv che sono «svolte da un gruppo di ricercatori, tecnologi e tecnici di diverse discipline (sismologia, fisica, informatica) che opera 24 ore su 24 e raccoglie, registra, elabora e analizza i dati dei terremoti, stima i loro parametri, calcola i tempi d’arrivo sulle coste; effettua inoltre il monitoraggio del livello del mare». Qualcosa di molto più preciso di una previsione che, inoltre, può contare sul sistema di “allertamento rapido” che si basa su un principio molto semplice: le onde sismiche viaggiano nella crosta con una velocità molto più alta di quella delle onde di tsunami.