“La cultura è ciò che resta quando si è dimenticato tutto il resto” 
– Émile Henriot 

In un tempo in cui l’intelligenza artificiale si fa strada in ogni ambito dell’esperienza umana, il concetto di intelligenza culturale emerge come una risorsa imprescindibile per il futuro dell’umanità. Non si tratta di una semplice erudizione, né dell’adattamento alle differenze, ma della capacità profonda di comprendere, rispettare e interagire efficacemente con culture diverse, in un mondo interconnesso e sempre più fragile. 

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Intelligenza culturale: di cosa si tratta? 

Il concetto nasce da un’esigenza pratica e antropologica: vivere nella complessità. In un’epoca post-globale, in cui identità, lingue, religioni e sistemi valoriali si intrecciano senza mediazione, l’intelligenza culturale (CQ – Cultural Quotient) si propone come una delle chiavi di volta per affrontare le crisi del nostro tempo: dai conflitti geopolitici alla migrazione, dal cambiamento climatico alle trasformazioni tecnologiche. Come osservava Amartya Sen, la vera libertà si fonda sulla capacità di scegliere tra opzioni culturali diverse, e solo chi ha un’intelligenza culturale elevata può esercitare questa libertà in modo consapevole. L’ignoranza culturale, al contrario, genera paura, chiusura, tribalismo. 

Il futuro ci chiede intelligenza culturale 

Il futuro dell’umanità si gioca quindi su un duplice crinale: da un lato l’espansione delle tecnologie intelligenti, spesso disincarnate, algide, astratte; dall’altro la necessità di una intelligenza umana e culturale, capace di tradurre conoscenze, emozioni, storie, simboli. Nel 2021, Papa Francesco ha ricordato che “non si egemonizza la cultura: si è abitati da essa“. In questa affermazione risuona la consapevolezza che l’intelligenza culturale non è un accessorio, ma un orizzonte antropologico.  Essa non si limita a riconoscere l’altro, ma a mettersi nei suoi panni, a ridefinire la propria identità in una relazione che non colonizza, ma arricchisce. Proprio per questo, il futuro non sarà scritto da chi saprà solo programmare macchine, ma da chi saprà immaginare mondi condivisi.  

È necessario educare all’intelligenza culturale 

La sfida è educativa, estetica, filosofica. Non basta il “machine learning”: serve un “human learning”, un’educazione sentimentale alla differenza, alla bellezza, alla pluralità. Come sosteneva Clifford Geertz, “l’uomo è un animale sospeso tra ragnatele di significato che egli stesso ha tessuto“. L’intelligenza culturale è lo strumento per leggere quelle ragnatele, senza restarne intrappolati, ma imparando a ricamarne di nuove. Perché senza cultura, l’intelligenza umana o artificiale che sia resta in realtà… solo disumana. Questo sarà il tema di Semi25 l’evento annuale dell’Associazione Cultura Italiae ONG UNESCO che quest’anno si terrà a Modena e Maranello il prossimo 10, 11 e 12 ottobre e anche quest’anno avrà Artribune quale media partner. 

Angelo Argento 
 
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