di
Pieremilio Gadda
Evitato lo scontro diretto, ma restano incertezze su settori chiave e competitività europea. Dollaro debole e portafogli in cerca di nuove rotazioni
Il bicchiere dell’accordo quadro sui dazi firmato da Stati Uniti e Unione europea è mezzo pieno o mezzo vuoto, per chi guarda ai propri investimenti? La mite reazione immediata dei mercati segnala una certa indecisione: il balzello del 15% scattato il 7 agosto è ovviamente meglio del 30% previsto senza una stretta di mano tra Donald Trump e Ursula Von der Leyen. Si evita, per il momento, l’escalation di una guerra commerciale. E l’impatto stimato sulla crescita dell’Europa, -0,21% (elaborazione Ispi su dati Kiel Institute), non impensierisce.
D’altro canto, rimane una tagliola ben più severa su acciaio e alluminio, pari al 50%, che porta la tariffa effettiva, cioè la media ponderata per i beni esportati dall’Ue, attorno al 17%. Prima del Liberation Day del 2 aprile era sotto il 2%. È vero che ci sono settori esenti: l’industria aerospaziale, la robotica avanzata, alcuni prodotti chimici, agricoli e risorse naturali. L’elenco potrebbe ampliarsi negli ultimi giorni di trattativa. Ma la perdita di competitività delle merci europee destinate all’export oltreoceano è comunque aggravata dalla svalutazione del dollaro, che nel 2025 ha perso circa il 10% del suo valore rispetto all’euro. E non si può escludere che Trump accenda nuovi focolai di guerra commerciale. «I mercati si sono mossi poco, perché non sanno quale direzione prendere — osserva Giulio Renzi Ricci, head of asset allocation di Vanguard Europe —. Il diavolo è nei dettagli e molti aspetti restano da chiarire». Uno dei maggiori punti interrogativi tocca i farmaci: finora esclusi dai dazi al 10%, ora subiranno, pare, una tassa doganale del 15%, e solo alcuni saranno esenti.
Listini
Dunque, che cosa fare? «Siamo bullish (rialzisti ndr) sull’azionario americano: gli Usa escono vittoriosi da questa partita. Bisogna però tenere a mente che le valutazioni della Borsa sono di nuovo tirate».
Dai minimi toccati in aprile, il recupero è stato vigoroso: l’indice dei titoli tecnologici, per esempio, ha guadagnato il 20% in quattro mesi. Ma la svalutazione del biglietto verde, nel caso dell’investitore europeo, ha divorato metà della performance. «La seconda metà dell’anno sarà importantissima per analizzare i fondamentali dell’economia, che saranno influenzati anche dalle tariffe — avverte Fabiana Fedeli, chief investment officer equities, multi asset, sustainability di M&G —. Rimane la possibilità che in America l’inflazione torni a salire. E intanto s’iniziano a intravedere segnali di debolezza su due fronti: consumatori e investimenti delle imprese».
I dazi, del resto, si inseriscono in un quadro articolato. «Infrastrutture e difesa sono sostenute da uno strutturale aumento di spesa in Europa — rileva la manager di M&G —. Come in altri settori ciclici, alcuni titoli che hanno corso molto possono affrontare un percorso più difficile se l’economia rimane fiacca o si indebolisce ulteriormente».
Bisogna però guardare dentro i settori, analizzare i conti delle singole aziende, perché «quando la struttura del mercato cambia, lascia sul campo vincitori e vinti: ora vincono le aziende che hanno pricing power, potere di determinare i prezzi, e hanno dimostrato capacità di innovazione. Perdono quelle che hanno catene di fornitura più complesse, non solo in Europa, ma anche in Asia e in Cina. O fanno affari soprattutto con gli Usa», dice Fedeli.
Reddito fisso
Anche il reddito fisso, intanto, si è mosso poco. È qui che, secondo Renzi Ricci, si nasconde «un aspetto sottovalutato: i rendimenti dei titoli del tesoro americano a lunga scadenza sono scesi leggermente, ma c’è spazio per un ulteriore appiattimento». Il motivo? I dazi europei, da soli, porteranno un aumento di gettito fiscale stimato dall’Ispi in circa 70 miliardi. «Il 56% dell’import Usa è ancora in fase di negoziazione — segnala Renzi Ricci —. Facendo cassa, l’amministrazione Usa migliora la traiettoria del disavanzo e attenua le pressioni sulla sostenibilità del debito». Se i rendimenti scendono, i detentori di bond festeggiano.
Del resto, in caso di un deterioramento del quadro macroeconomico, dovuto anche alle tariffe, «il reddito fisso rimane un’area più difensiva per i portafogli. Abbiamo mantenuto posizioni negli Usa, riducendo le scadenze da 30 a 10 anni, abbiamo anche titoli del Regno Unito, governativi tedeschi e, selettivamente, mercati emergenti — spiega il manager —. E l’Italia? Ha dato risultati molto buoni, in termini relativi troviamo più valore oggi nei bund e nei gilt inglesi».
C’è un aspetto che l’accordo tra Stati Uniti e Ue ha messo in discussione: la debolezza del dollaro. «I nostri modelli indicano che il biglietto verde ha ritrovato un equilibrio di lungo termine rispetto all’euro e alle principali valute», dice Renzi Ricci.
La rotazione dei portafogli, che nella prima parte dell’anno ha incoraggiato molti investitori a riequilibrare le posizioni, alleggerendo le attività finanziarie denominate in dollari a favore di altre aree, come Europa e Asia, si è arrestata, per ora. «Tuttavia, qualcosa sembra cambiato strutturalmente nel modo in cui gli investitori di tutto il mondo guardano al dollaro e ai governativi Usa nel lungo termine. Qualcuno metterà in discussione il concetto di free risk, cioè di asset privo di rischio. E questo favorisce una maggiore diversificazione dei portafogli», conclude Fedeli.
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9 agosto 2025 ( modifica il 9 agosto 2025 | 12:25)
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