Riccione, 9 agosto 2025 –  Si è chiusa dopo 14 anni la vicenda giudiziaria legata alla morte di una dottoressa riminese di 58 anni, stroncata nel 2015 da un tumore al seno che, secondo le sentenze, sarebbe stato già individuabile durante la prima mammografia eseguita all’ospedale di Riccione nel gennaio 2011.

All’epoca, però, la diagnosi fu negativa e la paziente venne rassicurata di essere in perfetta salute.

La donna, medico come il marito, si era sottoposta all’esame nell’ambito della campagna di screening regionale.

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Al termine della visita le era stato comunicato che l’esito era ‘normale’ e che non vi erano segni di alterazioni sospette.

Tornò così a casa senza ulteriori preoccupazioni.

Soltanto un anno e mezzo dopo, nel novembre 2012, un sospetto emerso durante l’autopalpazione la spinse a effettuare un nuovo controllo in una clinica privata.

L’esito, questa volta, fu drammatico: carcinoma infiltrante e macrometastasi al linfonodo sentinella.

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Seguì un intervento chirurgico e cicli di chemioterapia, ma la malattia, particolarmente aggressiva, era ormai in fase avanzata. Nel settembre 2015, nonostante le cure, la donna morì.

La causa contro l’Ausl Romagna e l’ospedale di Riccione ha portato i giudici del tribunale di Rimini, prima, e della Corte d’Appello di Bologna, poi, a riconoscere la responsabilità dei medici.

La Corte d’Appello ha confermato le responsabilità dei sanitari e stabilito che l’omessa diagnosi abbia anticipato la morte della paziente.

In secondo grado, però, il risarcimento riconosciuto al marito è stato ridotto a 562 mila euro, rispetto ai 2,2 milioni fissati in primo grado, poiché è stata ricalcolata la probabilità di sopravvivenza in caso di diagnosi tempestiva.