Le proteste degli israeliani che, a Gerusalemme, sono scesi in piazza per chiedere la liberazione degli ostaggi ancora nelle mani di Hamas – Ansa
Protestano i familiari degli ostaggi: temono che siano stati oramai sacrificati per consegnare a Netanyahu e all’estremismo politico la promessa messianica del “Grande Israele”. Protestano gli ultraortodossi contrari al servizio di leva, perché di andare in guerra non ne vogliono sapere, quando il governo ha minacciato di arrestare i renitenti alla leva.
Ma le folle oceaniche dei primi mesi di guerra, quando le piazze di Tel Aviv e Gerusalemme erano invase dai manifestanti, non si sono viste. A Gerusalemme davanti alla Knesset, il parlamento israeliano dove normalmente si concentrano i principali cortei nella capitale, dopo una prima manifestazione nella notte in cui si attendevano le decisioni del gabinetto di sicurezza, ieri ha visto sparuti gruppi a chiedere di salvare gli ostaggi e fermare il bagno di sangue. Anche a Tel Aviv si sono viste solo le famiglie degli ostaggi e alcune centinaia di attivisti che annunciano per oggi, al termine del sabato ebraico, cortei massicci.
Le premesse della notte precedente non erano state delle migliori, tra momenti di tensione e minacce di arresti. La polizia israeliana si era scontrata con i manifestanti a Tel Aviv. Le cariche erano state intensificate dopo che il primo ministro Benjamin Netanyahu aveva dichiarato che Israele assumerà il controllo di alcune zone di Gaza. Fuori dai palazzi del potere gli oppositori hanno provato a muoversi come potevano. Controllati a vista dalla polizia, pronta a eseguire cariche di alleggerimento. Alcune centinaia di manifestanti si erano raccolti a Gerusalemme sotto la sede del governo a scandire slogan. Arringati da leader centristi quali l’ex generale Yair Golan o l’ex premier Yair Lapid secondo cui «la decisione di queste ore è un disastro che porterà a molti altri disastri: alla morte degli ostaggi, all’uccisione di tanti soldati, che costerà decine di miliardi ai contribuenti e innescherà un collasso politico».
Secondo il quotidiano Maariv, «la valutazione prevalente è che la maggior parte, se con tutti gli ostaggi ancora vivi, moriranno».
Un dolore che i sopravvissuti alla prigionia di Hamas e le famiglie degli ostaggi in attesa di notizie dei loro cari, hanno portati fin sotto alla casa del ministro della Difesa. Israel Katz: «Hamas ci diceva che il governo ci aveva abbandonati – hanno detto alcuni ex prigionieri dei fondamentalisti -, ma abbiamo visto con i nostri occhi che il popolo non ci aveva abbandonati. Chiediamo che il governo ascolti ora la volontà del popolo: finché tutti gli ostaggi non saranno tornati, non consumeremo un vero pasto dello Shabbat». Dal governo nessuna risposta.
Così ha preso la parola chi la prigionia la conosce, e conosce anche Hamas. Gli ex ostaggi che sulla propria pelle hanno conosciuto la prigionia, e nei tunnel di gaza hanno lasciato amici e parenti, sperando di rivederli presto e ancora in vita.
Iair Horn è uno degli israeliani condotti nei nascondigli, passato di mano in mano dai gruppi affiliati ad Hamas e infine liberato in seguito ai negoziati. Hamas lo aveva esibito in una delle sue macabre celebrazioni mediatiche prima del rilascio: «Mio fratello Eitan è in prigionia, i nostri amici sono ancora in prigionia.
Finché non torneranno tutti, non si può chiamare questo Kabbalat Shabbat (l’inizio del sabato ebraico, ndr)». Anche Ohad Ben Ami è sopravvissuto al progrom e alla prigionia di Hamas. E da un microfono si rivolge a chi può decidere, perché ascolti e non sottovaluti la portata del dissenso: «Il governo pensa di avere tempo – ha avvertito -, ma noi non resteremo a guardare. Agiremo, e siamo un intero popolo».