Caricamento player

Sono ancora fuori dal Texas i deputati locali del Partito Democratico che la scorsa domenica avevano lasciato lo stato per bloccare una proposta di legge che modifica le mappe elettorali a favore dei Repubblicani. Questa cosa non piace al governatore Greg Abbott, Repubblicano, che sta cercando in tutti i modi di farli tornare in Texas: «Convocherò sessione speciale dopo sessione speciale dopo sessione speciale, sugli stessi argomenti», ha detto venerdì, intendendo che continuerà a promuovere la legge finché non sarà approvata.

La legge in questione propone di modificare le circoscrizioni elettorali in cui è diviso il Texas, quelle dove vengono eletti i membri della Camera dei rappresentanti federale (quindi del Congresso di Washington). I nuovi collegi permetterebbero probabilmente ai Repubblicani di ottenere cinque seggi in più di oggi. Il Texas esprime 38 deputati alla Camera federale, di cui al momento 25 sono Repubblicani: con le modifiche potrebbero arrivare a 30.

Le modifiche sono sostenute anche dal presidente Donald Trump, dato che le loro conseguenze andrebbero ben oltre la politica texana: il Partito Repubblicano vuole assicurarsi di mantenere il controllo del Congresso degli Stati Uniti alle prossime elezioni di metà mandato, in programma a novembre del 2026. Attualmente alla Camera i Repubblicani hanno una maggioranza risicata: 219 seggi contro 212 dei Democratici (ci sono anche quattro seggi vacanti). I cinque seggi aggiuntivi del Texas farebbero quindi la differenza.

I parlamentari Democratici che hanno lasciato il Texas sono oltre 50, un numero sufficiente a far mancare il quorum necessario per validare qualsiasi votazione. Lunedì lo speaker della Camera del Texas, Dustin Burrows, ha firmato dei mandati di arresto a loro carico. È però una misura principalmente simbolica, dato che i mandati riguardano le forze dell’ordine statali, che non hanno competenza fuori dal Texas. Molti dei parlamentari Democratici sono andati prima in Illinois, dove sono stati accolti e sostenuti dal governatore Democratico J.B. Pritzker, e poi in altri stati Democratici tra cui il Massachusetts.

Il capo dell’opposizione alla Camera del Texas, Gene Wu (a destra, con il completo blu), e il governatore dell’Illinois, J.B. Pritzker, a una conferenza stampa, il 3 agosto (AP Photo/Mark Black)

Per aggirare il problema il senatore federale John Cornyn ha chiesto di intervenire direttamente all’FBI, un’agenzia di polizia federale che invece ha competenza su tutto il territorio degli Stati Uniti. Cornyn ha detto che l’agenzia ha approvato la sua richiesta, ma non è chiaro quanto L’FBI sarà coinvolta nelle operazioni di ricerca e nell’eventuale arresto dei parlamentari texani. Martedì Trump aveva detto che le autorità federali «potrebbero dover» intervenire nella questione, rimanendo vago.

I Democratici texani stanno chiedendo donazioni per finanziare il periodo che passano fuori dallo stato, per esempio per pagare i costi di vitto e alloggio e l’attrezzatura per le conferenze stampa. Le leggi del Texas consentono di punire i membri della Camera con multe da 500 dollari per ogni giorno di assenza non autorizzata: non è chiaro se queste sanzioni verranno applicate, ma eventualmente sarebbe un costo aggiuntivo molto rilevante.

– Leggi anche: Pur di bloccare una legge, in Texas alcuni politici hanno lasciato lo stato

Il processo di modifica delle mappe elettorali è noto negli Stati Uniti come “redistricting”, ed è piuttosto comune. Solitamente viene fatto dopo ogni censimento, quindi con cadenza decennale: il prossimo sarà nel 2030. Il Texas invece ha deciso di muoversi a metà tra un censimento e l’altro. Quando il redistricting viene fatto in modo strumentalizzato e con motivazioni politiche, come in Texas, si parla di “gerrymandering”: negli anni questa pratica ha creato evidenti storture nelle mappe elettorali statunitensi, con distretti dalle forme arzigogolate e innaturali, creati con il solo intento di unire zone contigue a maggioranza Democratica o Repubblicana.

Il deputato statale Greg Casar a una protesta a Austin, in Texas, contro la legge che propone di modificare i distretti elettorali (REUTERS/Nuri Vallbona)

Il grande caos causato dalla presentazione della legge e dalla conseguente protesta in Texas sta portando anche altri stati, sia Democratici sia Repubblicani, a valutare di modificare le proprie mappe, sempre con l’obiettivo di manovrare in qualche modo i risultati delle elezioni di metà mandato.

Quello con i piani più concreti è la California, lo stato più popoloso e l’unico che ha più seggi al Congresso federale (52). Il governatore Democratico Gavin Newsom ha detto di voler modificare la mappa dei collegi per favorire i Democratici e fare in modo che ottengano fino a cinque seggi in più alle prossime elezioni. Newsom l’ha presentata come un’esplicita ritorsione alla mossa di Abbott (la California è uno stato solidamente Democratico, e il Texas è solidamente Repubblicano).

È possibile che l’annuncio sia perlopiù simbolico, anche perché ci sono alcuni ostacoli procedurali: in California le mappe elettorali sono curate da una commissione indipendente, mentre Newsom ha proposto di indire una consultazione elettorale speciale il prossimo novembre per far decidere direttamente agli elettori se modificarle o meno.

Tra gli stati Repubblicani, l’Ohio stava già lavorando a una modifica dei propri distretti prima dell’annuncio del Texas. Secondo vari giornali statunitensi, che hanno parlato con funzionari locali rimasti anonimi, anche l’Indiana, il Missouri e la Florida starebbero valutando delle modifiche, ma non ci sono molti dettagli e non è detto che lo faranno entro il 2026. In Indiana anzi i Repubblicani sembrano piuttosto contrari: un politico locale ha detto al Washington Post che «non c’è molto interesse in questo momento», e il governatore Mike Braun ha detto che le mappe «probabilmente dovrebbero essere riviste», ma farlo in mezzo a due censimenti sarebbe «insolito».