La maternità non è femminile. Non è solidale. Non è sensibile, neanche tollerante e inclusiva. La maternità è una sfida costante per riuscire a farsi una doccia tutti i giorni, una scommessa per le donne che sono costrette a lavorare, ma anche per quelle che a fatica vogliono mantenere la posizione ottenuta, senza arretrare. Eppure, c’è un mondo appena fuori la porta della mamma che accoglie una nuova vita, pronto a criticare, giudicare, dare consigli non richiesti, il più delle volte negativi.
Ci penso da ieri, da quando sul Corriere del Mezzogiorno e della Sera abbiamo scritto di Noemi, una trentatreenne che ha scoperto di essere incinta una volta giunta al Pronto Soccorso. Si era infatti presentata accusando insostenibili dolori addominali. Noemi aveva partorito l’ultimo dei tre figli solo tredici mesi fa e si, Noemi non si è accorta di essere incinta perché non ne ha avuto il tempo materiale. Ci penso da ieri perché il web è uno spazio nato per connettere tutti, sfruttandone i vantaggi e invece è diventato il riflesso di questi tempi in cui ognuno offende liberamente, non curandosi dell’effetto delle parole dettate a volte da insoddisfazioni personali. Qualcuno ha pensato per un attimo alla giornata tipo di Noemi? Con l’ultimo nato di tredici mesi di cui occuparsi e gli altri due bambini.
Io ho un figlio di poco meno di un anno e per fare la doccia tutte le mattine devo correre, devo alzarmi presto. Devo ridurre le ore di riposo per concedermi meno di due minuti per l’igiene personale, se voglio fare colazione. Se salto la colazione, allora la doccia può durare anche quattro minuti, un lusso. Mio marito (un uomo esemplare al quale non posso rimproverare nulla) tutte le mattine non deve rinunciare al suo caffè per una doccia rilassante. Lui chiude la porta di casa alle 7.10, se è in ritardo – non per causa nostra –, e affronta la sua giornata lavorativa.
Ma torniamo a Noemi. Perché non si è accorta della pancia e dei calci, come qualcuno ha fatto notare? Perché una mamma che trova il suo corpo trasformato non pensa più a quei chili di troppo, perché le sue priorità sono altre. Eppure, quanti leoni da tastiera hanno detto la loro, anche ridicolizzando una notizia che è bellissima, è nata una nuova vita. Senza scomodare il diritto, in alcuni casi comportamenti spontanei di crudeltà linguistica possono integrare reati di varia natura, quali diffamazione (aggravata dalla pubblicità della rete), incitamento all’odio. E le donne tra loro? Sono le prime a non tendersi reciprocamente la mano. Altro che solidarietà.
“Viviamo in una società che celebra la maternità in modo ipocrita”. Lo afferma Giulia Santarossa, assistente legale che prosegue senza peli sulla lingua. “La maternità è spesso narrata come un’esperienza colma di gioia, sorrisi e amore incondizionato. Voi mamme siete le prime a volerci convincere di quanto tutto sia meraviglioso, volendo quasi celare le vere difficoltà che state affrontando. Mentre la maternità viene idealizzata con immagini filtrate di madri felici, bambini perfetti e famiglie sorridenti, dietro questa rappresentazione c’è un silenzio assordante su ciò che davvero accade nella vita di una neomamma. Lo vedo nelle amiche, nelle colleghe, nella maggior parte delle neomamme che mi circonda. La verità è che la società non è preparata né interessata ad accogliere e sostenere davvero una donna nel momento in cui diventa madre. C’è la retorica del “miracolo della vita”, ma pochissimo spazio per parlare del trauma fisico, della fatica mentale, della perdita temporanea dell’identità e della pressione schiacciante di essere all’altezza”.
“Quanti si fermano ad ascoltare o aiutare?”, incalza Santarossa. “La madre diventa invisibile: esiste solo in funzione del suo bambino. Anche quando è circondata da familiari o immersa in una rete digitale di messaggi e notifiche, spesso si sente sola, non vista, non capita. E qui entra in gioco la mastodontica questione sulla salute mentale, mancando il supporto psicologico che serve. Parlare di depressione post partum – non necessariamente patologica – ansia, senso di inadeguatezza, è percepito come una debolezza. La madre viene circondata da attenzioni e visite, ma al primo cedimento è giudicata con spietatezza”.
Anche quando il dolore non è raccontato, non è detto che non vi sia. Nel 2025 bisognerebbe puntare ad un benessere che sia generativo e crescente, senza rimanere ancorati ai costrutti di una società anziana.