Adolfo Pérez Esquivel è artista e attivista argentino. Ha vinto il premio Nobel per la Pace nel 1980 denunciando le violenze della dittatura in Argentina. Non ha mai smesso di unire l’arte e l’impegno politico tanto che ha fondato, e continua a dirigere, Servicio Paz y Justicia, un’organizzazione che difende i diritti umani in tutta l’America Latina. In questo colloquio con ilfattoquotidiano.it racconta il suo Paese con un velo di preoccupazione: “Il presidente Milei mette in discussione la politica dei diritti umani ed è negazionista su ciò che ha fatto la dittatura. Sta portando il Paese indietro di oltre 50 anni sotto ogni punto di vista: vuole distruggere lo Stato e ha la complicità di giudici e deputati”.
Esquivel, che Paese è l’Argentina oggi?
Ci sono molte possibilità e risorse, sia naturali che umane, e ha una grande diversità culturale. Ma è anche un Paese che ha sopportato per oltre cinquant’anni governi e dittature sanguinose, imposte per sottomettere il paese agli interessi statunitensi e la dottrina di sicurezza nazionale” . L’ultima dittatura è stata feroce e disumana: dal 1976 al 1983 ci sono stati migliaia di morti e desaparecidos, e il Paese ha fatto la guerra per le Isole Malvinas. La ‘democrazia’, condizionata e ristretta, è stata recuperata grazie alla resistenza e al conflitto sociale. Il presidente Alfonsín ebbe il coraggio di portare a processo le prime tre giunte militari. Si aprì uno spazio giuridico contro i militari che commisero crimini di lesa umanità, creando un precedente riconosciuto anche dalle Nazioni Unite e nella giurisprudenza internazionale. Percorso con luci e ombre, con governi che hanno cercato di occultare i crimini commessi. Dall’altra parte, gli organismi per i diritti umani, i sindacati e settori delle chiese hanno reclamato giustizia e punizione per i responsabili della dittatura. Abbiamo respinto l’atteggiamento di quei governi che hanno concesso indulti ai militari. Oggi il presidente Milei mette in discussione la politica dei diritti umani ed è negazionista su ciò che ha fatto la dittatura. Sta portando il Paese indietro di oltre 50 anni sotto ogni punto di vista: vuole distruggere lo Stato e ha la complicità di giudici e deputati, permettendogli di governare per decreto, violando tutti i diritti del popolo.
Che ruolo ha la cultura?
Si è rafforzata nel tempo grazie alla sua grande diversità. Non è andata però così per le culture dei popoli originari, che sono state escluse e trascurate. Gli intellettuali tendono a riflettere le culture europee e a non guardare verso l’interno, verso ciò che è proprio.
Che rapporto c’è tra Milei e la cultura?
Milei rinnega la cultura del Paese e la disprezza. Riduce i finanziamenti a università, scuole, centri e ospedali pubblici, in un Paese che dal 1918 ha stabilito l’educazione libera e gratuita. L’istruzione e la salute sono diritti del popolo. Milei vuole distruggere lo Stato, taglia i fondi alle province e vuole chiudere gli ospedali pubblici. Sta smantellando anche i centri di ricerca, come l’Inta e l’Inti, che sostenevano l’agricoltura familiare e indigena. Molte fabbriche chiudono, lasciando i lavoratori in stato di indigenza. Il suo slogan è “Non c’è denaro”, ma in realtà investe nelle forze di sicurezza per reprimere pensionati e movimenti sociali, e compra armi per le forze armate.
Come spiega la sua ascesa?
E’ il risultato del fallimento delle dirigenze politiche precedenti, che non hanno saputo prevedere la situazione né progettare soluzioni a medio e lungo termine.
Si sono imbarcate in politiche di contingenza, che per molti settori della popolazione non portano da nessuna parte.
Qual è la sua visione?
Milei crede che sia il mercato, e non lo Stato, a dover garantire l’equilibrio fiscale. Abbandona ogni politica sociale, nega la giustizia sociale e questo lo porta in conflitto con la Chiesa cattolica. Si appoggia così alle chiese evangeliche di cui non si conosce l’origine dei fondi. Qualcosa di simile è avvenuto in Brasile con il sostegno a Bolsonaro e in Perù con Fujimori. Il governo è sempre più autoritario e violento nei confronti dei settori popolari. Il popolo è mobilitato e rivendica i propri diritti a tutti i livelli, ma il governo si rifiuta di ascoltare. La violenza aumenta, così come il sostegno di Milei agli Stati Uniti e a Israele.
C’è ancora resistenza?
È vero che una generazione se ne sta andando, come le Madres e Abuelas, ma c’è anche molta gioventù che ha fatto proprie le bandiere dei diritti umani, in senso più ampio: ambiente, popoli originari, debito estero e terre rare. Si guarda con grande preoccupazione alle imposizioni del FMI e all’indebitamento del Paese, così come alla situazione critica di molte province che non dispongono di risorse. La politica di Milei è molto erratica e conflittuale con altri governi latinoamericani, come Brasile, Paraguay, Uruguay, Venezuela, Nicaragua, Cuba. È in aumento anche la violenza sociale e strutturale: molte famiglie che hanno perso il lavoro oggi vivono per strada, senza alcun sostegno da parte dello Stato.
E il futuro?
Il futuro passa dalla necessità di porre un limite a Milei, che vuole vendere tutte le imprese statali. È urgente che le dirigenze politiche comprendano che bisogna unire nella diversità, con proposte chiare al servizio del popolo e del suo sviluppo economico e sociale. Ciò che si semina, si raccoglie.