E’ il 24 maggio 2019 quando il Giro d’Italia affronta le rampe di Ceresole Reale. E’ la tappa numero 13 e la corsa rosa entra nel vivo con le grandi, anzi grandissime montagne. Il finale è nello splendido scenario del Colle del Nivolet, nel Parco Nazionale del Gran Paradiso, uno degli angoli più suggestivi delle Alpi Graie (in apertura foto roadbookmag).
Quel giorno la classifica generale non subisce grandi scossoni, ma avviene un episodio che segnerà l’intero Giro. Vincenzo Nibali e Primoz Roglic discutono su chi debba chiudere il gap su Mikel Landa e Richard Carapaz, che si erano avvantaggiati. Nibali, irritato dalla passività dello sloveno, gli ricorda che in casa ha già trofei del Giro mentre lui no. Dal canto suo Primoz non la prende bene.
Il giorno dopo, nel continuo marcarsi, i due perdono di nuovo terreno nei confronti di Carapaz. A Courmayeur, negli ultimi chilometri, i più facili, Roglic e Nibali sono praticamente fermi, e l’ecuadoriano va a vestirsi di rosa. Rosa che terrà fino a Verona.
Roglic e Nibali quel giorno sul Nivolet…
Roglic e Nibali quel giorno sul Nivolet…
Ellena, custode del Nivolet
Nonostante la sua magnificenza e la sua bellezza, il Colle del Nivolet non è una salita super nota al ciclismo. La strada è chiusa per buona parte dell’anno e non rappresenta un valico di collegamento. Si sale e si scende (su asfalto) da un solo versante. Per di più la strada è stretta e non consentirebbe l’alloggio di cui necessitano i grandi eventi come il Giro. Tuttavia per alcuni è una vera palestra, un punto di riferimento che va oltre l’essere una semplice salita. Uno di questi è Giovanni Ellena, oggi direttore sportivo della Polti-VisitMalta, che del Nivolet è un po’ il custode.
«Questa è la mia salita sin da quando correvo – racconta Giovanni – parliamo degli anni ’80. All’epoca il tracciato era diverso: la strada che ora passa in galleria non c’era e si saliva per la vecchia via esterna, più panoramica. Oggi però questa via è di nuovo percorribile. Ed è bellissima. Dopo la tappa del Giro 2019, infatti, quella parte è stata riasfaltata come pista di soccorso, così chi pedala può evitare i tre chilometri e mezzo di tunnel».
La salita inizia di fatto a Noasca con due strappi secchi. «Il primo – racconta Ellena – va su al 15 per cento, poi c’è un tratto più dolce e di nuovo un altro muro durissimo. Dopo circa 9 chilometri si entra a Ceresole Reale e la strada sale regolare. Seguono 3 chilometri quasi pianeggianti lungo il lago di Ceresole. Poi ecco una rampa verso il Serrù con pendenze al 7-8 per cento, un breve tratto in discesa ed infine gli ultimi 5-6 chilometri verso il Nivolet. Questo tratto è abbastanza regolare, sul 7 per cento, ma è duro visto che si va sopra quota 2.200 metri. L’altitudine comincia a farsi sentire tanto che si scollina a 2.612 metri».
Ellena conosce il Nivolet metro per metro: «Lo facevo almeno venti volte ogni estate quando ero un corridore e continuo a salirlo ancora oggi, almeno una volta l’anno. La passata stagione scorso, nonostante un infortunio pesante, sono salito da Ceresole fino in cima. Non vi dico che dolori e quanto ci ho messo, ma è stata una soddisfazione importante. Quest’anno ancora non l’ho fatto, ma ci tornerò».
Il Giro nel 2019 arrivò al Lago Serrù e vinse Zakarin. Da lì alla cima mancano 6 km
Giovanni Ellena (classe 1966) è uno dei direttori sportivi della Polti-VisitMalta (foto Maurizio Borserini)
L’altimetria del Nivolet. Da Noasca (ma la strada sale già prima): 26 km, 1.502 m di dislivello. Pendenza media del 6% (immagine mycols.app)
Il Giro nel 2019 arrivò al Lago Serrù e vinse Zakarin. Da lì alla cima mancano 6 km
Giovanni Ellena (classe 1966) è uno dei direttori sportivi della Polti-VisitMalta (foto Maurizio Borserini)
L’altimetria del Nivolet. Da Noasca (ma la strada sale già prima): 26 km, 1.502 m di dislivello. Pendenza media del 6% (immagine mycols.app)
Quanti ricordi…
Il legame di Ellena con il Nivolet è anche emotivo. Qui si intrecciano memorie personali e storie di corsa. «Mi ricordo – prosegue il tecnico della Polti – un Giro della Valle d’Aosta, quello del 1986 mi sembra, quando non correvo. Sempre un Valle d’Aosta ma del 2009 e una tappa del Giro d’Italia femminile (era il 2011 e vinse Marianne Vos, ndr). Ma la vera consacrazione è arrivata con il Giro 2019. Rivedere quelle strade in mondovisione è stato speciale per me».
La salita, però, non è solo asfalto e pendenze: è un luogo che unisce due mondi. «Dalla cima si può scendere in Val d’Aosta solo a piedi o con tratti di mountain bike a spalla, passando per il Passo della Galisia. Durante la seconda guerra mondiale era un sentiero usato dai partigiani per portare in salvo prigionieri e trasportare armi. Qualcuno in bici lo fa, ma ci si deve comunque portare dietro le scarpe da ginnastica, perché per almeno 20′-30′ c’è da proseguire con la bici in spalla prima di arrivare a Pont, in Valsavarenche».
«Poco dopo lo scollinamento l’asfalto continua per un po’. C’è un rifugio. Quando correvo, erano i tempi della Brunero, un giorno facemmo questa salita. Arrivammo al rifugio, ci mettemmo a mangiare, poi scese un po’ di nebbia. Nell’attesa ci addormetammo. Al risveglio erano le sei di sera. Impossibile scendere da lassù. Il freddo era pungente e ci voleva tempo. Così chiamammo i nostri della squadra che ci vennero a riprendere dalla pianura. Arrivarono su che era ormai buio. Vi lascio immaginare le parole che ci prendemmo!».
L’aria rarefatta, i laghi alpini e la sensazione di essere sospesi tra cielo e terra fanno del Nivolet un posto che, per chi ama la montagna, diventa un rifugio dell’anima e meta ambita per tanti ciclisti che d’estate non mancano mai. «Ogni volta che torno su – confessa Ellena – è come incontrare un vecchio amico: so già dove mi farà sorridere e dove mi farà soffrire».
Bernal e Sosa in cima. Dall’altra parte la Valle d’Aosta (foto Instagram)
Bernal e Sosa in cima. Dall’altra parte la Valle d’Aosta (foto Instagram)
Le SFR di Bernal
Il Nivolet è anche la “salita di casa” per i colombiani che Ellena ha avuto in squadra. E qui scattano i veri ricordi, quelli più forti e recenti legati ai corridori. Il primo a salirci fu un allora quasi sconosciuto Egan Bernal appena arrivato in Italia. «Gianni Savio, vista la sua giovane e anche quella di Sosa, mi disse di portarli vicino a casa mia per seguirli meglio. Quando lo portai sul Nivolet, si mise a fare le SFR a 2.000 metri. Gli dissi di lasciar perdere che non era il caso di fare certi lavori a quelle quote, ma lui mi rispose: “Giovanni, ma io vivo a 2.600 metri, qui sono ancora basso”. Rimasi in silenzio!».
Un altro aneddoto riguarda il lago Serrù: «Ci fermammo un attimo e gli indicai il sentiero verso il Col de l’Iseran. Si illuminò, perché sentiva la connessione tra quelle montagne e il Tour de France. Erano nomi che aveva solo visto in tv o sentito nominare. Quando era ai massaggi dopo quella grandinata proprio sull’Iseran, gli scrissi chiedendogli se si ricordava di questa storia. Egan rispose che se la ricordava eccome. Incredibile prese la maglia gialla proprio lassù».
Dopo i colombiani dell’Androni il legame fra Ellena e i sudamericani prosegue. Oggi è Germán Darío Gómez ad andarci e in qualche modo l’idea dell’alta quota è un richiamo per loro. «Mi chiedono sempre di salirci. Proprio Gomez quest’anno è arrivato da noi a marzo, ha fatto la Milano-Torino e la settimana dopo era già lassù. Un giorno mi manda la foto che era sulla neve del Nivolet. Anche prima gli altri ragazzi mi inviavano non so quante foto, anche a primavera quando c’era ancora neve e la strada era chiusa. Per loro è casa. A quelle quote si muovono con una naturalezza impressionante, mentre per noi europei ogni pedalata richiede uno sforzo diverso. E’ questo che ogni volta mi colpisce».