Si è trasformato in una retata di massa con pochi precedenti – di dimostranti quasi tutti nonviolenti – il pugno di ferro imposto dalle autorità di Londra sulla galassia pro-pal sulla scia di alcune proteste più radicali contro l’intento “genocida” attribuito da settori sempre più ampi della società britannica alla devastante campagna militare d’Israele nella Striscia di Gaza palestinese. Sono salite infatti a circa 466 le persone arrestate finora dalla polizia nella capitale, secondo un bilancio provvisorio, per essersi riunite di fronte a Westminster a denunciare la contestatissima decisione del governo laburista di Keir Starmer d’inserire un mese fa nella lista nera delle ‘organizzazioni terroristiche’ Palestine Action: sigla nota per azioni di disobbedienza civile e per aver imbrattato aerei militari in un recente blitz in una base della Raf, ma mai toccata da condanne per atti concreti di violenza contro le persone.

I manifestanti hanno esibito cartelli con su scritto “Io mi oppongo al genocidio, io sostengo Palestine Action”. Una testimonianza di solidarietà sufficiente a far scattare l’accusa ipso facto di violazione della legge britannica sul terrorismo (Terrorism Act), per l’appoggio dichiarato a una sigla messa al bando. Scotland Yard si dice intanto impegnata a identificare e a incriminare “tutti i partecipanti” all’iniziativa odierna, il cui totale aggiornato è stimato in 700. Numeri in grado di intasare il lavoro dei tribunali e delle medesime forze dell’ordine.

Fra le persone finite in manette figurano secondo Sky News UK infermiere del servizio sanitario nazionale (Nhs); cristiani pacifisti quaccheri; Moazzam Begg (ex detenuto pachistano-britannico del famigerato campo di Guantanamo liberato senza accuse dagli Usa nel 2005 dopo varie proteste nel Regno); e perfino un non vedente costretto sulla sedia a rotelle. Non più di 12 fermati devono rispondere di resistenza o d’avere provocato contusioni agli agenti. La polizia britannica ha del resto già fermato e in parte incriminato altre 200 persone nei giorni scorsi sull’isola inseguito a dimostrazioni analoghe. A costo di prendere di mira soprattutto giovani studenti e pensionati ultrasettantenni(alcuni d’origine ebraica) – ostinati quanto pacifici – che non risultano attivi neppure tra le file di Palestine Action, ma si limitano a contestarne il divieto. E insistono a dichiararsi solidali. Cosa che sulla carta li espone a pene variabili da qualche mese di carcere fino addirittura a 14 anni teorici: previsti come massimo per il reato di “sostegno” esterno a” organizzazioni terroristiche”.

Il governo Starmer difende da parte sua la linea dura per bocca della ministra dell’Interno, Yvette Cooper, asserendo che il gruppo messo sotto tiro, oltre ad avere compiuto azioni illegali, risulta sospettato d’aver pianificato atti “violenti” futuri; e negando un giro di vite generalizzato contro “i sostenitori della Palestina” o contro “il sacrosanto” diritto di manifestare. Mentre attivisti dei diritti umani e civili, Ong, politici di sinistra e liberali denunciano la stretta – oggetto di un ricorso legale all’Alta Corte – come repressiva. Tanto più che la stessa Onu ha apertamente condannato giorni fa l’equiparazione di Palestine Action al terrorismo di jihadisti o neonazisti alla stregua di un eccesso e di una minaccia alla “libertà di espressione e protesta legittima” nel Regno Unito. Evocando una macchia sulla democrazia britannica.