Lo scrittore Roberto Saviano onora l’amica e collega Michela Murgia, scomparsa a 51 anni, nel secondo anniversario dalla sua morte, con un post commovente su Instagram: «Mi avevano assicurato fosse una cura, lo scorrere del tempo. Che mi avrebbe permesso di accettare di non vederti più, di considerare ormai inevitabile non avere tue risposte. Mi avevano garantito che, con il passare dei giorni, sarebbe persino arrivata l’abitudine alla tua assenza. Mi hanno truffato. Non c’è abitudine. Non ho accettato nulla. Voglio che si apra una porta, ora, e che — dannazione — tu possa entrare in stanza come si ritorna da un viaggio, perché così ancora ti sto vivendo: in attesa. Se questo non accade, Michela, se non torni oggi, non mi importa il ricordo, inutili le pagine, mi hanno stancato le commemorazioni. Ho bisogno del suono dei tuoi passi sulle scale, di vederti, dell’odore della tua pelle, della tua voce che risuona nel giardino che hai goduto per un solo giorno e che ora ha un meraviglioso bigliardino che per nessuna ragione puoi ignorare. Ma se non torni, Michy, oggi non mi importa di ricordare niente. Mi abbofferò di gocce, resterò tutto il giorno a letto sedato, e che schifo, la morte che ti ha portata via. Amen».

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Proprio la madre della scrittrice (che ha diretto e curato un numero speciale di Vanity Fair), Costanza Marongiu, qualche ora prima dalle pagine del Corriere della Sera aveva ricordato il legame di Saviano con la figlia anche se, fa sapere, lui non le ha mai telefonato. «Michela era una che riusciva ad accentrare su di sé tutto. Che avesse madre, fratello o altro non interessava a nessuno. Bastava che ci fosse lei. Lei riempiva i vuoti di tutti. A Saviano ha fatto quasi da madre, era l’unica, o una delle poche, che accettava la scorta. Io non avrei mai accettato di incontrarlo con due carabinieri intorno».

Michela Murgia ha lasciato dietro di sé l’eredità artistica – che rivivrà presto al cinema con l’adattamento di Tre ciotole con Elio Germano – ma anche umana di una famiglia queer allargata, con coloro che chiamava «i figli dell’anima». A un anno dalla scomparsa uno di loro, Alessandro Giammei, che ha curato il libro postumo Dare la vita, aveva detto, sempre al Corriere della sera: «Mi sembra quasi che non ci sia una vita prima e dopo di lei. Vale per tutti quelli che l’hanno conosciuta». Il marito Lorenzo Terenzi, sposato un mese prima di mancare in articulo mortis, aveva raccontato all’indomani del funerale al quotidiano che Michela Murgia se ne era andata «serena, a casa, alle 22.50 di giovedì. Intorno a lei le persone che le volevano bene. Dopo, siamo stati travolti da una valanga d’affetto. Sarebbe stata contenta».