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Il sostegno incondizionato a Israele è da alcuni decenni una delle caratteristiche che definiscono la politica estera del Partito Repubblicano degli Stati Uniti. Da qualche tempo però una parte del movimento MAGA, Make America Great Again, quello creato e guidato dal presidente Donald Trump, ha cominciato a dissentire.

A luglio Marjorie Taylor Greene, una delle deputate più note del movimento, per la prima volta ha definito le azioni di Israele a Gaza un «genocidio». Greene è una figura controversa anche dentro al Partito Repubblicano, ma le sue parole sono diventate l’elemento più evidente di una tendenza diffusa tra molti esponenti della destra populista.

A giugno Steve Bannon, ex consigliere di Trump che ha ancora una grande influenza nella destra americana e ne rappresenta la componente più populista, ha detto che sostiene lo stato di Israele ma che gli israeliani non dovrebbero dare per scontato il sostegno degli Stati Uniti. Tucker Carlson, ex presentatore di Fox News che è diventato uno dei giornalisti più seguiti dall’estrema destra americana, ha detto che gli israeliani «non possono usare i soldi delle mie tasse per bombardare le chiese». Il riferimento è al fatto che gli Stati Uniti forniscono miliardi di dollari tutti gli anni a Israele in armamenti e aiuti finanziari.

A marzo la Heritage Foundation, il famoso centro studi statunitense di orientamento conservatore, ha sostenuto che gli Stati Uniti dovrebbero «riorientare la propria relazione con Israele» dall’attuale sostegno totale a una «partnership strategica tra pari». La Heritage Foundation è famosa perché ha prodotto il cosiddetto Project 2025, un programma di governo che ha ispirato molte delle più importanti decisioni dell’amministrazione Trump in questi mesi.

Il vicepresidente J.D. Vance, che non fa propriamente parte dell’ala populista del movimento MAGA ma le è comunque vicino, ha detto che trova «strazianti» le immagini delle persone denutrite a Gaza, e che «Israele deve fare di più per fare entrare gli aiuti». Perfino il presidente Trump qualche giorno fa ha smentito pubblicamente il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, che sosteneva che non ci fosse nessuna carestia a Gaza: «Quei bambini sembrano molto affamati, devono ricevere cibo e un posto sicuro in cui stare, subito», ha detto.

Steve Bannon nel 2019

Steve Bannon nel 2019 (AP Photo/Thibault Camus)

Greene, Bannon, Carlson, la Heritage Foundation fanno tutti parte dell’ala più populista del movimento MAGA, quella che ha sostenuto Trump fin dall’inizio e che si discosta maggiormente dall’ortodossia del Partito Repubblicano. Hanno inoltre in comune una posizione isolazionista in politica estera, perché sostengono che gli Stati Uniti dovrebbero concentrarsi sui propri affari interni e immischiarsi il meno possibile nelle questioni internazionali. Sono le stesse persone che, a giugno, erano contrarie a un intervento nella guerra in Iran a fianco di Israele, perché sostenevano che gli Stati Uniti non dovessero farsi trascinare in una nuova guerra in Medio Oriente.

Questa tendenza del movimento MAGA ad avere una posizione più scettica nei confronti di Israele si riflette in parte sull’elettorato di destra negli Stati Uniti, soprattutto tra i più giovani. Secondo un sondaggio del Pew Research Center condotto ad aprile, i Repubblicani tra i 18 e i 49 anni che hanno una opinione negativa di Israele sono passati dal 35 per cento al 50 per cento dal 2023 a oggi, mentre il dato che riguarda i Repubblicani con più di 50 anni è sostanzialmente invariato (dal 19 al 23 per cento).

«Sembra che tra le persone del movimento MAGA sotto i 30 anni il sostegno a Israele sia quasi inesistente, e che i tentativi di Netanyahu di salvarsi politicamente trascinando l’America in un’altra guerra in Medio Oriente abbiano irritato gran parte dei sostenitori MAGA più fedeli», ha detto Steve Bannon a Politico. La maggioranza dei Repubblicani nel loro complesso, però, continua a sostenere Israele.

Cappellini MAGA sulla scrivania di Trump nello Studio Ovale della Casa Bianca, aprile 2025

Cappellini MAGA sulla scrivania di Trump nello Studio Ovale della Casa Bianca, aprile 2025 (AP Photo/Alex Brandon)

Molti esponenti Repubblicani più tradizionali mantengono la vecchia posizione di adesione completa a tutto ciò che fa il governo israeliano. La scorsa settimana Mike Johnson, lo speaker della Camera, ha visitato il Muro del Pianto di Gerusalemme (uno dei luoghi più sacri per la religione ebraica) e ha detto: «Preghiamo affinché l’America rimanga sempre al fianco di Israele». Ha visitato delle colonie in Cisgiordania e ha definito la regione con il nome biblico di Giudea e Samaria: è quello che utilizzano gli ebrei più nazionalisti per rivendicare la sovranità israeliana anche su quel territorio, che secondo la comunità internazionale appartiene ai palestinesi.

Non è chiaro quanto Trump sarà influenzato dalla visione sempre più scettica della parte più populista del suo movimento verso Israele, o quanto invece rimarrà fedele all’ortodossia Repubblicana. Le sue decisioni finora sono state contraddittorie: è vero che ha più volte contraddetto e smentito Netanyahu, e che di recente si è spazientito per le sue tattiche per prolungare la guerra; al tempo stesso nelle decisioni più importanti il suo governo è finora rimasto molto vicino a Israele.