di
Giulia Taviani
Il 2 luglio Kohberger ha confessato l’omicidio dei quattro studenti dell’Università dell’Idaho accoltellati nel sonno la notte del 13 novembre 2022. Il 23 luglio arriva la condanna. La docuserie su Amazon Prime
«Ti dichiari colpevole?»
«Sì».
«Il 13 novembre 2022, sei entrato nell’abitazione di King Road 1122 a Moscow, Idaho, con l’intenzione di commettere il reato di omicidio?»
«Sì».
Per la prima volta dopo trenta mesi di silenzio, il 2 luglio scorso, Bryan Kohberger ammette di fronte al giudice del tribunale della contea di Ada a Boise, Idaho, di essere l’autore degli omicidi dei quattro studenti dell’Università dell’Idaho, accoltellati nel sonno nell’inverno di tre anni fa. Per tutto questo periodo si era sempre dichiarato «non colpevole». Cambiare posizione però, gli ha permesso di raggiungere un accordo per evitare la pena di morte e il processo (non senza polemiche).
Il 23 luglio, poi, è arrivata ufficialmente la condanna: Kohberger dovrà scontare l’ergastolo senza possibilità di libertà vigilata per furto con scasso e gli omicidi di primo grado di Kaylee Goncalves, Madison Mogen, Xana Kernodle ed Ethan Chapin. Il movente resta ancora un mistero. Anche durante l’udienza di condanna, infatti, il killer ha rifiutato di rilasciare alcuna dichiarazione.
La notte in cui sono stati uccisi, i quattro ragazzi si trovavano nella loro casa a Moscow, vicino all’Università. Con loro c’erano altre due coinquiline, sopravvissute alla tragedia. Per settimane la polizia ha seguito le indagini senza fornire informazioni, alimentando così speculazioni e teorie diffuse principalmente su TikTok.
L’arresto di Kohberger, dottorando in criminologia presso la vicina università di Washington, è arrivato dopo un mese e mezzo. La storia di questi omicidi è stata ricostruita nella docuserie di Amazon Prime Video «Una notte nell’Idaho – Sangue al college» con le testimonianze di amici e familiari delle vittime. Sullo sfondo rimane il movente, ancora sconosciuto: in molti, in Rete, sono convinti che Kohberger fosse un incel.
Chi erano le vittime
Kaylee Goncalves, Madison Mogen, Xana Kernodle ed Ethan Chapin avevano tra i 20 e i 21 anni quando sono stati uccisi. Frequentavano tutti l’Università dell’Idaho, nella cittadina di Moscow.
Kaylee, Madison e Xana vivevano insieme ad altre due ragazze – Dylan e Bethany – in una casa fuori dal campus, al 1122 di King Road. Ethan, invece, soggiornava nel dormitorio della confraternita Sigma Chi insieme al fratello gemello Hunter. Quella notte però, si era fermato a dormire da Xana, con cui era fidanzato.
La casa era esattamente dietro l’edificio della confraternita Sigma Chi, a pochi passi dall’università, in una cittadina considerata tranquilla e sicura. L’ultimo omicidio registrato tra quelle strade risaliva al 2015, quando un uomo aveva ucciso tre persone, tra cui la madre, e ferita un’altra nel corso di una sparatoria.
In realtà, Kaylee si era trasferita da poco. Quella sera era tornata nella sua vecchia casa per mostrare a Madison- a cui era legata fin dall’infanzia – la sua nuova auto, per poi fermarsi a dormire lì.
La casa era composta da tre piani e sei stanze: nel seminterrato viveva Bethany, al primo piano Xana e Dylan e al secondo Kaylee e Madison.
Il ritrovamento dei corpi
Quel giorno Xana aveva organizzato una festa in casa. I festeggiamenti sono andati avanti fino alle 21, quando poi gli invitati si sono spostati alla Sigma Chi, dove era in corso un’altra festa. Tutti gli inquilini della casa hanno fatto ritorno dopo l’1 di notte.
Le prime a rientrare sono state Dylan e Bethany. All’1.40 sono tornati Ethan e Xana, e poco dopo anche Madison e Kaylee. Le due amiche avevano trascorso la serata nel pub del centro, il Corner Club, dove sono rimaste fino all’1. Poi si sono fermate a prendere da mangiare e sono rientrate.
Intorno alle quattro del mattino Dylan ha dichiarato di aver sentito dei lamenti e delle voci, sia femminili che maschili; si è affacciata due volte alla porta, e alla seconda ha visto un uomo incappucciato camminare per casa. Non capendo se fosse un sogno o no, è corsa in camera di Bethany, e, rasserenata dal fatto che l’amica non avesse sentito nulla, si è addormentata. Un comportamento che, al tempo dell’omicidio, l’opinione pubblica trovò molto strano, al punto da valutare l’ipotesi che dietro agli assassini ci fossero le due coinquiline sopravvissute. Nel corso della sentenza del 23 luglio un’amica di Bethany ha letto una sua dichiarazione in cui ammette di provare ancora oggi «rammarico e senso di colpa per non aver capito cosa fosse successo e per non aver chiamato subito» i soccorsi.
La mattina del 13 novembre «ci ha chiamato Dylan – racconta nella docuserie una delle amiche delle ragazze, Emily Alandt -. Ci ha detto: “È successa una cosa strana ieri sera. Non so se stessi sognando o no, ma ho paura. Potete venire a casa? Sono nel seminterrato con Bethany. Ho chiamato Xana un paio di volte ma non mi risponde, potete venire?”. Non ho pensato a nulla di strano, non ho mai chiuso a chiave una porta a Moscow, non pensavo fosse qualcosa di urgente».
«Quando siamo arrivati davanti alla casa di Xana – continua Emily -, Dylan e Bethany sono uscite. Erano spaventate». Insieme a Hunter Johnson, un ragazzo della compagnia, sono saliti al primo piano, dove dormivano Xana ed Ethan. Quando sono entrati, Hunter ha urlato: «Fuori, chiamate la polizia!» Così, intorno alle 11.58, Dylan chiama il 911. Sono passate otto ore dagli omicidi.
Il gemello rimasto solo
La scena che gli agenti si trovano davanti è quella di quattro ragazzi accoltellati nei loro letti, e macchie di sangue sulle pareti.
Poco dopo l’arrivo delle forze dell’ordine iniziano a presentarsi fuori dalla casa tutti gli amici delle vittime. A loro però i poliziotti non raccontano niente. Nemmeno chi ha chiamato il 911 sa quante e chi sono ufficialmente le vittime. Sapevano solo che Xana ed Ethan erano stati uccisi. Ma non sapevano come né se Kaylee e Madison fossero sopravvissute.
«Mi hanno detto che il mio fratello gemello non c’era più – ricorda Hunter Chapin nel documentario -. Che era stato ucciso con Xana. È così assurdo che qualcuno con cui hai passato ogni minuto della mia vita…» aggiunge commosso.
Intorno all’1 del pomeriggio arriva un messaggio di allerta da parte dell’Università dell’Idaho che avvisa che le autorità stavano avviando un’indagine per omicidio a King Road, vicino al campus. «Non c’è ancora un sospettato – recita il messaggio -. State lontani dall’area e mettetevi in un posto sicuro». Poi ne arriva un altro: «Quattro le persone coinvolte». È la conferma che anche Kylee e Madison sono morte.
Il video del Grub truck e la Hyundai Elantra Bianca
Alle indagini partecipano la Polizia di Stato dell’Idaho e l’FBI. In tutto hanno lavorato al caso quasi 130 membri delle forze dell’ordine. Secondo l’autopsia, le vittime sono state colpite più volte con un grosso coltello, con ferite mortali al petto e alla parte superiore del corpo. Sulle mani di una delle vittime si vedono anche segni da taglio di difesa.
Tre giorni dopo gli omicidi, il capo della polizia di Moscow tiene una conferenza stampa in cui dichiara che gli omicidi sono avvenuti nelle prime ore del mattino di domenica 13 dentro la casa, che le vittime sono state accoltellate ma ancora non è stata trovata l’arma né il sospettato.
Inizialmente l’opinione pubblica riversa i suoi sospetti sulle due sopravvissute, trovando strano il fatto che avessero aspettato otto ore prima di chiamare il 911. Poi si concentra sugli amici stretti, infine su chiunque potesse avere un legame con le vittime. In città iniziano ad arrivare influencer con la presunzione di risolvere il caso. Alcuni si travestono da studenti e si intrufolano nei dormitori per ottenere informazioni.
Uno in particolare inizia a seguire gli studenti, a filmarli di nascosto e a presentarsi in tutti i luoghi di interesse con insistenza. «Temevo di nuovo per la mia vita, ma per un motivo completamente diverso. Sapevano il mio indirizzo di casa e dove lavoravano i miei genitori» racconta a Prime David Berriochoa, membro della Sigma Chi.
Poi viene diffuso «il video del Grub truck». Il Grub truck era un furgone giallo che vendeva da mangiare anche dopo la mezzanotte. La sua particolarità era quella di essere in diretta h24. Analizzando le immagini di quella notte, si vede che dopo essere uscite dal pub, Kaylee e Madison sono passate dal Grub truck per mangiare. L’attenzione di tutti ricade su un ragazzo con la felpa fermo in coda dietro di loro, che sembra seguirle una volta che queste se ne vanno. La sua identità viene scoperta nel giro di poco, è uno studente anche lui, e viene subito etichettato come colpevole.
Il 20 novembre la polizia tiene una seconda conferenza stampa per scagionare le coinquiline, il ragazzo del video e i loro amici. Tre giorni dopo, in una terza conferenza, le autorità ribadiscono che si è trattato di un attacco mirato, ma non hanno ancora fermato nessuno.
Nel frattempo la polizia continua a lavorare. Il 7 dicembre diffonde le immagini di una Hyundai Elantra Bianca del 2011-2013 chiedendo aiuto ai cittadini per identificarla. Ritengono possa essere il mezzo usato dal colpevole. Pochi giorni dopo, il gestore di una stazione di servizio vicino a Moscow scopre che le sue telecamere avevano ripreso un’auto dello stesso modello la notte degli omicidi. Il 29 dicembre la polizia contatta le famiglie delle vittime: c’è un sospettato.
Chi è Bryan Kohberger?
Quarantasette giorni dopo gli omicidi, la polizia annuncia l’arresto del ventottenne Bryan Christopher Kohberger, accusato di furto con scasso e di quattro omicidi di primo grado, e detenuto nel penintenziario della contea di Monroe. Rischia la pena di morte.
Kohberger, sconosciuto alla cerchia di amici e familiari delle vittime, era un dottorando della Washington State University, dove studiava giustizia penale e criminologia e lavorava come assistente di un docente. In primavera aveva fatto anche un colloquio con la polizia di Pullman – dove ha sede l’università, a soli 15 chilometri da Moscow – per lavorare all’interno del dipartimento. Josh Ferraro, compagno di Kohberger al college, lo ha descritto come un uomo «incredibilmente intelligente, attento ai dettagli, ma solitario, più simile a un robot», interessato alla mente dei criminali, ai loro sentimenti e motivazioni.
La notte dell’omicidio minuto per minuto
Il 5 gennaio viene pubblicata la dichiarazione dell’arresto: tracce di Dna, tabulati telefonici e una Hyundai Elantra bianca sono le prove che lo collegano alla scena del crimine.
I dati del suo cellulare rivelano, infatti, che la notte dell’omicidio è uscito dalla sua casa a Pullman diretto a Moscow. Si è disconnesso dalla rete alle 2.47 del mattino, forse perché lo aveva messo in modalità aereo o addirittura spento. Poco prima delle 3.30 le telecamere di sicurezza riprendono una Elantra bianca passare davanti alla casa delle ragazze al 1122 di King Road.
Intorno alle 4 del mattino Xana era ancora sveglia. A quell’ora, infatti, le è stato fatto recapitare a casa un ordine di cibo. Le telecamere nel frattempo riprendono l’auto fare un altro giro alle 4.05 e poi parcheggiare. I dati mostrano che Xana stava usando TikTok alle 4.12.
È in quel momento che Dylan – una delle due coinquiline sopravvissute – dichiara di aver sentito del rumore provenire dal secondo piano e una voce dire: «C’è qualcuno qui». Allora ha aperto la porta, ha guardato fuori ma non ha visto niente. Dopo aver richiuso ha sentito qualcun altro piangere e una voce maschile commentare: «Va tutto bene, ti aiuto io».
A partire dalle 4.17 circa, le telecamere di sicurezza posizionate sulla porta della casa vicina riprendono il rumore di un lamento, un forte tonfo e il cane di Xana (ritrovato vivo) abbaiare numerose volte. A questo punto Dylan apre nuovamente la porta e vede una figura vestita di nero con una maschera che gli copre bocca e naso camminare verso di lei, per poi uscire attraverso la porta scorrevole in vetro della cucina.
Secondo l’accusa Kohberger aveva parcheggiato la sua auto dietro casa, entrando dalla porta sul retro. Poi si è diretto al terzo piano e ha accoltellato Madison e Kaylee, ritrovate nello stesso letto. Poi, scendendo, avrebbe incontrato Xana – che era ancora sveglia – e l’avrebbe uccisa con il fidanzato.
«Era alto circa 1,78 m, non molto muscoloso, ma di corporatura atletica con sopracciglia folte» racconterà Dylan alle autorità. Dopodiché ha provato a chiamare al telefono le sue coinquiline ma nessuna le ha risposto. Allora è scesa da Bethany.
Alle 4.20 si vede nuovamente la Elantra bianca lasciare la casa di King Road ad alta velocità. Il telefono dell’uomo si riconnette alla rete alle 4.48 mentre sta guidando verso Genesee, a sud di Moscow; un modo particolare per tornare a Pullman, essendo quello un quartiere residenziale poco collegato a casa sua, dove invece fa ritorno alle 5.30 del mattino.
Ancora più inquietante però, è che i tabulati telefonici dimostrano che Kohberger è tornato sul luogo del delitto la mattina seguente, intorno alle 9 del mattino, probabilmente perché si è reso conto che aveva dimenticato accanto al corpo di Maddie la guaina del coltello che ha usato per uccidere, sulla quale, infatti, troveranno il suo dna.
Il mistero su «Pappa Rodger»
Nel frattempo, su Facebook viene creato un gruppo di discussione sul caso. Tra gli oltre 200 mila membri, il 29 novembre si unisce un certo «Pappa Rodger». Non esiste la conferma che si tratti di Kohberger, ma la stranezza dei post, la scomparsa dell’utente dopo l’arresto e la foto profilo quasi identica a quella segnaletica, lasciano pensare fosse lui.
Poneva domande come: «Secondo voi come impugnava il coltello il killer prima di entrare?» O ancora: «Dite che l’assassino si è fatto la doccia sulla scena dopo gli omicidi?». «Ha lasciato la scena pulita?». Così come era sospetta la sua insistenza nel sostenere, dopo la pubblicazione da parte della polizia delle foto dell’auto, che quella fosse una «pista sbagliata» e che quella Elactra Bianca non c’entrava nulla.
L’arresto a casa dei genitori
Il 15 dicembre Kohberger torna a casa dei genitori in Pennsylvania in compagnia del padre. Nel corso del viaggio è stato anche fermato due volte per guida pericolosa, ma poi è stato lasciato andare.
La polizia nel frattempo lo segue, lo controlla mentre è a casa con i genitori, prende un cotton fioc gettato nella spazzatura dal padre ed estrae il suo dna. Grazie a quel campione, le autorità riescono a confermare che il Dna trovato sulla guaina del coltello è quello di Kohberger, e così richiedono un mandato per l’arresto. In contemporanea, la polizia di Pullman emette invece un mandato di perquisizione per la sua casa e il suo ufficio. L’appartamento che aveva vicino al campus è risultato quasi vuoto, come se avesse deciso di non tornare.
Sei giorni dopo, davanti al giudice, viene accusato di omicidio di primo grado per i quattro delitti. Accusa per la quale rischia la pena di morte. Nell’udienza preliminare di maggio 2023, rimane in silenzio. Il giudice lo dichiara così «non colpevole» al posto suo. Solo a inizio luglio 2025 confessa per la prima volta di essere lui il «colpevole». Con questo cambio di dichiarazione ottiene un accordo per evitare la pena di morte e il processo per omicidio.
In quell’occasione, il pubblico ministero presenta un lungo riassunto delle prove che sarebbero state presentate al processo, compresi i tabulati telefonici che lo collocavano vicino all’abitazione, ammettendo di non sapere ancora se fosse entrato nell’abitazione con l’intenzione di ucciderli tutti e quattro o se fosse un’azione mirata a una sola persona. «Quello che sappiamo – continua il pm -, è che ha ucciso “intenzionalmente, volontariamente, deliberatamente, con premeditazione e con malizia premeditata”».
Il mistero sul movente e l’ipotesi incel
Il movente del crimine ancora non è conosciuto. Dopo l’arresto sono seguite teorie (molto presenti online) secondo cui si sarebbe trattato di un incel, ovvero di un soggetto che si autodefinisce «celibe involontario» con una tendenza al risentimento, all’oggettificazione sessuale, alla misoginia e alla misantropia. Il killer non ha mai rilasciato dichiarazioni che potessero confermare o meno tale teoria.
Kohberger ora dovrà scontare l’ergastolo senza possibilità di libertà vigilata. L’udienza di condanna si è tenuta il 23 luglio 2025. Con l’accordo patteggiato a luglio, ha rinunciato al diritto di presentare ricorso contro la dichiarazione di colpevolezza e la sentenza, e di chiedere in seguito riconsiderazione di questa o di clemenza.
Nel frattempo, l’università dell’Idaho aveva chiesto la distruzione della casa dove sono stati uccisi i ragazzi: «È ora di rimuoverla per permettere la guarigione collettiva della comunità». L’edificio è stato demolito nella mattina del 28 dicembre 2023.
23 luglio 2025 ( modifica il 23 luglio 2025 | 19:50)
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