«Penso che Putin stia offrendo a Trump una conveniente via d’uscita», dice Dmitrij Suslov, vicedirettore del Centro di studi europei e internazionali presso la Scuola Superiore di Economia e ascoltato consigliere del Cremlino per la politica estera.

Cosa si aspetta Putin dal vertice in Alaska?
«Ci sono due opzioni possibili. La prima è che i due presidenti adottino un piano bilaterale russo-americano per conseguire una tregua in Ucraina. Questo è fondamentale dal punto di vista del Cremlino: l’intesa è fra noi e gli Stati Uniti, senza l’Ucraina e l’Europa. Questo piano potrebbe includere il ritiro delle forze ucraine dalle zone del Donbass dove sono ancora presenti, e il ritiro della Russia dalle regioni di Sumy, Dnipropetrovsk e Kharkiv, con la linea del fronte invariata nelle altre zone. Ricordo che un anno fa Mosca aveva chiesto agli ucraini il completo ritiro da tutte e quattro le province annesse, mentre ora chiede solo quello dal Donbass. Una parte cruciale dell’intesa è l’impegno dell’Ucraina a non aderire alla Nato»

Quindi non è solo uno scambio di territori.
«Ovviamente no. L’impegno a non entrare nell’Alleanza atlantica è la precondizione inaggirabile di ogni tregua. Poi gli accordi finali dovranno naturalmente includere anche la demilitarizzazione dell’Ucraina e la riforma costituzionale in senso federale».

Ma questo nella vostra posizione era noto. Quali sono le vere novità?
«Primo che la Russia ora è disposta a parlare di un cessate il fuoco, non solo dell’accordo finale. Secondo che Putin sta chiedendo un po’ meno per la tregua rispetto a un anno fa». Lei ha parlato di due opzioni. Qual è la seconda? «Che Zelensky, appoggiato dagli europei, respinga questa soluzione e a quel punto Trump taglierebbe tutta l’assistenza militare a Kiev e smetterebbe perfino di vendere armi agli europei, perché le cedano all’Ucraina. Ma questo ne accelererebbe la sconfitta e il collasso totale». 

E perché Trump in questo caso agirebbe contro Kiev, senza varare alcuna misura punitiva contro Mosca come aveva promesso?
«Se Trump appoggia in modo così forte e quasi entusiasta l’opzione dell’accordo, è anche perché si è messo in una posizione difficile, nel momento in cui ha chiesto a Cina, India e Brasile di non importare più petrolio russo, minacciandoli con sanzioni secondarie. La Cina ovviamente dice di no, ma anche New Delhi e Brasilia non lo farebbero mai e un loro rifiuto sarebbe un problema per l’America: a quel punto o Trump cede apparendo debole, ovvero viene risucchiato in un grave conflitto politico e commerciale con la Cina e due Paesi centrali dei Brics, dagli esiti imprevedibili. Se invece il vertice in Alaska fosse un successo, con l’approvazione di un piano comune per la tregua in Ucraina, la miccia che ha incautamente acceso con Cina, India e Brasile verrebbe disinnescata e il presidente americano potrebbe perfino rivendicare un merito storico. Per questo ci aspettiamo che Trump accetti la proposta di Putin. Per lui è una via d’uscita, appunto».

Perché l’Alaska? Il simbolismo del posto è stato molto commentato.
«È così, è una scelta significativa sul piano storico e politico. In primo luogo, l’Alaska sottolinea il bilateralismo del vertice. Non c’è posto al mondo più esclusivamente russo-americano dell’Alaska: lontana dall’Europa e dall’Ucraina, vicinissima alla Russia. Sottolinea il fatto che Putin e Trump da soli trovano una soluzione alla guerra in Ucraina. In secondo luogo, quello in Alaska sarà il primo summit a pieno titolo tra Russia e Usa sul territorio americano in 15 anni, l’ultimo fu nel 2010 quando Dmitrij Medvedev visitò Barack Obama a Washington. Ciò segnala la forte volontà reciproca di voltare la pagina dello scontro e migliorare i nostri rapporti. Terzo, l’agenda ha predeterminato la scelta del luogo: oltre l’Ucraina si parlerà dell’Artico, punto cruciale delle relazioni bilaterali. C’è un confronto serrato nella regione, potenziale teatro di uno scontro armato. Le attività militari sia della Russia che degli Usa sono in aumento. Ma con lo scioglimento dei ghiacci e la sua maggiore accessibilità, l’Artico è anche l’area più promettente per lo sviluppo di nuovi rapporti di cooperazione economica tra i nostri due Paesi: ricerca comune, esplorazione e sfruttamento delle materie prime, commercio».