di
Candida Morvillo

La cantante: da ragazzina vendevo ciambelle al mercato. Posso piacere o non piacere ma quando canto succede qualcosa in me e in chi mi ascolta. Sono in tour con il pancione

Anna Tatangelo, 38 anni, pancione di cinque mesi, ha un sorriso che la illumina tutta. Il barboncino Chupita saltella per l’appartamento romano: pareti bianche, divani bianchi, dettagli in nero. Anna: «Per me, prima, era tutto così: o bianco o nero. Ora, vedo qualche sfumatura, infatti ho cambiato la cucina, che è tortora». Su una mensola, ci sono i tre Leoni vinti a Sanremo, incluso quello conquistato a 15 anni fra i giovani, con Doppiamente fragili, un esordio che la rende istantaneamente un personaggio del presepe italiano nazionalpopolare: «Non avevo etichette, solo una valigia e mio padre. Ero tutta istinto, incoscienza. A quell’età, canti per sapere se piaci al ragazzino che ti piace, non pensi che ti guardano milioni di persone».

Accanto ai premi, una foto fonde nel segno dell’infinito l’iride sua, marrone, e quella blu del figlio quindicenne Andrea, avuto dal suo ex, Gigi D’Alessio. In un’altra foto, Giacomo, il nuovo compagno, ex calciatore, oggi allenatore (lei: «Non è del mondo dello spettacolo. E non vuole esserlo»). Quindi, foto di famiglia a Parigi: «Ogni anno, organizzo qualcosa con mio padre, i miei fratelli e i nipoti: è una promessa fatta a mamma prima che morisse». Eccola, la foto della mamma, è da lei che Andrea ha preso gli occhi blu: «È stata il mio rifugio. Davanti a ogni critica, stava dalla mia parte. E anche ora, in questa gravidanza, la sento. Lei avrebbe voluto un altro nipote e anche io, da tanto, volevo un altro figlio prima dei 40. A volte, chiudo gli occhi e mi sembra di sentire la voce di mamma: va tutto bene, stai serena». 



















































Anna, la ragazzina che vendeva ciambelle nei mercati intorno a Sora, nel Lazio profondo, trattiene le lacrime. Guarda altrove: «Lo stendino col bucato sta fuori. Fa parte di Essere una donna». Ride, pensando a quella canzone di Mogol, forse il suo maggior successo.

«Essere una donna non vuol dire riempire solo una minigonna». Quanto era consapevole di queste parole quando le cantava le prime volte, a 19 anni?
«All’epoca, cercavo d’interpretarla al meglio, ma non avevo ancora vissuto. Oggi, quella canzone la sento».

Proprio allora nasceva la relazione con D’Alessio col suo carico di insulti: le hanno detto che era una sfasciafamiglie, che era più bella che brava, che era volgare, malvestita…
«Per anni, mi sono sentita sbagliata. Gigi aveva vent’anni più di me, una famiglia, e io venivo descritta come la rovinafamiglie anche se ci siamo messi insieme che era già separato. Ma il nostro sentimento era puro, infatti, è durato 15 anni. Non ho mai risposto, per proteggere quell’amore e non alimentare tensioni fra lui e la sua ex: volevo sembrare grande, forte, all’altezza della situazione, ma dentro, soffrivo. Uscivo da casa truccata, vestita da adulta, poi, piangevo al telefono con mia madre».

Passo indietro alla quindicenne che vince Sanremo 2002: chi era, che cosa sognava?
«A casa, si facevano sacrifici, eravamo quattro figli, i miei si svegliavano alle cinque per fare il pane tipico di Sora e, poi, sono stata catapultata nel mondo dello spettacolo, della musica, del gossip… Mi sentivo dire che sembravo una vecchia, ma se non conosci la storia di una persona, capire è difficile. Non aiutava che avessi un carattere chiuso, perché vengo da una famiglia patriarcale, severissima, e questo mi aveva reso una ragazzina introversa».

Com’erano quella severità e quel patriarcato?
«Tipo: in gita non si andava, a dormire da un’amica nemmeno… Ho visto volare qualche schiaffo su mamma e su noi figli. Mio padre era cresciuto così. Ho perdonato. E ringrazio entrambi: papà, e mamma, che è stata per me lo specchio di ciò che volevo e non volevo diventare: ho sempre creduto che noi donne dobbiamo essere rispettate e amate. Da qui, canzoni come Essere una donna o Rose spezzate. Ho sempre creduto nell’indipendenza. Come tante, sono cresciuta con l’idea che una donna sta a casa, lava, stira, cucina. Io lavo, stiro, ma per amore verso me stessa e mio figlio. L’autonomia, però, è tutto: ti permette di dire basta. Mia madre “basta” non lo disse mai».

Come succede che una ragazzina che non può andare in gita va però a Sanremo?
«La mia valvola di sfogo era la musica. Tornavo da scuola, mi chiudevo in una stanza e cantavo. Quando non andavo a scuola, vendevo ciambelle al mercato. Mi lasciavano lì la mattina e mi riprendevano all’ora di pranzo. Vento, freddo, pioggia: stavo lì. Poi, tornavo a casa e cantavo. La musica mi ha sempre salvata e continua a farlo. La “ragazza di periferia” della canzone è ancora dentro di me. Da maggiorenne, sono andata a Roma e, per due anni, non ho parlato con mio padre. Col successo, erano nati meccanismi tossici: voleva essere il mio manager anche dopo i miei 18 anni. Abbiamo avuto discussioni. Ma gli sono grata: la musica gli era sembrata una luce e mi aveva permesso di iscrivermi ai concorsi».

Come avete fatto pace?
«Diventando madre, vedi che i genitori si fanno anziani e quindi li perdoni, li guardi con occhi più dolci».

Una volta, lei ha detto di essere stata educata a compiacere. Cosa intendeva?
«Mia madre era così: sempre presente, mai un lamento. E io sono cresciuta cercando di non deludere nessuno, di essere giusta per gli altri. Poi, salgo sul palco di Sanremo con Michael Bolton e si parla solo di Gigi in prima fila. Canto Bastardo e si parla delle sopracciglia, non dell’interpretazione. A un certo punto, capisci che vivere per piacere agli altri ti allontana da te stessa. Alla terza seduta con la psicoterapeuta, dopo aver parlato solo degli altri, lei mi fa: “E di te, quando parliamo?”. Mi si è acceso qualcosa dentro, ho cambiato passo. Senza quel momento, avrei conosciuto la depressione».

Quanto coraggio ci è voluto per chiudere la storia con D’Alessio?
«Più che parlare di Gigi, preferisco prendermi le mie responsabilità: ero io che, per proteggermi, mi ero costruita una maschera. E infatti, a storia finita, ho sentito che era ora di dire che quell’Anna fredda, algida, era in realtà sensibilissima, fragile. Oggi, per la prima volta, non sento il bisogno di nascondere nulla. Né il mio compagno né la mia felicità».

Cosa l’ha conquistata di Buttaroni?
«È entrato nella mia vita in un momento complesso e non si è spaventato. Mi ha accolta, sostenuta. Mi fa sentire amata, protetta. In passato, ero io quella che dava. Stavolta, invece, lui c’è per me, in ogni gesto. E mi ha sorpresa in positivo il rapporto che ha creato con mio figlio».

In «Mantra», canta «si sta bene anche senza di te» e di un uomo che voleva distruggerla. Ha conosciuto relazioni tossiche?
«Non ho mai vissuto la violenza fisica: alzare la voce o le mani non sono mai state eventualità accettabili. Ma ho vissuto la violenza psicologica. Quella sottile, che non si vede, ti sminuisce, ti fa dubitare di te. La racconto in Rose spezzate. Mi è successo dopo Gigi. Avevo saltato l’età delle cavolate: niente discoteca, niente uscite con le amiche e sbagli tipici dell’adolescenza, e quando mi sono riaffacciata nel mondo, ho capito che chi ti sta accanto può essere una risorsa o una trappola. Per fortuna, quando ho sentito odore di pericolo, ho fermato tutto».

Come sono stati questi cinque anni post separazione?
«Durissimi. Ho cambiato casa, mio figlio non capiva cosa succedeva e sono arrivati il Covid e poi la malattia di mia madre. È stato un crollo totale. Salivo al San Raffaele a Milano, parlavo coi medici, stavo settimane in ospedale cercando di tenere insieme tutto, tipo Wonder Woman. Davanti a mamma, ai miei fratelli, a mio padre, ero forte. Poi, da sola, crollavo. Sono arrivata a pesare 55 chili. Ognuno reagisce al dolore a suo modo: io mi caricavo tutto addosso, gli altri dicevano “pensaci tu, tu hai i contatti, tu puoi”. Gli anni più brutti della mia vita. Eppure, non ho rimpianti: ogni momento libero l’ho passato con mia madre, ho fatto tutto quello che potevo. Però, lei mi manca ancora. Vedo la mia vita come una rivalsa della sua. Lei tante scelte non aveva potuto farle. E quando ero sul palco, mi guardava con soddisfazione indimenticabile».

Ha mai pensato di ritirarsi, per le critiche?
«Mai. Amo troppo la musica. Posso piacere o no, ma quando canto succede qualcosa. In me e in chi ascolta. Ricevo messaggi incredibili, anche di persone che hanno trovato il coraggio di fare coming out ascoltando Il mio amico».

Sanremo l’ha vista crescere. Ci tornerà?
«Mi piacerebbe. Ne ho fatti otto, in tante fasi della vita. Oggi, lo vivrei con più leggerezza».

Il momento più felice della sua vita?
«La nascita di mio figlio. Continuavo a dire: “Ma è mio?”. Era bellissimo. Appena me l’hanno dato, ho smesso di piangere e lì ho sentito che tutto il resto era secondario».

Sta facendo il tour col pancione, fino a quando va avanti?
«Settembre, forse ottobre. Dipende da come sto, finora mi sono dovuta fermare solo cinque giorni per far riposare il diaframma. Mi piace salire sul palco e trasmettere la mia serenità. È un periodo speciale, in cui la ripartenza personale coincide con quella musicale. Nel prossimo disco, mi racconto come mai: cose personali, intime, e la leggerezza ritrovata. C’è anche una Ragazza di periferia 2.0 con un sound più attuale».

So che ha un tatuaggio, in inglese: «Lavora per una causa, non per un applauso…».
«“…Vivi la vita per esprimere, non per impressionare. Sforzati di far sentire la tua assenza, non la tua presenza”. Io vivo così: per esprimere. Oggi, per dire, si parla di catcalling, cyberbullismo, omosessualità, cose che cantavo più di dieci anni fa, quando non erano di moda».

Come si immagina tra dieci o vent’anni?
«Non me lo chiedo più. Ho imparato che, se pensi troppo a domani, ti perdi l’oggi. E oggi, finalmente, sto bene».

11 agosto 2025