di
Chiara Maffioletti
La conduttrice debutterà il 4 settembre con il nuovo videopodcast «Vita futura»: «Ricordo l’intervista a Eminen, ero terrorizzata, invece lui fu tranquillissimo e invitò me e tutto lo staff a cena»
Giorgia Surina è una che, nel corso della sua vita, ha avuto il coraggio di cambiare strada molte volte. Volto della Mtv dei vj e delle folle in piazza, poi conduttrice, attrice e da qualche anno anche scrittrice. Dal 4 settembre, dedicherà il suo nuovo videopodcast — «Vita futura» (disponibile su tutte le principali piattaforme)— a chi ha avuto il coraggio di trasformare la sua esistenza, anche quando era ben tracciata.
Questo progetto per lei è un cambiamento o un ritorno?
«Di certo è una cosa diversa rispetto a quelle che ho fatto, una mia creatura di cui sono orgogliosissima. A parte la radio, che faccio da vent’anni, anche il mio lavoro ha subito molte evoluzioni, ma è stato un processo naturale».
Perché ha scelto questo tema?
«Volevo proseguire lungo la scia del mio romanzo, In due sarà più facile stare svegli, dove parlavo di donne che scelgono di diventare mamme da sole. Poi ho deciso di allargare l’orizzonte e raccontare le storie di chi decide di stravolgere tutto e ripartire da capo, magari dopo una malattia o lasciando il posto fisso o trasferendosi. Storie in cui possiamo riconoscerci tutti».
Lei, ai tempi di Mtv, viveva a Londra.
«Abitavo lì ed era il mio sogno. Poi è arrivata Mtv e avevo il mio programma in diretta dagli studi di Londra. Dopo qualche tempo mi chiese di tornare in Italia per condurre Total Request Live: è stato un grosso bivio».
Si è mai pentita?
«No, sono stata felicissima della mia scelta e molto grata per tutto quello che ne è seguito. Quelli sono stati anni potentissimi. Mia mamma mi diceva: oggi non te ne rendi conto, ma più avanti capirai quello che ti sta succedendo. Io capivo già allora che era qualcosa di importante, ma certo non immaginavo che quell’immaginario mi sarebbe rimasto attaccato per così tanto. Ne sono contenta, il fatto che si ricordi sempre che sono stata una vj di Mtv mi mantiene giovane».
Ha compiuto 50 anni ma ne dimostra venti di meno. Che effetto le ha fatto la cifra tonda?
«Non mi torna, non capisco come possa avere già 50 anni. Al di là del numero, che fa un po’ paura, ho vissuto una sorta di cortocircuito, perché credevo che a 50 anni mi sarei sentita arrivata, invece resto la persona inquieta che ha davanti a sé una lista della cose ancora da fare. Questo ribollire mi fa restare curiosa e, chissà, magari anche invecchiare meno: non ho ancora voglia di sedermi».
Ricordi dei primi anni in tv?
«L’intervista a Robbie Williams, ottenuta mentre ero ai bordi del red carpet: gli ho fatto un sorriso dei più smaglianti e lui si è avvicinato a me, dicendomi che avevo dei denti bellissimi. Oppure la prima, un po’ più importante, a Eminem: ero terrorizzata anche perché, all’epoca, non parlavo ancora così bene l’inglese. Insomma, non mi sentivo all’altezza invece lui fu tranquillissimo e alla fine invitò me e tutto lo staff a cena. Eravamo davvero una sorta di famiglia e, anche se adesso sembra di parlare dell’epoca dei dinosauri, credo manchi un appuntamento generazionale simile».
Nel suo caso, subito dopo arrivò la recitazione.
«Non avevo mai avuto in mente di fare cinema, ma mi contattarono per recitare in un film con Adriano Giannini. Mi sono buttata, senza troppe paranoie, cercando solo di sfidare me stessa. Era quello che ci aveva insegnato la scuola di Mtv».
È rimasta in contatto con gli altri ex vj?
«Sono piuttosto asociale, sempre stata. Sento Marco Maccarini, con cui abbiamo condiviso tantissimi anni irripetibili. In generale sono rimasta più in contatto con chi era dietro le quinte».
Lei come vive il cambiamento?
«Sono una inquieta, fin da bambina. Non avrei mai potuto fare un lavoro che ti porti a fare sempre la stessa cosa. Mi sarei spenta. Piuttosto ho scelto la precarietà di un mestiere come il mio, bellissimo ma in cui non hai un contratto fisso, nessuna certezza, poche protezioni. Ma va bene così: ho deciso io che la mia vita fosse uno tsunami continuo».
Ha anche scelto di chiudere dopo pochi anni il suo matrimonio con Nicolas Vaporidis. Anche quello è un cambiamento?
«Beh, è durato talmente poco che non saprei. Non amo parlarne, perché é stato tutto piuttosto tormentato a livello di emozioni. Ma era la cosa da fare. Anzi, probabilmente coraggioso è stato decidere di sposarsi nonostante ci fossero tutte le premesse perché si rivelasse una decisione sbagliata. Non ne vado fiera, semplicemente ci sono cose che a volte non sono come te le aspetti e devi prendere atto che non era la tua strada. In quel caso era lampante, sembrava fosse già scritto… ma io non avevo letto».
Anche la maternità torna spesso nei suoi ultimi progetti. Cosa rappresenta per lei?
«Ho iniziato a rifletterci davvero dopo che una mia amica mi ha detto che se non avesse trovato la persona giusta entro i 40 avrebbe fatto un figlio da sola. Mi ha come aperto un mondo sulle difficoltà che vivono molte donne che sanno di volere un figlio ma non trovano con chi farlo. Il mio libro, che raccontava questo, è stato quasi di servizio e ancora oggi mi scrivono tante persone per dirmelo. Io questo sogno non l’ho mai avuto veramente, ho lasciato che il destino prendesse il suo corso. Non è successo e, dopo un po’, capisci che probabilmente era così che doveva andare».
Questione di destino, quindi?
«Sono arrivati diversi segnali. E mi sono convinta che per me il segreto era lasciare andare. Ho vissuto un periodo in cui la mia salute era al primo posto e una gravidanza sarebbe stata troppo delicata a livello fisico».
È stata operata per un tumore, anni fa. Si riferisce a questo?
«Ho subito tre interventi, non ho parlato proprio di tutto. La cosa importante è che ho imparato a godere di quello che ho e a ritenermi fortunata e felice per il fatto di stare bene, dando il giusto valore alle cose. Il primo intervento era stato nel 2010 e poi si sono aggiunte altre cose negli anni, prima di stare bene. Ho dovuto accettare il cambiamento della mia prospettiva circa quello che volevo, potevo e immaginavo di diventare. Lottare per me voleva dire guarire, prendermi cura di me con la sicurezza di essere sana. Dopo una diagnosi di quel genere non è sempre facile».
Anche la malattia è un cambiamento.
«Ti riporta con i piedi per terra. Dobbiamo prenderci cura di noi stessi, anche attraverso le scelte che facciamo. Mi costa fatica mettermi in gioco ogni volta, ma è anche il mio unico modo di esistere: magari tra dieci anni vivrò in Australia e aprirò un negozio di gioielli lì».
Più a breve termine, invece?
«Sto scrivendo il mio secondo romanzo, parlerò di malattia mentale. Scrivere mi ha fatto ricordare quanto fosse una parte di me, quando ero piccola. Mi piace moltissimo. Quanto al resto, si vedrà: amo non sapere cosa diventerò».
11 agosto 2025 ( modifica il 11 agosto 2025 | 07:29)
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