Prima lo stop ai combattimenti, poi i negoziati che dovranno partire dall’attuale linea del fronte. Niente cessioni territoriali imposte all’Ucraina contro la sua volontà. E ancora, l’Europa deve essere parte delle trattative.
LA PREMIER E I NEGOZIATI
Dall’estero, dove trascorre giorni di break dai palazzi romani, Giorgia Meloni si prepara al summit di Ferragosto in Alaska fra Vladimir Putin e Donald Trump. Insieme ai partner europei con cui è in continuo contatto – Macron, Merz, Tusk, von der Leyen fra gli altri – pianta paletti per il negoziato che dovrebbe portare a una tregua in Ucraina. Ribaditi nel faccia a faccia degli ufficiali europei con il vicepresidente americano JD Vance sabato sera, alle porte di Londra. E ancora ieri in una riunione degli ambasciatori Ue per coordinare una linea comune. A Roma l’ottimismo si pesa col bilancino.
Dai contatti con Trump e i leader Ue la premier italiana ha tratto un quadro non esattamente roseo dei negoziati. Putin non cede di un millimetro. Zelensky neanche. Insomma ci sono tutti ipresupposti per un “no-deal” in Alaska venerdì prossimo. Sono già partiti i contatti per una videoconferenza di von der Leyen, Meloni e dei leader europei in settimana con Trump per ribadire al Tycoon le “linee rosse” degli alleati. Mentre prende corpo, su spinta della presidente della Commissione europea, l’idea di un secondo vertice sull’Ucraina nel Vecchio Continente e a questo punto Roma potrebbe tornare in campo come sede.
A patto che Putin accetti ovviamente. Ai piani alti del governo italiano, si diceva, la cautela è massima. Vietato gettare il cuore oltre l’ostacolo. In un report del ministero della Difesa letto dal Messaggero viene scattata una fotografia a tinte scurissime dei combattimenti in Ucraina e degli sforzi negoziali. «La situazione sul campo mostra come non ci sia nessun accenno a una tregua imminente, la guerra è dunque tutt’altro che conclusa, e l’azione russa non è assolutamente limitata dalle fin qui poco produttive attività negoziali» si legge nell’introduzione al bilancio consuntivo del ministero di Guido Crosetto pubblicato nei giorni scorsi.
I tecnici della Difesa riconoscono che gli aiuti militari europei e americani stanno facendo la differenza. «Grazie al supporto occidentale dell’intelligence e dei sistemi di difesa aerea, l’Ucraina è riuscita sinora a sostenere una difesa capace di limitare i danni e a stabilizzare e consolidare la linea del fronte».
Poi sottolineano in neretto una frase: «In tale ottica, lo sforzo militare di Kiev non può prescindere dall’aiuto alleato». Come a dire: gli aiuti militari non possono fermarsi, altrimenti le truppe russe avanzano. È un punto fermo del governo italiano in questi giorni di trattative frenetiche, ribadito ieri dal ministro degli Esteri Antonio Tajani. Finché la guerra è in corso «dobbiamo aiutare l’Ucraina». Il dodicesimo pacchetto è stato già illustrato al Copasir e le commesse sono partite alla volta di Kiev. Sforzi necessari da parte degli alleati, riconosce il governo, perché appunto la situazione sul campo non sorride affatto a Zelensky.
L’ALLARME
«Negli ultimi mesi, profittando dell’alleggerimento del supporto Usa all’Ucraina, le forze russe stanno esercitando una pressione crescente lungo il fronte, i loro attacchi hanno registrato un incremento di intensità e portata, colpendo sempre più indiscriminatamente obiettivi militari e infrastrutture pubbliche, in particolare energetiche e riguadagnando il controllo del Kursk» spiega il documento della Difesa. E se da un lato si riconosce che «l’esercito ucraino, anche per il futuro, resta la prima garanzia per la sicurezza dell’Europa», dall’altro vengono risuonati due allarmi.
Il primo: Putin «punta a raggiungere un esercito da 1,5 milioni di soldati». Il secondo: Mosca vuole «produrre oltre 1 milione di droni da combattimento all’anno» per prepararsi a «nuove mire espansionistiche». In altre parole: non finirà qui. È il timore che percorre i Paesi nord-europei che con la Russia confinano, hanno ferite storiche aperte e ieri durante la riunione degli ambasciatori Ue hanno difeso la linea dura: a Putin non deve essere accordata alcuna cessione dei territori ucraini. Meloni media e cerca un punto di incontro con Trump. Si risentiranno nei prossimi giorni, prima di un vertice, in Alaska, ancora avvolto dalla nebbia più fitta.
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