di
Marta Serafini
Dal Donbass alla regione di Kherson fino alla centrale di Zaporizhzhia: le zone contese
«Dal 1991, la Russia ha strappato pezzi ai suoi vicini come un macellaio: la Transnistria alla Moldavia nel ’92, l’Abkhazia e l’Ossezia del Sud alla Georgia nel 2008, il Donbass e la Crimea all’Ucraina nel 2014, e poi di nuovo nel 2022. Ma questa volta sarà diverso». A parlare è un ex ufficiale ucraino, ora diventato analista militare e autore di un account su X, con il nome di Tatarigami UA, tra i più seguiti da chi si interessi del conflitto russo-ucraino.
Come lui, sono pochi gli esperti militari che ritengono plausibile un accordo che porti alla cessione a Mosca del Donetsk e al congelamento della linea del fronte senza una contropartita solida per Kiev.
Per quanto riguarda il Donbass, la ragione, dal punto di vista di Kiev è, nell’ordine, politica, militare ed economica. Mosca e Kiev combattono per questo territorio da 11 anni. Migliaia di giovani ucraini sono morti in nome della difesa dell’Est e la maggior parte dei militari ora al comando si è formata nelle trincee della cintura che corre da Slovyansk a Kostyantynivka, passando per Kramatorsk e Druzhkivka. «Anche qualora Zelensky desse l’ordine di ritirarsi, è tutto da vedere che i militari obbediscano», commenta ancora Tatarigami.
Russofono, culla dell’ortodossia fedele a Mosca, per i nazionalisti di Kiev il Donetsk rappresenta il bastione della rivoluzione di Maidan, la porta dell’Europa e il vero fianco Est della Nato, quello che nel 2014 fece gola a Washington quando decise di investire sulla formazione degli apparati militari e di intelligence ucraini.
Perderlo vorrebbe dire anche cedere centinaia di chilometri di trincee e linee fortificate, che renderebbero molto facile per Putin portare a termine ciò che proclama da tempo. Ossia finire il lavoro ed entrare anche nella regione di Dnipropetrovsk.
La linea ferroviaria che collega Pokrovsk, Kramatorsk, Kostyantynivka, diventerebbe il trampolino di lancio perfetto per spostare uomini e mezzi e lanciare l’assalto a Dnipro, sede del potere finanziario ucraino, obiettivo che fin qui non è riuscito all’Armata. Il Donbass, con il suo bacino minerario, è la più grande riserva in Europa di manganese e di titanio, uranio, grafite, caolino.
Gli stessi metalli e terre rare che sono alla base dell’industria del futuro, dell’hi-tech e della green economy. E le stesse leve che sono servite a Kiev per tenere Washington al suo fianco anche quando la Casa Bianca vacillava.
Perdere la regione di Kherson, fosse anche solo la parte già occupata dai russi, significherebbe invece chiudersi definitivamente alle spalle la porta della Crimea e rinunciare a una buona quota del granaio che da sempre ha costituito la forza economica del sud ucraino. Con un’aggravante: perdere la guerra dell’acqua.
Se il Donbass è il bacino minerario per antonomasia, Kherson con la foce del Dnipro è il bacino idro-elettrico più importante del Paese. Basti pensare che il collasso della centrale idroelettrica di Kakhovka nel 2024 ha di fatto lasciato senza acqua il 94% dei sistemi di irrigazione a Kherson, il 74% a Zaporizhzhia e il 30% nella regione di Dnipropetrovsk.
E infine, come fa notare Henry Sokolski, direttore esecutivo del Nonproliferation Policy Education Center di Arlington, in tutte le proposte di pace rese pubbliche da Stati Uniti, Russia, Europa e Ucraina, un elemento emerge sempre: la riapertura della centrale nucleare di Zaporizhzhia — la più grande d’Europa — danneggiata e dotata di sei reattori, ora sotto controllo russo. A un primo sguardo viene da pensare che lasciarne la gestione a Mosca potrebbe essere un grave danno per Kiev.
Ma la faccenda è più complicata. Prima della guerra, l’impianto contribuiva ad alimentare la rete elettrica ucraina ed esportava l’energia in eccesso in Europa. Ora le linee di trasmissione devono essere ricostruite e l’impianto sminato. La domanda è: chi pagherà tutto questo lavoro? I beni russi sequestrati o i fondi della Banca europea per la Ricostruzione?
In ogni caso, fa notare ancora Sokolski, se Ucraina, Stati Uniti e Russia hanno posto la ristrutturazione e la gestione della centrale come condizione, in assenza di risposte chiare la rinascita di Zaporizhzhia potrebbe trasformarsi più in un ostacolo che in un catalizzatore per la pace.
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11 agosto 2025
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