di
Francesca Angeleri

«Il mio sogno? Suonare al Tomorrowland, ma non sono disposta a pagare per andare lì. Le canzoni di mia cugina Carla Bruni? Mi rilassano»

Greta Tedeschi rompe ogni cliché. Qual è lo stereotipo con cui vengono definiti i giovani di oggi (ma in realtà i giovani di sempre)? Nullafacenti. E qual è lo stereotipo invece sui musicisti e gli artisti? Non lavorano, (e magari sono pure drogati, cit. le nonnine boomer d’Italia). Questa ragazza di 30 anni è l’esempio di come i sogni possano non solo essere inseguiti, ma anche realizzati e gestiti in maniera efficace, responsabile e, perché no, con grande soddisfazione. Forse, il significato dell’essere adulti, in chiave contemporanea, è proprio questo.

Greta, come ha cominciato?
«A 16 anni, organizzavo le ragazze immagine per le feste del liceo. Facevamo il Patio, il Banus – che ora è il Bambù – e poi è arrivata la Cristal, la festa torinese per eccellenza».



















































Com’erano queste feste?
«Iniziavano presto e finivano a mezzanotte. Niente alcool o eccessi. Io lavoravo e mia madre mi veniva a prendere».

Quando ha iniziato a mettere musica?
«A 18 anni, grazie a Walter Benedetti, resident dell’Hennessy. Mi faceva suonare nei pomeriggi a discoteca chiusa. Poi il proprietario mi sentì e mi diede l’apertura».

La prima volta?
«All’Hennessy, d’inverno. Poi sono partite le serate universitarie, quattro a settimana. Ero l’unica dj donna dei locali torinesi».

Il fuoco sacro l’ha riconosciuto subito?
«Immediatamente. Se prima il mio sogno era diventare una giudice, poi, è stato solo mettere musica, non desideravo altro. Ho lasciato giurisprudenza».

I suoi genitori?
«Sono sagittario ascendente scorpione, mia mamma sa che non è facile farmi cambiare idea. Sono cresciuta sola con lei. Mio padre l’ho conosciuto che avevo 21 anni. Lui è il nipote del fondatore della Ceat, fa parte di una famiglia molto in vista di Torino. Ci siamo frequentati per un anno, poi ho deciso io di chiudere i rapporti. Si è occupata di me mia madre che per me ha lasciato una carriera in televisione ed è diventata antiquaria. Mi ha tirato su molto anche mia nonna Jolanda. Sono cresciuta in Cit Turin».

Lei è cugina di Carla Bruni e di Valeria Bruni Tedeschi, in che rapporti siete?
«Essendo imparentata con loro da parte di mio padre e non frequentandolo, non le ho mai conosciute personalmente. Non so neppure in che rapporti siano con lui».

Con Carla condivide la passione e l’attitudine alla musica.
«Siamo due artiste molto diverse, lei è una cantautrice. non posso dire di essere una sua fan ma mi piace molto la sua canzone Quelqu’un m’a dit, a volte, quando soprattutto ho bisogno di rilassarmi, l’ascolto».

Una ragazza della buona borghesia torinese che lascia giurisprudenza e diventa dj. Nessun problema?
«Ci sono rimasti male, ma nessuno mi ha ostacolato».

Il mondo della notte è pieno di insidie, droghe…
«Non per me. Sono pure astemia. Arrivo, suono, vado via. Nessuna ambiguità».

Donne ce ne sono poche nel suo ambiente. Patriarcato anche in consolle?
«È un ambiente totalmente al maschile. Proprietari, organizzatori, DJ: sono tutti uomini. Le donne vengono spesso giudicate solo per l’aspetto o i follower».

Con chi ha rapporti migliori?
«In generale sono complicati. Molti tra i colleghi torinesi pensano che io abbia avuto successo solo per l’aspetto. Io suonavo anche quando prendevo 50 euro a serata. È più facile con i dj di successo internazionale, parliamo lo stesso linguaggio».

Quanto prende adesso a serata?
«Non meno di duemila».

Quali dj le piacciono?
«Nina Kraviz, Anfisa Letyago, Oliver Heldens. Guardo molto le DJ donne. Con Deborah De Luca ci siamo scontrate, ma la stimo musicalmente».

Il suo genere?
«Hypertechno: brani conosciuti rielaborati in chiave techno. Sono nata dalla musica commerciale, ora suono solo ciò che mi piace. Mi dà molta soddisfazione perché in parte li produco anche, insieme a Luca Testa, ci conosciamo dai tempi dell’Hennessy, lo studio è in Lungo Po Antonelli».

Quando non suona?
«Gioco a tennis, frequento il club Monviso, vado a camminare, viaggio… Ma mi manca sempre la consolle. Se ho due sabati liberi, vado in crisi».

Come è scoppiato il fenomeno Greta Tedeschi?
«A un certo punto mi sono rifiutata di accettare le condizioni delle serate torinesi. Ho proprio detto basta. Perché io capisco che all’inizio si prenda meno rispetto allo special guest della serata, capita anche se fai uno stage in azienda. Però c’è stato un momento in cui sono stata in grado di dettare le mie condizioni».

Lei è stata lungimirante, in parallelo all’attività musicale ha aperto una sua agenzia. Come si chiama?
«Boomerang. Nasce dall’idea che una comunicazione ben fatta ti ritorna indietro. Siamo in quindici, tutte donne, tutte under 30. Da lunedì al giovedì sono in agenzia, il venerdì in studio, nel weekend in tour. Tutto è schedulato».

La serata più bella?
«La Molo Street Parade di Rimini: 200 mila persone. E poi il Cocoricò, ovviamente».

Dove ha suonato fuori dall’Italia?
«Oltre al Nepal, in Vietnam, Indonesia, Cina, Ecuador. Ora sto organizzando un tour negli Stati Uniti».

Cosa ama di Torino?
«Tutto. Ci vivo e ci resto. Amo il Valentino, la tranquillità. Milano è troppo. Torino è a misura d’uomo».

Cosa manca alla scena musicale torinese?
«Stimoli. Locali, eventi, visibilità. Dopo piazza San Carlo nessuno vuole rischiare più. Le pro loco fanno più delle città».

Beh, ci sono il Kappa Futur Festival e il C2C…
«E sono fighissimi, ci vado sempre. Però sono grandi eventi che durano due o tre giorni. Non fanno sistema».

I social quanto contano?
«Tantissimo. Per booking, per immagine, per pubblico. Io sono tra le più seguite d’Italia dopo Deborah De Luca e Anfisa Letyago. Quando salgo in consolle, vedo solo telefoni».

Questo suo successo social è il motivo che le ha fatto incontrare Gabry Ponte.
«Ci conoscemmo a un evento. Di base Gabry trovava inspiegabile che io avessi più follower di lui. Ci assomigliamo, siamo due imprenditori. La prima cosa che gli ho chiarito è che non avrei potuto lavorare solo per lui, mi avrebbe inglobata».

La musica è «maschia» ma Instagram è femmina, è così?
«Sicuramente sì. Anche questo dissi a Gabri. Soprattutto all’inizio, quando ero più giovane, ero più spregiudicata, dicevo sempre la mia, mi buttavo in mezzo ai dissing… la gente mi seguiva perché voleva sapere cosa pensassi delle cose».

Adesso?
«Mi sono sicuramente data una calmata».

Sogni?
«Credo quello di tutti: il Tomorrowland (uno dei più grandi festival di elettronica al mondo, ndr). Però è molto difficile, è una mafia…ci andrò solo se mi chiameranno per merito. Non sono disposta a pagare per andare a suonare a un festival».

Lo fanno tutti?
«In tanti. La “Greta” dell’agenzia mi direbbe: fallo, è un investimento che ti ritorna. Ma io penso che sia una cosa denigrante, non ne vedo il senso. Non è da me». 


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11 agosto 2025 ( modifica il 11 agosto 2025 | 10:28)