L’evoluzione creativa dei dazi americani è nell’accordo raggiunto poche ore fa tra i colossi dei semiconduttori Nvidia e AMD e l’amministrazione Trump. Le due multinazionali americane potranno ottenere la licenza per vendere chip ai cinesi a patto di riconoscere il 15 per cento dei relativi incassi all’erario statunitense.
Il divieto all’esportazione era stato imposto ai tempi della presidenza Biden per impedire che Pechino potesse recuperare lo svantaggio, vero o presunto, accumulato nello sviluppo dell’Intelligenza artificiale (Ai). Cioè per ragioni strategiche, legate alla sicurezza nazionale. Con l’accordo anticipato dal Financial Times – e commentato all’alba dalla newsletter di Franco Quillico del Politecnico di Milano – siamo entrati in una nuova dimensione della politica trumpiana. Si poteva far pagare il dazio ai cinesi anziché gravare un’azienda statunitense di una sorta di tassa per la concessione di una licenza, quasi un “pizzo di Stato”.
L’ordine liberal-democratico del mondo degli affari subisce un altro duro colpo. «Siamo di fronte – commenta Alessandro Aresu, autore del fortunato saggio Geopolitica dell’intelligenza artificiale (Feltrinelli) – a una ulteriore dimostrazione della logica transattiva-padronale di Trump. Ogni licenza di esportazione ha un costo. Le preoccupazioni strategiche legate alla sicurezza passano in secondo piano. La certezza del diritto svanisce anche perché non si capisce a questo punto quale sia il prezzo giusto di un bene. Tutto è trattabile».
11 agosto 2025, 11:16 – modifica il 11 agosto 2025 | 11:33
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