Al festival di Locarno ora in corso in Svizzera, è stato proiettato il film Mektoub, My Love: Canto due, che a dispetto del titolo è il terzo film della storia familiare iniziata nel 2017 con Mektoub, My Love: Canto uno. È una notizia perché è l’ultimo film di una saga poco nota al grande pubblico ma considerata tra le più importanti degli ultimi anni dalla critica, e molto travagliata. Il suo autore, il regista franco-tunisino Abdellatif Kechiche, era diventato molto noto come vincitore della Palma d’oro a Cannes nel 2013 con La vita di Adele.

Mektoub, My Love: Canto uno (il titolo è uguale anche in originale) è infatti considerato da buona parte della comunità cinefila una delle opere d’arte più importanti e innovative degli anni Dieci. Al contempo però altri l’hanno criticato per aver adottato uno sguardo che oggettifica le donne, anche perché uscì negli anni in cui il cinema cominciava a rivedere i propri standard riguardo alla rappresentazione femminile. Ai tempi poi se ne parlò anche per i maltrattamenti e gli inganni denunciati dalle attrici, e per il sesso non simulato sul set. Tutto questo, unito ai sei anni di gestazione, hanno reso questo film uno dei grandi oggetti proibiti del desiderio cinefilo. Il festival di Locarno ha paragonato questa saga a Alla ricerca del tempo perduto di Marcel Proust.

La storia ha al centro Amin, un ragazzo di origini magrebine, che nell’estate del 1994 passa le vacanze estive nella cittadina francese sul mare in cui è cresciuto, Sète. Lì partecipa alla vita dei suoi amici e parenti, li guarda corteggiarsi, amarsi, fare sesso. In questo nuovo capitolo, che inizia più o meno dove terminava il precedente, Amin entra in contatto con un produttore americano in vacanza e con la sua fidanzata, un’attrice famosa. A differenza dei precedenti questo è un film decisamente meno esplicito con il sesso e l’esibizione dei corpi, più corto (dura due ore, mentre gli altri rispettivamente tre ore e tre ore e mezzo) e più focalizzato sull’intreccio narrativo. In compenso ha lo stesso stile e gli stessi pregi dei precedenti, perché fu girato quasi insieme agli altri, sette anni fa.

Per capire le ragioni dell’interesse intorno alla saga bisogna considerare sia i fatti di cronaca che la circondano, sia i film come opere, che tramite un faticoso lavoro con gli attori e una messa in scena di grande maestria riescono a rendere i meccanismi dell’attrazione sessuale in modi inediti per il cinema. Nel presentare il nuovo film a Locarno l’attore Andre Jacobs ha spiegato: «Quando fai l’attore da tanto, impari dei trucchi e delle scorciatoie, gesti e mosse sempre uguali che sono delle convenzioni per esprimere i sentimenti. Abdellatif non lo accetta, perché è falso, e insiste fino a che non te ne liberi. Questo ha reso lavorare a questo film eccezionalmente difficile ed eccezionalmente soddisfacente».

I tre film della saga hanno una narrazione molto sofisticata. La categoria cui appartengono è quella dei film slice of life, uno stile non nuovo che si è però molto evoluto negli anni Dieci.

Significa che non hanno una trama canonica o molto elaborata, ma raccontano un periodo nella vita dei protagonisti, con i molti eventi ordinari e magari inutili di cui sono piene le giornate. Accadono molte cose e non tutte arrivano a una conclusione. Anche in Canto due tutto finisce senza che si chiudano le trame, come se ci dovesse essere un’altra puntata. La forza di questo stile sta nel fatto che, se ben applicato, ogni evento o azione crea una vicinanza e una comprensione altrimenti impossibili con i personaggi. Sono film slice of life quelli di Richard Linklater come Boyhood o la trilogia Before (iniziata negli anni ’90), ma anche Frances Ha con Greta Gerwig; ne fu un precursore American Graffiti nel 1973. Anche alcuni film di Paolo Sorrentino come La grande bellezza possono essere definiti così, o il recente Perfect Days di Wim Wenders.

I molti problemi della saga sono nati dall’atteggiamento problematico di Abdellatif Kechiche dopo il successo di La vita di Adele, a sua volta un film cruciale per l’evoluzione del cinema e della recitazione. Alcuni mesi dopo la premiazione le due protagoniste, Adele Exarchopoulos e Lea Seydoux, raccontarono in un’intervista di aver sofferto durante la lavorazione. La definirono «un incubo» per le pressioni del regista e le estenuanti sessioni di riprese, con alcuni ciak ripetuti anche cento volte, e piccole o grandi violenze psicologiche. Lo dissero ribadendo al tempo stesso di aver preso parte a un film di incredibile potenza emotiva, e secondo loro senza precedenti. Kechiche rispose di non aver fatto soffrire nessuno e che quel termine non si può applicare al lavoro dell’attore, perché chi come lui viene da una famiglia povera sa che il lavoro vero è un’altra cosa.

Queste accuse di maltrattamenti crearono un clima difficile intorno al regista quando per il film successivo scelse di adattare il romanzo La Blessure, la vraie di François Bégaudeau. Nonostante la sua fama come vincitore a Cannes infatti finì per girare quello che sarebbe stato Mektoub, My Love: Canto uno con attori sconosciuti: per finanziarlo mise in vendita la Palma d’oro di La vita di Adele (base d’asta 50.000 dollari) e altri oggetti del film. A sorpresa per tutti, anche per i finanziatori, il risultato non fu un film finito ma una prima parte. Canto uno fu accolto con grandi entusiasmi dalla critica e dagli appassionati al Festival di Venezia del 2017, ma anche da molte accuse di sessismo. Quell’anno era nato il movimento MeToo e quello era un film pieno di sesso e corpi esibiti, soprattutto femminili, ripresi e mostrati con grande erotismo. L’ossessione per la sessualità femminile era sia la forza innovativa del film, sia ciò che gli veniva più criticato.

Lo stesso, subito dopo la presentazione, Kechiche cominciò le riprese aggiuntive per chiudere il secondo film, arrivando a mille ore di girato: una quantità impressionante. «Ne avevamo abbastanza per montare un film di due ore su quasi tutti i personaggi», disse il suo direttore della fotografia Marco Graziaplena.

Nel 2019, di nuovo a sorpresa, si presentò a Cannes non con il secondo capitolo della saga, ma con Mektoub, My Love: Intermezzo, un film sperimentale senza trama: tre ore e mezza di cui tre ambientate in una sola serata in discoteca, quasi senza dialoghi, con solo balli, sguardi, corpi, molti sederi femminili, amplessi, desiderio e un sottofondo continuo di musica house anni ’90. Il film comprendeva una scena di 15 minuti di cunnilingus che si scoprì essere vero tra l’attrice Ophelie Bau e il suo fidanzato Roméo de Lacour. La critica anglofona lo demolì e nei primi giorni l’aggregatore di recensioni Rotten Tomatoes dava una media dello 0% di recensioni positive. In seguito si disse che era una versione provvisoria, non realmente montata, materiale grezzo ancora da lavorare.

Accadde però che alla proiezione ufficiale del film a Cannes Ophelie Bau fu vista uscire a metà film e non si presentò il giorno dopo in conferenza stampa. In seguito si venne a sapere che la scena del cunnilingus era stata ottenuta con l’inganno. Fu prima richiesta dal regista ma rifiutata dall’attrice, e infine ottenuta sfiancando lei e il fidanzato con infinite sessioni di riprese di ballo e moltissimo alcol. Questa versione è stata confermata da altri attori e persone che avevano lavorato al film. Nonostante fosse stata girata, la scena non doveva stare nel montaggio finale perché non approvata dall’attrice. Dopo le polemiche per La vita di Adele nel 2013, quelle per il Canto uno nel 2017 e un’accusa di molestie da una ragazza nel 2018, terminata con un’assoluzione per insufficienza di prove, Kechiche fu di nuovo molto criticato.

Questo secondo film non è mai stato distribuito ed è stato visto solo a Cannes (al contrario del primo, che è disponibile su Sky e Now). La ragione sono i diritti d’autore di tutta la musica che si sente, che andrebbero lautamente pagati dai distributori. Tra le molte difficoltà Kechiche dichiarò anche il fallimento della sua società di produzione Quat’sous Films. Recentemente è emerso che una versione più breve, di poco più di due ore, con meno musica e in cui la scena del cunnilingus dura un minuto, potrebbe essere distribuita prossimamente.

A partire dal 2020, le persone vicine a Kechiche hanno raccontato di come il regista abbia lavorato da recluso su quelle mille ore di girato per fare Canto due, soprattutto con soldi presi in prestito da amici. Secondo il produttore Riccardo Marchegiani la trama di questo Canto due era quello che si era perso in Canto uno. In conferenza stampa a Locarno era presente l’attrice Ophelie Bau, sempre molto presente nel film, la cui partecipazione alle attività di promozione del film è rimasta in forse fino a che non ha visto il film concluso. Interrogata sul rapporto con Kechiche ha risposto solo: «Non parlerò della mia esperienza sul set. Non intendo rispondere, questa è la mia volontà. Sono qui per questo film sul quale concordo».

È noto che il festival di Cannes ha rifiutato delle versioni del film sia nel 2024 che nel 2025. La ragione ufficiale è che necessitavano ancora di lavoro di montaggio, ma è frequente per i direttori di festival usare questa ragione per motivare decisioni che invece vengono da pressioni politiche. Il festival di Locarno d’altronde lo ha ottenuto molto facilmente. Il risultato è un film visibilmente “aggiustato”: le inquadrature con sederi, cosce e gambe femminili scoperte sono più strette che nei precedenti, come se si fosse allargata l’immagine per escludere dal quadro una porzione di quelle parti anatomiche e prevenire le accuse di sguardo morboso. C’è una sola scena di sesso verso la fine e coinvolge una delle protagoniste, Jessica Pennington, al suo primo e al momento unico film con il suo vero nome dopo una carriera (terminata) nel cinema porno con il nome di Jodi Taylor. È una scena che dura poco ed è indispensabile per la trama. In più si avverte qualche piccolo buco nel racconto, come tipico dei film al cui montaggio si è messo mano molte volte. La forza espressiva riconosciuta ai due film precedenti però è presente, lo stile è quello e, nonostante gli aggiustamenti, anche il risultato è all’altezza.

A marzo Kechiche è stato colpito da un ictus che lo ha indebolito. Benché la cosa non gli impedisca di lavorare, i collaboratori sostengono che probabilmente non farà più il regista ma si dedicherà alla produzione.