Gli elementi fondanti della saga di Alien si trovavano già perfettamente racchiusi nel suo esordio del 1979, frutto di una sceneggiatura essenziale ma allo stesso tempo ricchissima di implicazioni, dove gli archetipi classici dell’immaginario horror (il labirinto, la ragazza in fuga dal mostro, la solitudine, l’oscurità) convivevano con un discorso più squisitamente fantascientifico sulla perdita di umanità: la decadenza dell’uomo, inteso indifferentemente come specie e genere, non poteva che trovare risposta in una serie di eroine, di donne, ultimo baluardo contro un nemico ispirato – per ammissione dello storico designer H.R. Giger – proprio a una trasfigurazione raccapricciante del fallo, quindi della virilità.
la nuova eroina della saga è interpretata da sidney chandler.
In tutti gli episodi della saga, la sconfitta dell’uomo si manifesta sempre nella combinazione di questi topos: la fragilità dei terrestri rispetto all’alieno, la disumanità delle corporazioni che cercano di sfruttare la potenza distruttiva dello xenomorfo e la spietatezza dei “sintetici”, privi dei connotati più rassicuranti con cui li aveva dipinti Asimov nei suoi racconti sui robot, oppure dell’empatia di Data in Star trek. Nelle prime due puntate di Alien: Pianeta terra, che abbiamo avuto la possibilità di vedere in anteprima, scopriamo infatti che la partita tra le multinazionali per il controllo del pianeta si gioca nell’affermazione dei rispettivi modelli di androide (ne esistono tre tipologie diverse) a scapito di quelli rivali, attualizzandone la figura per intercettare il dibattito odierno sull’intelligenza artificiale.
Hell is us
Le puntate iniziali di Alien: Pianeta terra non dimenticano queste basi teoriche ma proseguono la costruzione di una mitologia che ha interessato ogni capitolo della saga dopo il secondo, aggiungendo retroscena o spiegazioni non necessarie – forse addirittura controproducenti per preservare quel senso di mistero metafisico incarnato dallo xenomorfo – fino al disastro di Prometeus, dove la genesi del mostro è stata spiegata pedissequamente e senza tener conto delle vere motivazioni dietro al suo fascino: l’inconoscibilità del male, il confinamento delle vittime in uno spazio circoscritto e la paura della contaminazione, tutti ingredienti tipici del genere horror. La nuova serie creata da Noah Hawley (già showrunner di Fargo e Legion) prefigura sin dal titolo l’approdo dello xenomorfo nel nostro pianeta, imboccando una strada accostata in passato da un possibile quinto film del franchise, ma concretizzatosi solo ora con l’idea di raccontare, attraverso un prequel, l’”alienazione” di un mondo divenuto vittima delle corporazioni.
ApprofondisciAlien: Pianeta Terra – Una galleria di immagini
Il titolo originale “Alien: Earth” appare in tal senso ancora più indicativo, perché sembra aggettivare il nostro pianeta come qualcosa di ormai disumano e, appunto, alieno. I veri protagonisti delle prime due puntate sono infatti un cyborg della Weyland-Yutani incaricato di portare svariati esemplari dello xenomorfo sulla Terra, e un gruppo di “sintetici” creato dal leader/enfant prodige di una nuova corporazione, capace di trasferire la mente di alcuni bambini – malati terminali – in androidi dotati di superpoteri. Quando l’astronave piena di mostri si schianta contro un grattacielo della multinazionale, le ricerche vengono affidate a questa squadra di ibridi (piuttosto infantili e indisciplinati) cui la residua umanità non sembra regalare però alcun reale vantaggio rispetto ai sintetici tradizionali. Sebbene l’esplorazione dell’edificio pericolante riecheggi poi le operazioni di salvataggio dell’11 Settembre al World Trade Center, il parallelismo non regala particolari appigli metaforici e, anzi, le sfumature politiche del racconto si mantengono sempre su un livello molto leggero.
Film, fumetto, cinecomic
Un film di Alien avrebbe probabilmente introdotto l’astronave della Weyland come un oggetto misterioso da esplorare per ricostruirne le sorti, mentre qui sappiamo già tutto dell’incidente e il focus si sposta immediatamente sull’incontro inevitabile dei ragazzini con lo xenomorfo, benché lo sviluppo molto lineare dell’azione non giustifichi il totale appiattimento dell’elemento misterioso.
L’altro asse portante delle prime due puntate risiede invece nel rapporto controverso tra gli androidi e il proprio creatore, ennesima rilettura del vecchio archetipo di Frankenstein che per ora non è parsa troppo prodiga di sorprese, anzi. In generale, l’intreccio manca ancora della suspance necessaria per suscitare un interesse reale verso i personaggi principali, anche perché il dilemma etico posto dalla loro natura ibrida non viene affrontato col giusto spessore e le scene di tensione si affidano a formule fin troppo note.
PER ESSERE UN “SINTETICO”, ha una sudorazione niente male!
Nonostante la trama presenti tutti i crismi di un capitolo canonico e sfoggi una portata superiore all’ultimo Alien: Romulus (il quale, in confronto, sembra un semplice spin-off), ampliandone gli orizzonti con un’estetica rinnovata, la serie tradisce fin qui ambizioni principalmente espositive, spesso persino didascaliche: tutto viene spiegato, non esistono misteri né intrighi, sorvegliamo il punto di vista di ogni personaggio e abbiamo accesso a qualsiasi tipo di informazione prima ancora dei protagonisti; insomma, si prefigura un’opera per completisti del franchise e non un nuovo viaggio nell’ignoto in compagnia dello xenomorfo.
La regia di Hawley ha saputo regalare fin qui alcuni momenti brillanti ma è dalla sceneggiatura che ci aspettiamo un deciso salto di qualità per avvicinare i migliori film della saga, senza ripiegarsi solo sulle sue tante incursioni nel fumetto. Ricordiamo che le prime due puntate di Alien: Pianeta Terra sbarcheranno su Disney+ il 13 agosto, mentre le rimanenti sei saranno distribuite a cadenza settimanale fino al prossimo 24 settembre.