Il rammarico di Giovanni, Gianni, Bevilacqua è di avere un problema agli occhi, «spero di risolverlo presto e tornare a lavorare come prima», confessa. Nato a Torino il 28 febbraio 1939, ha la verve e la voglia di fare di un ragazzo. «Dipingere è sempre stata la mia passione, anzi direi la mia vita», precisa. Lui, che nel capoluogo piemontese ha trascorso l’intera esistenza, è conosciuto come “il pittore della montagna”. I suoi soggetti privilegiati sono appunto scorci di cime, paesaggi alpini, valli innevate e, dopo essere stato protagonista di numerose mostre, una sua personale verrà allestita dal 23 ottobre all’8 novembre al Collegio San Giuseppe.

«Ho iniziato a buttare giù i primi scarabocchi da bambino e ho avuto la fortuna di incontrare un maestro elementare, Francesco Meda, che era anche insegnante di disegno – racconta –. Fu lui a impartirmi i rudimenti di tecnica che poi ho cercato di perfezionare». A trasmettergli il gene artistico è stato il padre Angelo, grande appassionato di fotografia e di spettacoli. «Non era la sua professione, tuttavia adorava scattare immagini che sviluppava in una camera oscura improvvisata che aveva creato nel corridoio del bagno. Inoltre, era un patito di teatro e recitò nella compagnia di Mario Soldati ma, soprattutto, è stato un amante della montagna».

Proprio grazie a lui Gianni iniziò a frequentare le Alpi che gli penetrarono sotto pelle. «Era il 1946 e i miei genitori mi portarono a piedi al rifugio Mariannina Levi, poi andammo Punta Galambra e io a 7 anni raggiunsi 3. 054 metri d’altitudine. La montagna mi è entrata dentro, tant’è che sono stato 9 volte al Rocciamelone, 3 alla Capanna Margherita, arrivando agli oltre 4. 600 metri di Punta Dufour». Per questo i suoi soggetti prediletti sono i monti.

Il consolidamento della tecnica pittorica giunse con l’adolescenza. «Avevo quattordici o quindici anni. Mi mettevo sul balcone con il cavalletto che mio padre aveva costruito incrociando un manico di scopa con un asse inchiodato, chiudevo gli occhi per un attimo e riprendevo i ricordi dei luoghi dove, con la famiglia, andavo a trascorrere giorni felici».

Nonostante impiegasse gran parte del tempo con il pennello in mano, si rese presto conto che non sarebbe stato facile vivere di pittura. «Sono entrato in Fiat nel 1959, avevo vent’anni, e sono uscito nel 1992. Ho iniziato come operaio, dopo 6 mesi sono passato alla rimessa vetture, dove mi occupavo delle automobili dei dirigenti. Tuttavia non ho mai smesso di dipingere, tant’è che il periodo maggiormente produttivo è stato nel 1980, quando ero in cassa integrazione. Avendo a disposizione un sacco di ore, realizzavo ben 4 quadri al giorno».

Tanti i suoi maestri. «Fu quando conobbi mia moglie Gianna che arrivò la svolta. Vicino a lei abitavano due pittori, Rita Chiesa e Vincenzo Nicoletti, all’epoca noti nell’ambiente torinese. Loro intuirono il mio potenziale, mi fecero approfondire il disegno e l’uso ponderato dei colori. Ma il mio mentore fu mio suocero, Michele Montanari, cantante e pittore famoso». Purtroppo Bevilacqua non può più salire in quota. «Per motivi di salute mi hanno sconsigliato la montagna – conclude –. Malgrado ciò continuo a dipingerla perché vive nella mia mente e nel mio cuore».