Domenica scorsa
Sbrigo la posta arretrata prima di fare il bagno sulla spiaggetta del Debiross, che fu il primo stabilimento balneare di Bocca di Magra. Perfettamente conservato. Sembra di entrare negli anni Sessanta. È un luogo letterario. Qui erano di casa Vittorio Sereni ed Elio Vittorini.
Scrive Alessia Rivano: «Ho incontrato da poco i libri di Sasha Naspini, mi piacerebbe avere una sua valutazione, sapendo che quella sui libri di Chiara Valerio mi ha fatto schiattare».
Mi spiace, gentile amica, ma non conosco i libri di cui mi chiede. In questi giorni, oltre a Dagospia, consultato ogni mattina come l’oroscopo, e a Cosenza nel ’900 di Paride Leporace, libro che sto centellinando perché è la mia ricerca del tempo perduto, leggo quasi esclusivamente Jane Austen e mi perdo nelle vicissitudini di Fanny Price, dapprima brutto anatroccolo, poi Cenerentola e poi…
Sarebbe bello aprire una scuola estiva di scrittura e di tenere i corsi proprio qui al Debiross, tra un bagno e l’altro e con Sapore di sale di Gino Paoli in sordina nel jukebox. Gli allievi godrebbero dei benefici dell’aria di mare e degli echi delle presenze lontane e suggestive di Sereni e Vittorini.
Jane Austen definisce la memoria la facoltà umana «più stupefacente» di tutte. E aggiunge che c’è qualcosa di «ineffabilmente misterioso» nella memoria sia quando è forte, sia quando è fallace, sia quando è incoerente. Il mistero di come la memoria possa essere, a volte, «precisa, servizievole, ubbidiente», ma anche «debole e confusa», e, infine, «tirannica e incontrollabile!», sembra a Jane «una sfida alla nostra intelligenza».
Non era Graham Greene a dire che la memoria è l’unico capitale di uno scrittore?
Ho deciso. Alla scuola estiva di scrittura preferisco lo snorkeling. E poi ho già abbastanza da fare con la posta arretrata.
Scrive Fiorella Coccolo: «Che dire. L’ho scoperta stanotte. Quale sorpresa. E sul Mottarello sono perfettamente d’accordo! Altro che Magnum».
Gentile Fiorella, stiamo mettendo in subbuglio le graduatorie gerarchiche della gelateria italiana. E vorrei ricordare che è stato Silvano Calzini a perorare in questa rubrica la causa del Mottarello.
Lunedì
Se amate come me Capote non perdetevi il grande romanzo che Truman avrebbe dovuto scrivere e non ha mai scritto. Il kit per farvelo da soli è gentilmente fornito su Dagospia dal grande Dago in persona con il titolo Ravello nights!
Vi si racconta quando nel 1953 John Huston girò da quelle parti Il tesoro dell’Africa, sceneggiatura di Capote, protagonisti Gina Lollobrigida e Humphrey Bogart, fotografo di scena Robert Capa, cioè l’autore della più bella immagine di guerra mai scattata (The Falling Soldier, il miliziano caduto).
Sul set e fuori dal set accadde di tutto: Bogart perse tutti i denti davanti in un incidente di macchina; sempre Bogey ingaggiò un furioso braccio di ferro con Capote e perse ignominiosamente; Capote raccontò di aver visto il re d’Egitto Faruk che si esibiva all’alba in un ballo hawaiano nella camera da letto di Bogart.
Questa è la parte slapstick, la farsa piena di gag e sbronze colossali del romanzo mai scritto da Capote, che prosegue, quasi un decennio dopo e sempre a Ravello, con una storia d’amore, il pazzo flirt agostano tra l’allora first lady Jackie Kennedy e Gianni Agnelli (si ringrazia l’Hotel Caruso per aver fornito l’alcova). Una storia d’amore ma anche di morte, avrebbe notato sicuramente Capote: alla tragedia di Dallas mancava poco più di un anno.
Martedì
Ho fatto caso al particolare che Jane Austen non indugiava mai nei suoi romanzi «su colpe e tristezze» (cose su cui, invece, amano bivaccare i lugubri e un po’ jettatori romanzieri contemporanei, le romanziere soprattutto). Il prima possibile Jane abbandonava colpe e tristezze, «questi temi odiosi», impaziente di riportare i personaggi dei suoi romanzi, che non fossero proprio irrecuperabili, «a un relativo benessere». È questo, credo, uno dei segreti del grande realismo dei suoi romanzi.
Si è fatta l’ora della merenda. Cosa non pagherei per un Mottarello e, magari, origliare per qualche minuto i discorsi che facevano Sereni e Vittorini seduti sulle loro sdraio.
Sulla spiaggia al tramonto mi torna in mente un detto marinaro: «Navi di legno uomini di ferro, navi di ferro uomini di legno, navi di plastica uomini di plastica».
E subito dopo una delle citazioni preferite da Toni Servillo. È un pensiero di Marlon Brando e, secondo me, ribadisce il concetto espresso dal detto marinaro: «Il teatro è degli attori, il cinema è dei registi, la televisione è dei residui».
Mentre il sole tramonta in mare (ma senza emettere alla fine il famoso raggio verde) penso che oltre che alla marineria e alla recitazione, lo schema è applicabile alla storia della letteratura: ci sono stati i romanzi scritti con la penna (scrittori di ferro), poi quelli con la macchina da scrivere (scrittori di legno), infine quelli con il computer (scrittori di plastica?). Se uno fa un giro in libreria tra le novità editoriali gli verrebbe da pensarla così almeno per la stragrande maggioranza di quello che viene pubblicato.
Mercoledì
Ho avuto l’idea per un bel romanzo. Mando un Whatsapp a Paride Leporace: «Caro Paride, a quanto capisco dalla tua pagina Facebook c’è già il primo spin off di Cosenza nel ’900. Titolo: La vera storia di Ciccio Fred Scotti, una storia quasi in stile Cronaca di una morte annunciata di García Márquez con molte trame e sottotrame che si intrecciano smentendosi reciprocamente. Posso cercare di dare un mio contributo provando a sbrogliarle? Un abbraccio».
Ottenuta la benedizione di Leporace, comincio a immaginare La vera storia di Ciccio Fred Scotti, domatore di leoni e cantante di canzoni della mala cosentina, sulla base delle testimonianze fornite dai follower di Leporace sui social.
Giovedì
Ore 10 del mattino. Videochiamata di mio figlio in partenza per la Colombia. Si trova nella libreria dell’aeroporto a Linate e mi chiede qualcosa da leggere. Cent’anni di solitudine, Cronaca di una morte annunciata, L’amore ai tempi del colera, gli dico. «Tutti non disponibili» gli rispondono alla cassa.
Pomeriggio dedicato a La vera storia di Ciccio Fred Scotti, custode di leoni e cantante di canzoni della mala cosentina (un po’ come Ornella Vanoni quando cantava la mala milanese).
Sulla base delle testimonianze dei follower social di Paride Leporace, comincerei con l’identikit dell’eroe. Si chiamava, in realtà, Francesco Scarpelli. Lo testimonia il cugino Salvatore Scarpelli. Fred Scotti era il nome d’arte.
Tra le canzoni interpretate da Fred c’era Amici amici chi ’n Palermu jiti. Testimonianza del signor Bruno Orso.
Fred Scotti vestiva di nero, portava occhiali da sole e stivaletti ai piedi (lo si evince dalle foto che lo ritraggono).
Passiamo ai leoni, coprotagonisti della storia. Racconta il signor Gigetto Misasi che il leone all’inizio era uno solo. Un cucciolo che si chiamava Eros (questo lo ricordo anche io) e fu regalato da un circo di passaggio alla città di Cosenza. Sempre Misasi ricorda che Eros soffriva di cataratta a entrambi gli occhi (e questo, secondo me, è il motivo per cui fu donato alla città), ma ne venne operato solo uno. All’inizio Eros fu tenuto (narra sempre Misasi) in un magazzino al deposito dei mezzi del Comune vicino a piazza Riforma, intanto che veniva costruita la gabbia dove Fred Scotti l’avrebbe tenuto in custodia.
Secondo altre testimonianze, Eros aveva un occhio di vetro, probabilmente quello non operato, ed era senza denti (come Bogart a Ravello).
La gabbia fu posta alla Villa Vecchia, il parco comunale, proprio sotto il glorioso campo in terra rossa del Tennis Club. Diventò un rito cittadino negli anni Sessanta andare domenica dopo la messa a vedere Fred Scotti dar da mangiare ad Eros.
Qualche tempo dopo, per alleviare la solitudine del leone gli fu trovata una compagna, una leonessa senza problemi agli occhi.
Fine della prima parte della Vera storia di Ciccio Fred Scotti.
Ieri
Cosenza nel ’900 ha almeno dieci storie che possono diventare romanzi belli come quello di Fred Scotti. Volendo, anche film. Al posto di Leporace mi metterei subito al lavoro.
Scrivete ad Antonio D’Orrico a lettori@editorialedomani.it
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