L’Institute for the Study of War, la fondazione di studi americana che analizza ogni giorno i progressi della guerra in Ucraina, lo scrive senza mezzi termini: non è alla pace che guarda Putin, ma alla frattura dentro l’Occidente. A lungo Mosca avrebbe tentato di indebolire la coesione tra Stati Uniti, Europa e Ucraina «come parte di una più ampia campagna per scoraggiare ulteriori aiuti occidentali a Kiev e distogliere l’attenzione dall’intransigenza della Russia riguardo al processo di pace». Non ci sono prove, avvertono gli analisti dell’Isw, che Putin sia disposto a cedere sugli obiettivi di sempre: bloccare l’ingresso dell’Ucraina nella Nato, insediare a Kiev un governo fantoccio filorusso e smilitarizzare il Paese. Obiettivi che insieme all’acquisizione delle 4 regioni invase più la Crimea annessa nel 2014, equivarrebbero secondo l’Isw alla «piena capitolazione» di Kiev. In caso di tregua, lo Zar «molto probabilmente la violerà», come già avvenuto nella primavera scorsa. E senza l’ombrello Nato o equivalenti garanzie di sicurezza, potrà muovere ulteriori passi verso la ricostituzione della Russia imperiale.
LA NARRAZIONE
Il vertice in Alaska del 15 agosto con Trump, al quale Putin ha già ottenuto di vietare la partecipazione di Zelensky, è il modo in cui la Russia ha evitato le sanzioni di Trump, ed è l’occasione per implementare il proprio schema: dividere Washington da Bruxelles, e gli europei fra di loro. «L’Europa sta cercando di impedire agli Stati Uniti di contribuire a fermare la guerra in Ucraina», accusa Dmitry Medvedev, l’ex presidente russo oggi n. 2 del Consiglio di sicurezza su Telegram. Più esplicito il presidente della Commissione Affari internazionali della Duma e leader del Partito Liberal Democratico, Leonid Slutsky: i Paesi europei «stanno perseguendo una politica anti-russa, la loro scommessa su Kiev è destinata alla sconfitta, cercano solo di impedire una rapida soluzione di pace». Il messaggio è coerente con la linea tracciata dal politologo Sergei Markov, vicino al Cremlino, che al Washington Post rivela il vero interesse di Mosca per l’appuntamento in Alaska: presentare «l’Ucraina e l’Europa, piuttosto che la Russia, come ostacoli alla pace». Una narrazione che si accompagna al rifiuto di «fare passi indietro» e a un’ipotetica massima concessione: fermare l’offensiva su Odessa, Kharkiv e le città di Kherson e Zaporizhzhia. Poi la stoccata: «Zelensky è la ragione principale della guerra, i leader europei la seconda». L’attacco all’Europa è frontale. Maria Zacharova, portavoce del ministero degli Esteri, liquida come «volantino nazista» la dichiarazione congiunta di Francia, Italia, Germania, Polonia, Finlandia e Commissione Ue a sostegno di Kiev. Medvedev rincara: «Gli euroimbecilli cercano di ostacolare i tentativi americani di aiutare a risolvere il conflitto ucraino».
Il contesto favorisce Putin. Per Trump i leader europei «sono stanchi» della guerra e «vogliono tornare a spendere soldi per i loro Paesi». Cinque, aggiunge, lo hanno chiamato. «Contano su di me moltissimo». Intanto, si ridisegna il quadro degli aiuti militari. Washington ha chiarito che il finanziamento diretto dello sforzo bellico ucraino spetterà d’ora in poi all’Europa. «Gli Usa non finanzieranno più direttamente — ha ribadito il vicepresidente JD Vance — ma l’Europa potrà continuare ad acquistare armi dai nostri produttori per l’Ucraina e per le proprie esigenze difensive». Il disimpegno americano è politico e approfondisce il solco. Il nuovo strumento finanziario, la Banca per la Difesa, la Sicurezza e la Resilienza, è pensato per sostenere investimenti nell’industria bellica europea e ucraina, anche in vista di una spesa dei Paesi Nato pari al 5% del Pil.
PALCOSCENICO
Ma dietro le quinte resta il vero nodo: il Cremlino punta a trasformare l’Alaska in un palcoscenico in cui l’Europa appare spaccata e l’Ucraina isolata. Combinando pressione militare e manipolazione diplomatica, crea l’illusione che la pace sia a portata di mano se solo Kiev e Bruxelles volessero. L’Isw non ha dubbi: senza unità, l’Occidente finirà per trovarsi di fronte non a un accordo di pace, ma a una resa mascherata. Spetterà a Trump decidere da che parte stare. Dovrà fare i conti con la propria base, e con l’interesse degli Stati Uniti. America first.
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