Da qualche parte nell’Alto Monferrato, tra i boschi e le radure di una terra lasciata incolta per decenni, si è materializzata una stanza, ma non una qualsiasi: una stanza senza tetto, senza pareti, senza soglia. Si chiama The Missing Room, ed è il primo progetto costruito dal collettivo Carroccera, un gruppo di architetti e designer con visioni internazionali che ha scelto di sperimentare, nel cuore di un paesaggio rigenerato, nuovi modi per fondare luoghi e relazioni. Il luogo esatto non viene indicato. Non per vezzo, ma per scelta metodica. Il collettivo, guidato da Caspar Anne Schols, Angelica Rimoldi, Dariia Nepop, Gianfrancesco Brivio Sforza e Nacha Palomeque Coll, dichiara fin dall’inizio una volontà programmatica: ogni anno un nuovo progetto, una nuova riflessione, un nuovo pezzo di paesaggio da abitare in punta di piedi. Ma sempre lasciando una soglia di ambiguità. Come se l’architettura, per tornare a essere un gesto necessario, dovesse anche saper sparire nel contesto, custodire il mistero, farsi trovare solo da chi sa cercarla.
Missing room progettata da Carroccera Collective
Missing room progettata da Carroccera Collective
È un approccio che, curiosamente, trova un’eco in una storia poco nota del territorio. Negli anni Settanta, non lontano da qui, si stabilì per alcuni mesi una comune di giovani milanesi che decisero di trasferirsi tra queste colline per dar vita a un esperimento di vita collettiva. Una comunità breve ma intensa, segnata dal desiderio di costruire una nuova socialità. Forse non è un caso che anche Carroccera parta da un’idea simile: abitare come fondazione di legami, più che come esercizio formale. Con la differenza che qui l’intenzione è chiaramente architettonica, strutturata, minuziosamente documentata, eppure capace di evocare, in filigrana, la stessa urgenza di rallentare e ricominciare provata dai giovani della comune di Milano nell’estate del 1970.
Missing room progettata da Carroccera Collective
Missing room progettata da Carroccera Collective
The Missing Room non è una casa, ma un dispositivo aperto: una struttura modulare, interamente in acciaio inox, ancorata al suolo tramite fondazioni a vite rigorosamente non invasive, progettata per essere rimossa senza lasciare traccia. Al centro, un monolite alto sette metri serve da camino: da un lato riscalda l’acqua per la vasca, dall’altro attiva due forni a legna integrati. L’acqua, come il fuoco, è elemento vivo: scorre in una rete di canali e bacini utili per lavarsi, cucinare, persino per abbeverare gli animali selvatici.
Missing room progettata da Carroccera Collective
Missing room progettata da Carroccera Collective
Tutto è compatto, essenziale, reversibile. Viene da pensare, ma senza volerlo mitizzare, alla minikitchen di Joe Colombo o al celebre attico di Le Corbusier sul tetto della casa di Charles de Beistegui: luoghi che concentrano in pochi gesti il massimo della funzione. Qui, però, l’elemento chiave è la permeabilità: all’aria, alla luce, al paesaggio, anche di idee. È un esperimento, certo, che si prende molto sul serio: fondato su analisi ecologiche, gestione delle acque, attenzione per la biodiversità. Un’architettura che si offre come punto d’innesco: per fermarsi, osservare, condividere. Alla fine, più che una stanza mancante, sembra una soglia aperta. Uno spazio per praticare altri modi di vivere, lontano dai rifugi tradizionali ma senza nostalgia per le forme del passato.
Missing room progettata da Carroccera Collective
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Sono nato a Napoli, non parlo in terza persona e non curo cose, oggetti, persone o animali. Ho studiato architettura tra il Politecnico di Milano e l’ENSA Paris-Belleville per poi laurearmi in Architettura delle Costruzioni. Mi sono occupato di allestimenti seguendo i progetti di NENDO, scrivo di grandi architetture e sto completando un dottorando in Composizione allo IUAV di Venezia. Nonostante questo, tutto regolare.