di
Massimo Gaggi

Il presidente stravolge i paradigmi dell’economia americana. Il Wall Street Journal: «Il capitalismo Usa comincia a somigliare a quello cinese. E non il contrario»

Frastornati da cento decisioni improvvise, minacce, ripensamenti di Donald Trump, perdiamo vista il modo in cui sta cambiando, oltre alla dinamica dei rapporti internazionali, la natura stessa del capitalismo americano. L’impegno di Nvidia e Amd, produttori Usa dei microchip più avanzati, di versare al governo il 15% dei profitti delle loro vendite in Cina, appena sbloccate dal presidente, rappresenta, nella storia economica americana, un passo senza precedenti verso qualcosa che va oltre lo statalismo: siamo quasi a un capitalismo di Stato col governo che non è proprietario delle imprese ma le controlla con un numero crescente di strumenti. Magari ricavandone anche un profitto. Per il Tesoro federale o per la famiglia presidenziale.

Ci sono due modi di guardare all’affare Nvidia-Cina. Il primo: un abbassamento della guardia da parte di Trump che, preferendo il gioco del Monopoli alle strategie politiche di lungo periodo, regala a Pechino tecnologie sofisticate in cambio di accordi commerciali convenienti. Nessuna certezza ma molti indizi: tregue sui dazi mentre vengono bastonati gli alleati, l’India punita con balzelli raddoppiati al 50% perché compra petrolio e gas dalla Russia, mentre Pechino, che fa altrettanto, per ora non viene colpita, TikTok tuttora libera nonostante la spinta bipartisan del Congresso per la sua messa al bando. E il presidente di Taiwan che ha cancellato un viaggio in America Latina dopo che Washington gli ha negato uno scalo a New York.



















































Potrebbe essere — come denunciano anche esponenti repubblicani e membri del Consiglio per la Sicurezza Nazionale del governo Trump 1 — la tentazione di cedere qualcosa alla Cina nel lungo periodo su primato tecnologico e geostrategico in cambio di vantaggi economici immediati, da spendere con gli elettori. O potrebbe essere un tentativo di uscire dalla logica del muro contro muro, dopo aver fatto la voce grossa. Comunque Trump sta seguendo una linea diversa da quella da lui stesso proposta col recente piano governativo per la leadership nell’intelligenza artificiale.

Ma, e siamo al secondo livello, Trump sta anche iniettando nel capitalismo americano forti dosi di statalismo, magari senza un piano strategico ma applicando i suoi istinti autoritari e la predilezione per gli affari. Tutto iniziato a gennaio coi leader di big tech andati a rendere omaggio al nuovo presidente per evitare vendette e, magari, ottenere benefici. Poi le cause (infondate) di Donald contro due reti televisive, Abc e Cbs: potevano essere facilmente vinte, ma le proprietà delle due reti, Disney e Paramount, hanno preferito patteggiare versando decine di milioni di danni a Trump per evitare ostacoli ai loro piani industriali soggetti a nulla osta governativi.
Uso dei poteri presidenziali per tornaconto personale, certo, ma abbiamo sottolineato questa patologia senza prestare sufficiente attenzione al messaggio mandato a tutte le imprese. 

Così oggi non fa notizia che Centre Lane Partners, una società di private equity che ha lanciato attraverso una controllata una linea di piatti, posate, tovaglie e altro col logo MAGA, prometta di versare tutti i guadagni alla futura library di Trump. Un dettaglio: Centre Lane Partner, nel mirino delle autorità della Pennsylvania che hanno fatto ricorso all’Antitrust dopo la chiusura delle sue vetrerie Pyrex di Charleroi, ha bisogno della benevolenza di Trump per evitare guai con questa authority.

Ora Trump si sta allargando ovunque: nel patto siderurgico tra Us Steel e Nippon Steel, impone una golden share del governo seguendo esempi europei che hanno fatto sempre rabbrividire il capitalismo liberista Usa. E poi spinge la Coca-Cola a cambiare dolcificante e fa lui l’annuncio costringendo l’azienda a confermare ma anche a difendere la formulazione attuale. E mentre, in campo monetario, assedia il capo della Federal Reserve e impone norme in base alle quali le future valute digitali (stablecoin) verranno emesse da privati, non dalla Banca Centrale, ecco l’intervento sui chip, punta avanzata della tecnologia Usa.

Non solo licenze all’export promesse, ma firmate solo dopo l’accettazione del balzello da parte di Nvidia e Amd: il terzo protagonista della partita, Intel, oggi rimasto indietro, è anch’esso nel mirino di Trump che ha chiesto le dimissioni del suo amministratore delegato. Inaudito? Non per il ceo Lip-Bu Tan che ieri si è precipitato alla Casa Bianca con proposte per «addolcire» il presidente.

Lapidario il Wall Street Journal, bibbia del conservatorismo finanziario: «Un tempo pensavamo che la Cina, liberalizzando l’economia, sarebbe divenuta simile agli Usa. Invece il capitalismo americano comincia a somigliare a quello della Cina».

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12 agosto 2025 ( modifica il 12 agosto 2025 | 09:14)