Seduto in sala d’attesa dell’ospedale Maria Vittoria, in zona San Donato, senza sapere cosa fare, dove andare, per quale ragione continuare a vivere. Minaccia il suicidio Michele Mingoia, un uomo di 59 anni con una diagnosi psichiatrica confermata e una terapia farmacologica pesante, che ogni giorno passa metà delle sue ore all’aperto, senza un letto, un pasto garantito o protezione, con il costante pericolo di collassare per terra senza rendersene conto.

Powered by powered by evolution group

Per tre mesi ha dormito nella struttura d’emergenza di via Valentino Carrera 181, poi la brutta notizia: lo spostamento al centro Buon Pastore, in corso Regina Margherita, una struttura aperta solo metà giornata. Residente (si fa per dire) presso la Casa Comunale 1, l’indirizzo fittizio assegnato a chi è senza fissa dimora, Michele passa il resto del tempo per strada, spesso in stato confusionale, senza sapere come muoversi o dove andare. «Mi servirebbe un letto perché i medicinali mi abbattono – racconta -. Dopo dieci minuti in strada comincio a tremare, mi irrigidisco e cado per terra come un pezzo di legno. È un incubo».

Mingoia è seguito dal Centro di salute mentale, assume il tavor, un farmaco ansiolitico potente, ed è in cura da mesi per una severa forma di depressione con crisi fisiche associate. Ma nonostante la certificazione medica, al momento nessun ente pubblico si sta facendo carico della sua assistenza completa. «Gli assistenti sociali dicono che è una questione sanitaria. I medici mi rimandano agli assistenti sociali. Vengo rimbalzato avanti e indietro. Intanto io sto facendo questa cura a stomaco vuoto, per strada».

La sua situazione è il risultato di una lunga serie di eventi. Nel 2019 ha perso la compagna, morta a 50 anni per un tumore. Lei era intestataria dell’alloggio popolare dove vivevano insieme. Da allora è iniziata la discesa: l’uscita dalla casa, l’ingresso nei dormitori, la temporanea stabilità ottenuta con il reddito di cittadinanza, e poi la nuova crisi, seguita dalla sospensione del sostegno economico per chi ha meno di 60 anni. «Non ho più nulla. Soldi, casa, stabilità. Da quando ho queste crisi non riesco nemmeno a camminare all’aperto». Privo di un piano sanitario-assistenziale che garantisca una sistemazione continuativa, Michele è caduto in uno stato di profonda rassegnazione. Eppure, la sua condizione medica, ben documentata, rende il disagio abitativo anche una questione di salute, non solo sociale. «Mi serve aiuto, e in fretta – dice -, arriverò al punto in cui chiuderò gli occhi e mi butterò in mezzo alla strada». Fermo all’ospedale Maria Vittoria, Michele spera in un miracolo per poter tornare a vivere con dignità.